Il pericolo della tratta nella ricerca del lavoro
Il traffico di manodopera è il reclutamento, trasporto, trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza di una persona per fini di lavoro o servizi attraverso l’uso della forza, dell’inganno o della coercizione. La tratta finalizzata allo sfruttamento lavorativo si verifica sia nell’economia formale che in quella informale, con i lavoratori migranti particolarmente a rischio.
Il tentativo di fuggire dalla povertà, la fame, la disoccupazione e l’insicurezza, tra le altre cose, hanno spinto un numero considerevole di persone a cercare alternative per migliorare le prospettive di vita proprie e delle loro famiglie. Tale necessità ha contribuito alla formazione di gruppi di criminalità organizzata, altamente strutturati sul territorio, che selezionano persone particolarmente vulnerabili per offrire loro un lavoro.
Una volta cadute nella trappola della tratta, le vittime vengono costrette con la violenza, l’intimidazione o metodi più subdoli, come l’accumulazione del debito o la confisca dei documenti, al fine di sottometterle e inibire ogni loro istinto di fuga o di denuncia.
In difesa contro la Tratta di esseri umani
Nell’Enciclica Fratelli tutti, Papa Francesco esorta l’umanità nel suo insieme a prendere sul serio la questione della schiavitù moderna: “come le organizzazioni criminali utilizzano reti globali per raggiungere i loro scopi, così l’azione per sconfiggere questo fenomeno richiede uno sforzo comune e altrettanto globale da parte dei diversi attori che compongono la società”.
In occasione della Giornata Mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone del 2018, Papa Francesco, parlando ai partecipanti, ha spiegato che “il lavoro di sensibilizzazione deve cominciare da casa, da noi stessi, perché solo così saremo capaci poi di coscientizzare le nostre comunità, stimolandole ad impegnarsi affinché nessun essere umano sia più vittima della tratta”. Il Santo Padre si è, altresì, soffermato sull’importanza dell’educazione quale strumento di protezione contro la tratta, affermando che questa “aiuta a identificare i pericoli e a schivare le illusioni”. Inoltre, egli ha ribadito come “tutti coloro che sono stati vittime di tratta sono fonte inesauribile di supporto per le nuove vittime e importantissime risorse informative per salvare molti altri giovani”. Rivolgendosi a questi ultimi, il Santo Padre li ha esortati all’incontro con i sopravvissuti alla tratta di esseri umani, dal vivo, ma anche attraverso i social network, che se da una parte possono essere un mezzo per adescare potenziali vittime, dall’altra possono essere usati per fare advocacy, condividere buone pratiche o “un racconto positivo delle esperienze di incontro”.
La Coalizione delle organizzazioni cattoliche contro la tratta di esseri umani (CCOAHT) (EN) consta di diverse agenzie cattoliche che lavorano per eliminare il flagello della tratta. Tra le iniziative, la Coalizione si impegna a sensibilizzare l’opinione pubblica attraverso campagne educative e azioni dal basso. Ad esempio, CCOAHT ha puntato i riflettori sul traffico e il lavoro forzato nel settore della pesca. Questo mercato impiega un elevato numero di lavoratori migranti, spesso reclutati tra le comunità di rifugiati e sfollati, attraverso pratiche di assunzione abusive. In particolare, CCOAHT ha sensibilizzato sia i consumatori che le imprese del settore ittico, diffondendo un sondaggio che chiedeva loro se l’etichetta etica con il marchio “no sfruttamento” inciderebbe sugli acquisti e fornendo video online e risorse scaricabili per introdurre le persone ad alcuni degli aspetti più rilevanti del traffico marittimo.
La prima Conferenza Europea del Gruppo Santa Marta (EN), sul tema “Abolire la schiavitù oggi: come riuscirci?”, ha avuto luogo l’8-9 febbraio 2022 a Colonia, in Germania. Durante la Conferenza, il Vescovo Ansgar Puff, Presidente del gruppo di lavoro sul traffico di esseri umani presso la Conferenza Episcopale Tedesca, ha sottolineato la necessità di un “cambiamento culturale”. Noi consumatori, consapevolmente o inconsapevolmente, approfittiamo dei bassi salari e delle condizioni di lavoro disumane. Un punto di partenza può essere l’acquisto consapevole, perché “acquistare è un atto morale oltre che economico”. Un ruolo fondamentale in questo “cambiamento di mentalità” è ricoperto dai media, raccontando storie di vittime liberate e del lavoro svolto da molti organismi che sono al loro fianco. Il Vescovo Puff ha, infine, indicato tre attori chiave che devono essere coinvolti nella lotta: il settore finanziario, i provider e le piattaforme informatiche, e gli imprenditori.
