Semeraro: padre Macha, testimone di una fede eroica
Roberta Barbi – Città del Vaticano
Non è un caso che il rito di Beatificazione di Giovanni Francesco Macha, giovane sacerdote ucciso in odium fidei dal regime nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, avvenga proprio nella cattedrale di Katowice, città dell’Alta Slesia, in Polonia. Non solo perché è a Katowice che viene ordinato sacerdote, il 25 giugno 1939 a pochi mesi dall’invasione del Paese, scintilla che fa scoppiare il conflitto; e nemmeno solo perché è qui che presta il suo breve servizio di carità e qui che a causa di quello stesso servizio di amore e carità verrà prima arrestato, poi condannato a morte e infine ucciso. Non è solo per questo. È perché con il suo martirio, con l’offerta della propria vita, questo giovanissimo prete mostra all’uomo di oggi come “il dominio terreno passa, mentre perdura il Regno di Cristo”. Così, il cardinale Marcello Semeraro nell’omelia della celebrazione nella cattedrale dedicata, appunto, a Cristo Re, peraltro alla vigilia di questa Solennità.
Non badava alle differenze di nazionalità, confessione religiosa, livello sociale
Il nuovo Beato nasce nel 1914 in un piccolo paese, all’interno di una famiglia piena d’amore, riflesso dell’amore di Cristo per l’uomo. Il piccolo Hanik respira così, fin da subito, il significato del preoccuparsi per il prossimo, del prendersi cura l’uno dell’altro e gli verrà naturale svolgere nello stesso modo il suo ministero da sacerdote: “Egli comprese che solo la fede e la carità permettono di riconoscere ad ogni persona, creata a immagine e somiglianza di Dio, la propria irrinunciabile dignità”, ha detto il porporato. Assegnato come vicario alla parrocchia di San Giuseppe a Ruda Śląska, nel pieno delle ostilità, fonda un’associazione caritativa di nome “Konvalia”, cioè mughetto, per portare conforto morale o materiale a tutte le persone in qualche modo vittime della guerra per lutto, fame o povertà: “Non badava alle differenze di nazionalità, confessione religiosa o livello sociale – ha proseguito il cardinale Semeraro – quanto è prezioso oggi il suo esempio!”. È così, infatti, che il nuovo Beato ci ricorda che tutti saremo giudicati sull’amore.
“Una foresta senza un albero resta una foresta”
Ma tutta questa carità, questo amore traboccante e gratuito per gli altri, ai nazisti non piace. Poi c’è il fatto che questo giovane sacerdote continua a sfidarli, rifiutando di celebrare la Messa in tedesco come loro avevano imposto. Così padre Macha viene arrestato: è il 5 settembre 1941 e ben dieci mesi dopo, mesi di prigionia e di torture nel tentativo di farlo cedere, di fargli rinnegare quella fede e quella scelta pastorale che invece sono la linfa che lo tiene in vita, arriva la sentenza di morte. Condannato a morire per troppo amore. Come Gesù. “Non si sentì mai abbandonato – ricorda il prefetto – morì per portare frutto, perché la vita di Gesù si manifestasse nel suo corpo mortale”. Ha solo 28 anni, ma è consapevole che “ognuno su questa terra è stato creato per una missione da compiere”. Così scrive a casa l’ultima lettera, cercando di consolare i suoi: “Una foresta senza un albero resta una foresta”. Parole indirizzate alla famiglia, ma che contengono il suo insegnamento supremo, universale: “Le aspirazioni alla felicità sono autentiche se diventano difesa della giustizia, servizio al bene comune, condivisione, accoglienza, rispetto, attenzione alle necessità degli altri”, spiega il porporato. Viene ghigliottinato la notte del 3 dicembre 1942.
Martire della carità, esempio per i sacerdoti
L’insegnamento del nuovo Beato ovviamente è per tutti, ma sono i sacerdoti, in particolare quelli più giovani, e i seminaristi, che sul suo esempio e con la sua amicizia ricercata nella devozione della sequela, possono portare “il frutto del dono di Sante vocazioni al servizio di questo popolo buono e tenace”. Perché padre Macha è anche un figlio della sua Polonia, e il suo fermo rifiuto alla germanizzazione nazista lo dimostra. Il suo martirio, sottolinea il cardinale Semeraro, è anche un invito “a rimanere con il Signore, a ricercarlo nella preghiera e nel dialogo interiore, a glorificarlo con una vita Santa”. E mai, come in questo tempo di pandemia in cui la Chiesa muove i primi passi nel suo cammino sinodale, ci si dovrebbe rendere conto che per salvarci abbiamo bisogno gli uni degli altri, perché nessuno si salva da solo.
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