Mariella Enoc: vi racconto l’amore dei genitori che vince ogni prova
Alessandro Gisotti
L’eroismo quotidiano dei genitori, evocato da Papa Francesco nell’intervista pubblicata la settimana scorsa dai media vaticani, è anche quello delle madri e dei padri che vivono l’esperienza più dolorosa e, per molti aspetti, incomprensibile che una persona - pur sorretta dalla fede - debba sopportare: la malattia e la sofferenza dei propri figli. “Perché soffrono i bambini?”, si chiedeva Dostoevskij e con lui in fondo ognuno di noi. Chi incontra queste famiglie tutti i giorni, nel loro dolore e nelle loro speranze, è Mariella Enoc, dal 2015 presidente del Bambino Gesù, l’Ospedale pediatrico più grande d’Europa. A lei, che ci ha accolto in questo luogo di sofferenza e di amore che le “ha rapito il cuore”, abbiamo chiesto di farci “entrare” idealmente e in punta di piedi nei reparti dell’ospedale per toccare quella forza eroica di cui parla il Papa.
Nell’intervista all’Osservatore Romano, il Papa ha sottolineato come quei genitori che affrontano ogni ostacolo per il bene dei propri figli siano degli eroi. Cosa significa per lei, per la sua missione al Bambino Gesù la testimonianza quotidiana dei genitori dei bambini ricoverati nel suo ospedale?
I genitori mostrano grande coraggio, soprattutto una tenacia e un amore che può davvero arrivare all’eroismo. Penso ai genitori che vengono da Paesi dove i bambini non possono essere curati e che noi accogliamo. Arrivano qua, non conoscono la lingua, non conoscono la cultura, non conoscono l’ambiente. Noi diamo loro un mediatore culturale per il dialogo con i medici, ma per il resto queste persone vivono un isolamento. Quindi anche loro sono degli eroi. Sono eroi i genitori che sanno anche mantenere il sorriso, un atteggiamento composto. Sovente dico alle mamme: “Andate dal parrucchiere, perché i vostri bambini vi devono vedere belle, serene”. E loro hanno anche il coraggio di fare questo. Certo, ci sono anche genitori che invece non si sanno staccare dal letto dei bambini e questo qualche volta crea dei problemi di coppia e anche problemi con i fratelli sani che sono a casa. È davvero un mondo. È un mondo complesso dove molti genitori riescono perfino a fare volontariato nello stesso reparto dove è morto un loro figlio e questo io lo trovo eccezionale.
I genitori hanno una forza straordinaria per i propri figli…
Ci sono delle sere che uscendo dall’ospedale soffro veramente nel vedere le persone in cortile, sedute per terra … É per quello che adesso sto lavorando per dare una sede più dignitosa all’ospedale. Ci sono genitori che dormono mesi e mesi su una brandina accanto al letto del figlio. Ricordo – quando sono stata nominata – quanti papà dormivano in macchina, perché la mamma dormiva con il figlio. Oggi abbiamo una casa di accoglienza anche per loro. C’è veramente una grande forza dei genitori. Quindi sì, in questo senso possiamo dire che sono degli eroi; degli eroi d’amore! Degli eroi non dei santini, perché sono persone vere che sanno amare, che sanno guardare negli occhi i propri figli e godono appena il figlio fa loro un sorriso e li incoraggia, perché i bambini molte volte incoraggiano i genitori.
C’è una storia, tra le tante, che l’ha colpita che può dare anche un messaggio di speranza per questi genitori che vivono la stessa situazione?
Oggi ad esempio dalla leucemia si guarisce all’85 percento. Questo è un messaggio di speranza, perché una volta quando si diceva “leucemia” era sentita come una condanna a morte. I trapianti: qui si fanno trapianti di fegato, di reni, di cuore … Quanti genitori danno una parte del loro fegato ai bambini o danno un rene ai loro figli! Questo è motivo di speranza, perché c’è la possibilità di vivere. Poi pensiamo a tutte le malattie dismetaboliche gravissime. Noi apriremo a fine febbraio il primo centro di cure palliative e ci tengo molto a chiamarlo di “cure palliative”, perché riprendendo il messaggio del Papa per la Giornata del Malato, coloro che non possono essere guariti devono sempre essere curati. Quindi noi li curiamo! Non è un hospice: è un luogo di cura dove i genitori imparano anche a fare delle cure sui figli, a cambiare la PEG, ad avere attenzione al respiratore. Questo permette loro di portarli a casa. Poi ritorneranno, però deve essere un luogo dove si sentono comunque curati. La terribile vicenda di Charlie Gard e Alfie Evans mi ha tanto segnata. Mi sono detta: “I bambini, senza accanimento terapeutico, anche se non guariscono possono essere curati”.
