Lavoro per tutti, inclusi migranti e rifugiati
Questo periodo critico per la nostra storia economica e sociale presenta vaste e ardue sfide a livello globale, ma rappresenta anche l’opportunità di determinare il futuro della nostra società. In questo momento così cruciale occorre prestare particolare attenzione alla questione del lavoro.
Per costruire un avvenire più giusto, in cui l’essere umano sia posto al centro, è necessario abbandonare l’attuale concezione del lavoro quale mezzo finalizzato alla produzione e fare ritorno a quella originale di actus personae – atto della persona. Il lavoro è al servizio dell’uomo, e non il contrario. Con questo assunto, la Chiesa Cattolica riconosce sia il dovere di lavorare, così da contribuire allo sviluppo umano, che il diritto al lavoro, per poter sostenere se stessi e la propria famiglia.
Coloro che sono senza un impiego rischiano di trovarsi relegati ai margini della società. Partendo da tale presupposto, questo bollettino volgerà lo sguardo alle principali sfide che migranti e rifugiati devono affrontare quando si relazionano con il mondo del lavoro. Particolare attenzione sarà dedicata agli effetti della pandemia su queste categorie. Verrà indagata la loro esclusione da ogni impiego, e la conseguente necessità di lavorare in modo irregolare e precario. Il bollettino presenterà, inoltre, buone pratiche volte a facilitare l’accesso al lavoro, nonché a proteggere coloro che entrano nel mercato occupazionale.
La Commissione Vaticana COVID-19
Data la vitale importanza del lavoro nella promozione della dignità umana e dello sviluppo umano integrale, nel novembre del 2021 la Commissione Vaticana COVID-19 (CVC-19) ha lanciato il progetto Lavoro per Tutti. La CVC-19 intende avviare, di concerto con le comunità cattoliche locali di tutto il mondo, un percorso condiviso di discernimento sul futuro dell’occupazione e sulle necessarie modifiche strutturali, per preparare un avvenire in cui ci sia lavoro per tutti.
Le comunità cattoliche locali hanno espresso profonda preoccupazione per l’aggravarsi, durante la pandemia, delle disuguaglianze socioeconomiche ed ecologiche già preesistenti nel settore lavorativo, e per come il virus stesso abbia trasformato tali disparità in una rete di ingiustizie che si rafforzano a vicenda. Pertanto, queste comunità locali hanno sottolineato la necessità di un cambiamento radicale nell’era post COVID-19.
Alla luce di tali preoccupazioni e testimonianze – provenienti soprattutto dai margini della società – la CVC-19 metterà in connessione i change maker e le buone pratiche di tutto il mondo per proporre un percorso inclusivo verso il futuro, partendo dalla creazione di opportunità lavorative che siano di qualità, dignitose, sostenibili e resilienti. Queste soluzioni sono concepite per assumere la forma di risorse pastorali pensate su scala locale, e basate sulle migliori riflessioni scientifiche e teologiche a disposizione, nonché capaci di ispirare azioni collettive e la speranza in un futuro migliore.
Il magistero di Papa Francesco
“In una società realmente progredita, il lavoro è una dimensione irrinunciabile della vita sociale, perché non solo è un modo di guadagnarsi il pane, ma anche un mezzo per la crescita personale, per stabilire relazioni sane, per esprimere sé stessi, per condividere doni, per sentirsi corresponsabili nel miglioramento del mondo e, in definitiva, per vivere come popolo”. Con queste parole tratte dall’Enciclica Fratelli tutti (n. 162), Papa Francesco ci lascia un chiaro messaggio sull’importanza del lavoro per il futuro dell’umanità.
Per uscire da questa crisi e sognare un mondo migliore, il Santo Padre ci chiede, come popolo di Dio, “di far prevalere la fratellanza sull’individualismo”; di ascoltare “il grido che sale dalle periferie della società” e mettere al centro coloro che sono ai margini, come partecipanti attivi al processo di cambiamento. Come affermato da Papa Francesco nella Laudato si’ (n. 128), “aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze. Il vero obiettivo dovrebbe sempre essere di consentire loro una vita degna mediante il lavoro”.
Nel suo messaggio per la Giornata Mondiale per la Pace 2022, Papa Francesco ha sottolineato come “l’impatto della crisi sull’economia informale, che spesso coinvolge i lavoratori migranti, è stato devastante. Molti di loro non sono riconosciuti dalle leggi nazionali, come se non esistessero; vivono in condizioni molto precarie per sé e per le loro famiglie, esposti a varie forme di schiavitù e privi di un sistema di welfare che li protegga”.
