Parolin ai preti: vivere sempre in mezzo alla gente, attenti al linguaggio e al chiacchiericcio
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Vivere con i fratelli e non in disparte, nella prospettiva di un “sacerdozio comune dei fedeli che si realizza nella sinodalità della Chiesa”, stando attenti al linguaggio usato e alla tentazione del “chiacchiericcio”, e dilatando "l’orizzonte del ministero alle dimensioni del mondo”. Offre indicazioni chiare il cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, ai sacerdoti che, da giovedì scorso, prendono parte al Simposio “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”.
Organizzato dal cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, e dal Centro di Ricerca e di Antropologia delle Vocazione, l’evento – aperto da Papa Francesco - è giunto all’ultimo giorno. Preti, religiosi, laici, questa mattina alle 7.30, hanno partecipato alla Messa del Segretario di Stato per poi ritrovarsi in Aula Paolo VI e proseguire i lavori in due sessioni incentrate sul tema “Celibato, carisma, spiritualità”. Tra i relatori presenti: il cardinale Luis Antonio Tagle, padre Gianfranco Ghirlanda, monsignor Paolo Martinelli, Chiara Amirante.
L'identità del sacerdote
Nella sua omelia il cardinale Parolin ha tratto spunto dalla Parola di Dio per riflettere sulla figura e sul ruolo del sacerdote, ma ha richiamato anche l’esortazione post-sinodale Querida Amazonia, per ricordare che ogni presbitero “è segno” di Cristo che “effonde la grazia, anzitutto quando celebra l’Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita cristiana. Questa è la sua grande potestà, che può essere ricevuta soltanto nel sacramento dell’ordine sacerdotale”, ha detto. Nell’Eucarestia e nella Confessione “c’è il cuore della sua identità esclusiva”.
Di “identità” il cardinale ha parlato anche per rilevare “un altro elemento che potrebbe rientrare nella teologia fondamentale del sacerdozio”: “Il prete - ha detto - non vive una sorta di alternativa tra lo stare con Gesù, in disparte, ed essere con i fratelli. Il sacerdote è sempre con Gesù, anche mentre realizza una dimensione fondamentale della propria identità: vivere con i fratelli, caratteristica, peculiare soprattutto del sacerdote diocesano, che il Concilio Vaticano II ha chiamato ‘carità pastorale’”.
In mezzo ai fratelli
“Il Signore ci ha presi con sé. Il Signore però ci propone un percorso in salita, dietro a Lui, per essere suoi amici, e poi incontrare con Lui i fratelli, in una vita offerta e donata a imitazione di Cristo”, ha sottolineato Parolin. A questo percorso in salita, corrisponde però quello in discesa, come i discepoli che sono stati “sul monte” con Cristo e poi scendono “per incontrare gli uomini, soprattutto i poveri”. Gli apostoli, loro “non rimangono da soli, ma Gesù è con loro, scende con loro, li accompagna e opera con loro”, ha affermato il cardinale. Ha quindi citato le “parole profetiche” del Papa “che hanno il sapore della sinodalità”, e cioè che “il sacerdote è un contemplativo della Parola ed è anche un contemplativo del popolo”. Come diceva pure San Paolo VI, il prete “impara insieme a tutti i fratelli a saper leggere negli avvenimenti il messaggio di Dio”.
Il pericolo del chiacchiericcio
In quest’ottica, il segretario di Stato ha invitato a fare attenzione anche al tipo di linguaggio usato. Vi è infatti una “pesante responsabilità che grava sul linguaggio del sacerdote: quante volte Papa Francesco ha richiamato circa il pericolo di quello che Egli chiama il ‘chiacchiericcio’!”, ha detto il cardinale. “Al contrario, in quanto chiamati ad ascoltare il Figlio prediletto del Padre, i presbiteri sentono rivolta a sé in prima persona l’esortazione dell’apostolo Paolo: ‘Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria edificazione, giovando a quelli che ascoltano’”.
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