"Io amo l’Etiopia", un progetto per i piccoli malati del Paese africano
Francesca Sabatinelli - Città del Vaticano
Amare l’Etiopia significa amarne il futuro, i suoi bambini e le sue bambine. E di fronte alla strage silenziosa che si consuma in quel Paese, devastato dalla guerra, Il progetto promosso dalla società di San Vincenzo De Paoli, cerca di salvarne, appunto, il futuro, e quindi i più piccoli. Fondamentale la collaborazione con l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, che, una volta aperto il corridoio umanitario, provvederà alle cure dei bimbi e delle bimbe etiopi arrivati in Italia. “I bambini e bambine che sono soggetti a malattie particolari, e che non possono essere curati sul posto, vengono portati in Italia con un passaggio aereo per essere ospitati nelle strutture del Bambino Gesù, oppure nelle case dei volontari della San Vincenzo”, spiega il presidente del Consiglio Centrale di Roma della Società di San Vincenzo De Paoli, Giuliano Crepaldi che, lo scorso 14 dicembre, ha firmato con la presidente dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, Mariella Enoc, il protocollo d’intesa che avvia ufficialmente il progetto umanitario: "Io amo l'Etiopia", presentato oggi a Roma.
Il massacro in atto nel Tigray
È da oltre un anno che il Paese africano è massacrato da tensioni etniche e politiche, che hanno condotto ad una guerra tra il governo federale e la regione del Tigray, con migliaia di morti, violenze terribili, drammatiche violazioni dei diritti umani, decine di migliaia di profughi, due milioni di sfollati e il rischio di morte per fame di mezzo milione di persone. In più di una occasione, Papa Francesco ha pregato per una pacificazione in quel Paese, invocando fraternità e solidarietà. E’ per questo che la Società San Vincenzo De Paoli, con l’iniziativa Io amo l’Etiopia, risponde al richiamo di Francesco, che "nessuno si salva da solo". A dimostrarlo la collaborazione anche del principale ospedale etiope, il Blanck Lion, di Addis Abeba, che fornisce le cartelle cliniche ai medici di Roma che daranno poi il consenso all’operazione. È lì che inizia il corridoio umanitario che dovrebbe partire a breve, con il trasporto, l’aspetto più difficile, di una ragazza di 15 anni, affetta da diverse forme di tumore e che deve necessariamente essere sottoposta ad intervento chirurgico. Naturalmente i minori non vengono lasciati mai soli, si prevede che ad accompagnarli siano le famiglie, soprattutto la mamma. Nel caso fossero soli, si ricorre ad una assistente personale. “Si tratta di una spesa non indifferente - spiega ancora Crepaldi – stiamo cercando di raccogliere fondi con una campagna promozionale”. Un importante ruolo lo hanno le suore che si trovano ad Addis Abeba, che sono le prime a venire a conoscenza dei casi.
L’ansia per le suore arrestate
Cresce intanto la preoccupazione per le suore della San Vincenzo arrestate due settimane fa assieme ad una religiosa orsolina di Gandino e due diaconi, di cui oggi ancora non si sa nulla, né dei motivi dell’arresto, né tantomeno della loro sorte, della loro salute e del luogo della detenzione. La famiglia vincenziana in Etiopia, spiega ancora Crepaldi, è impegnata in modo incessante, “le suore guidano diverse strutture, soprattutto di tipo ortopedico, cliniche, scuole, frequentate dai bambini e dalle bambine delle baracche, centri di analisi, dedicati soprattutto ai malati di Aids, malattia molto presente in Etiopia”. “Noi - aggiunge Crepaldi – cerchiamo, come possiamo, di aiutare queste realtà, che necessitano soprattutto di attrezzature che consentano di poter fare operazioni, analisi del sangue e così via”. La cosa più importante, conclude, è che però ci sia sempre il coinvolgimento delle varie realtà, “un vero movimento di solidarietà”.
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