Il Santo Padre ci chiede di osservare come tanti lavoratori migranti sopperiscono di fatto alle necessità basilari delle società più sviluppate. Altri cercano di sopravvivere senza un lavoro stabile, e sono spesso vittime di sfruttamento. Allo stesso tempo, nel libro Ritorniamo a sognare, Papa Francesco afferma che in queste periferie esistenziali risiedono, tuttavia, “movimenti sociali, parrocchiali, educativi capaci di mettere al centro le persone, renderle di nuovo protagoniste”. Tali realtà “cercano di trasformare l’ingiustizia in una possibilità: io li chiamo poeti sociali” – conclude il Santo Padre. Nella loro ricerca della dignità e nel loro rifiuto di rassegnarsi alle ingiustizie, egli vede la fonte da cui far nascere il cambiamento. Da questa ispirazione prende vita il presente bollettino, che intende dare voce a questi “poeti sociali”.
Testimonianze e riflessioni
I rifugiati sono costretti ad abbandonare il loro paese d’appartenenza, portando con sé storie di sofferenza e lo stretto necessario. Essi si trovano a dover ricostruire la propria vita da zero, in un paese straniero, dove l’accesso ai servizi di base e alla documentazione necessaria per poter lavorare è spesso difficile. Ciononostante, i rifugiati mostrano spesso una resilienza e forza di volontà fuori dal comune. Come dimostra la storia di Gahizi (EN), rifugiata congolese in Malawi che è stata costretta a lasciare il suo paese a causa della violenza fra tribù. Gahizi è fuggita insieme a sua sorella dopo che i soldati avevano ucciso i suoi genitori e bruciato la loro abitazione. Rifugiatasi in Malawi, non ha permesso tuttavia alle sofferenze passate di cancellare la sua speranza per il futuro. Grazie alla sua partecipazione al programma di inclusione digitale del Jesuit Refugee Service (JRS), Gahizi ha trovato un’occupazione. L’opportunità di lavorare ed essere autosufficiente è tra i modi più efficaci per un rifugiato di ricostruire la propria vita e contribuire in maniera positiva alla propria comunità.
Nel luogo di lavoro, “informale” è spesso sinonimo di invisibile. Durante la pandemia e il lockdown, il lavoro informale è finito il più delle volte ad essere escluso dalle politiche assistenzialiste. Il dialogo con i movimenti popolari rappresenta un punto fermo nel Magistero di Papa Francesco. Questi rappresentano forme associative auto-organizzate utilizzate dai lavoratori dell’economia informale per far fronte ai problemi fondamentali derivanti dalla loro condizione di estrema precarietà. In un articolo sulla rivista gesuita Aggiornamenti Sociali, il Card. Michael Czerny, Prefetto ad interim del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, riflette insieme all’editore Paolo Foglizzo sulle parole di Papa Francesco in occasione del quarto Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari (IMMP). Nel suo discorso, il Santo Padre riconosce una duplice identità degli appartenenti ai movimenti popolari: da un lato quella di vittime di un sistema iniquo, dall’altro quella di protagonisti del proprio riscatto e della costruzione di alternative. A tal riguardo, l’articolo si sofferma sul risalto che Papa Francesco dà alle periferie quali punti privilegiati da cui osservare il mondo. Per tale motivo i movimenti popolari hanno “la responsabilità […] di non tacere, perché l’annuncio di ciò che si vede dalle periferie raggiunga l’intera società”.
La schiavitù moderna è un fenomeno allarmante e sempre più in aumento, persino nelle regioni più sviluppate e democratiche del pianeta. A persone in condizioni disperate viene offerto un lavoro poi non pagato o che si rivela inesistente. Ad esempio, Aranya non credeva che nella moderna Australia esistesse la schiavitù (EN), ingannata da persone che riteneva esserle amiche. Invece di una stanza dove vivere e il lavoro come domestica promessi, si è trovata a dover pagare 100 dollari a settimana per dormire sul pavimento della cucina della casa di uno sconosciuto, che era costretta a pulire senza ricevere una paga. In seguito, Aranya è stata assunta per lavorare in un centro massaggi, che fungeva anche come bordello, pagata a cliente, per un minimo di dieci ore giornaliere, senza la minima idea di come fuggire da una tale situazione. Le vittime della schiavitù moderna sono spesso minacciate o ricattate. Aranya, in particolare, racconta di essersi sentita “persa e vulnerabile. Ero scioccata – afferma – e non sapevo cosa fare, così ho accettato e basta”.
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