Il Covid ha reso tutto più difficile nei rapporti umani. Come vi siete organizzati al Bambino Gesù per rendere il più “normale” possibile la vita dei genitori e dei bambini che sono qui nel vostro ospedale?
Prima di tutto permettendo ai genitori di essere sempre presenti. Poi, devo dire che ad esempio ho voluto che i genitori – anche prima del Covid – potessero andare in rianimazione accanto ai bambini, perché per me era terribile pensare ai genitori fuori da quella porta che aspettano notizie sui loro figli. E quindi ho chiesto che entrassero in rianimazione. I medici hanno fatto un po’ di resistenza, però poi hanno capito che in fondo questo addirittura aiutava il miglioramento delle condizioni del bambino. Ad esempio quando sono stati ricoverati i bambini alla sede di Polidoro, il genitore se era positivo ancor di più, ma anche se non era positivo, stava in camera con il bambino. Abbiamo avuto il caso di un ragazzo di 17 anni autistico a cui noi abbiamo sempre dovuto assicurare un infermiere perché tenere un ragazzo autistico chiuso dentro una camera è veramente complicato, però c’era anche sempre la mamma.
Ha parlato dell’eroismo dei genitori con bambini che sono ricoverati al Bambino Gesù. Ma anche molti dei suoi medici, dei suoi infermieri, degli operatori sanitari, sono genitori. Cosa ammira di più di in loro?
Questo è un ospedale davvero un po’ speciale, dove c’è una grande dedizione dei medici. Essendo genitori capiscono ancora di più la sofferenza. Medici che il giorno di Natale si alzano da tavola e vanno a prendere in Grecia un bambino che deve essere ricoverato o a trasportare un cuore che può essere trapiantato. In questo periodo in cui sono aumentati i bambini positivi al Covid, ci sono stati medici che - senza essere di guardia o di turno - hanno tranquillamente passato qui il Natale, il Capodanno, ma senza sentirsi degli eroi. Lo fanno con naturalezza, con spontaneità. Credo che questa sia una grande caratteristica di questo ospedale, di questa comunità umana e scientifica. Poi c’è un tono che noi non esaltiamo ma è molto presente: un sussurro spirituale. Nella comunicazione, nell’amore, nell’empatia, passa veramente questo senso di una spiritualità vissuta, di una spiritualità incarnata.
Il Bambino Gesù è a Roma, ma negli ultimi anni ha sempre più esteso il suo orizzonte di intervento a favore, in particolare, di bambini in aree di guerra o di povertà estrema: la Siria, il Centrafrica, la Cambogia … Qual è il suo sogno per il prossimo futuro riguardo a questo impegno?
Noi stiamo facendo un grande lavoro di formazione. Quello che noi possiamo fare è donare il tanto sapere che ha questo ospedale: la ricerca scientifica su cui investiamo tanto. Tutto questo è un grande patrimonio di sapere. E non può essere soltanto nostro. Bisogna donarlo agli altri. Quindi per me la cosa più importante è la formazione che noi abbiamo fatto, molte volte di persona, adesso anche attraverso una piattaforma multilingue on line. Comunicare anche ai Paesi dove qualcuno pensa che non sia possibile recepire. Bisogna credere in questa gente, bisogna credere in loro, altrimenti rimarranno sempre indietro rispetto a noi. In Siria, per esempio, abbiamo lavorato con l’ospedale pubblico. I nostri medici sono andati, in un tempo difficile, e hanno insegnato ai giovani medici. Non immaginate la soddisfazione di quando certe procedure sono riuscite a farle loro. Questo ospedale era un inferno, ma noi ci abbiamo creduto e invece di portare soltanto qualcosa – le medicine, i macchinari – abbiamo portato l’esperienza, il sapere. Non ci siamo fatti prendere dal paternalismo. Adesso stiamo facendo un progetto di formazione a distanza del personale sanitario in Libia. Queste sono le cose che ritengo oggi più importanti. Noi testardamente ci continuiamo a impegnare a farle e penso che sia anche un dono che il Papa fa al mondo.
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