Le buone pratiche degli attori cattolici
La congregazione delle Suore della Carità ha nella sua missione l’abolizione della tratta di esseri umani in Nigeria. In particolare, in ogni comunità della congregazione esiste un piccolo gruppo organizzato, conosciuto come le Link Sisters. Queste hanno il compito di riferire al loro coordinatore su qualsiasi caso sospetto di tratta, così da attivare un’azione immediata volta al salvataggio delle vittime. Attraverso una chat WhatsApp, le Link Sisters condividono informazioni, coordinano le loro attività e intraprendono azioni antitratta. Inoltre, formano persone sul territorio riguardo alla tratta di persone, organizzano programmi di sensibilizzazione con le parrocchie e le scuole locali e tengono assemblee comunali. Questo è solo un esempio dell’immenso lavoro che le religiose cattoliche stanno svolgendo (EN) contro la tratta di esseri umani in Nigeria.
I Salesiani di Don Bosco e VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) hanno unito le forze per lanciare la campagna Stop Tratta, al fine di prevenire la migrazione irregolare e il possibile traffico di manodopera. L’obiettivo è quello di aiutare i potenziali migranti con progetti di sviluppo in modo da fornire loro una scelta alternativa alla migrazione. Tra le diverse iniziative, le mentorship farms in Ghana formano i giovani a rischio di migrazione irregolare a diventare agricoltori, grazie a un corso di apprendistato. Queste “fattorie didattiche”, in cui i giovani possono praticare un’agricoltura sostenibile, sono di proprietà di privati, ma sostenute dalla comunità locale nel suo complesso. Un altro progetto ha luogo in Addis Abeba, dove i potenziali migranti, indeboliti dalle difficili condizioni di vita, hanno lasciato le campagne e diventano possibili vittime dei trafficanti di esseri umani. Il progetto prevede l’istituzione di programmi economici inclusivi che creino opportunità di lavoro per le popolazioni più svantaggiate, potenziando le competenze didattiche dei formatori professionali e promuovendo partenariati tra settore pubblico e privato.
Il Movimento Amistad (EN) è una campagna di educazione a livello nazionale, sponsorizzata dalla Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, che lavora nelle comunità a rischio per aiutare gli immigrati a proteggere i membri della propria comunità contro i pericoli della tratta. A tal fine, il Movimento utilizza la vasta rete della Chiesa Cattolica per raggiungere gli immigrati. Le nuove comunità di immigrati sono particolarmente vulnerabili alla tratta, a causa della loro scarsa familiarità con i sistemi giudiziari e le leggi, le barriere linguistiche e la mancanza di conoscenza delle risorse disponibili. Per tali ragioni, Amistad ha una vasta gamma di strumenti di empowerment educativo per capire come riconoscere e prevenire gli incidenti della tratta di esseri umani a livello locale, in particolare nel mondo del lavoro. Il Movimento si avvale degli stessi immigrati per realizzare cambiamenti duraturi nelle loro comunità, riconoscendo che le migliori soluzioni ai problemi locali nascono e sono guidate dai membri stessi delle comunità colpite.
Il protagonismo dei sopravvissuti
I sopravvissuti al traffico di manodopera sono i veri esperti nel campo della lotta alla tratta di esseri umani. Essi ci insegnano alcuni indicatori di rischio che li hanno portati alla condizione di vittime, in modo da poter migliorare i nostri sforzi di prevenzione. Queste sono alcune delle loro storie:
Quando ha lasciato la sua casa in Uganda, Juanita Ndagire (EN) era sicura di avere un lavoro ben pagato come receptionist in un hotel di Dubai ad aspettarla. Questa era, tuttavia, una bugia che gli agenti con cui era entrata in contatto hanno inventato per venderla come schiava a migliaia di chilometri di distanza da casa. Infatti, Juanita si è ritrovata a lavorare per una numerosa famiglia in Oman, in Asia occidentale, dove ha svolto incessantemente le faccende di casa, in quello che ha definito “un ambiente disumanizzante”. “Ero una schiava in quella casa. Ho lavorato per ore con pochissimo riposo”, ha detto Juanita. È stata liberata e gli è stato permesso di tornare in Uganda solo perché era molto malata. “Ho una vena bloccata e dolori alla schiena a causa del troppo lavoro che mi facevano fare in Oman”, ha spiegato.
Arise Foundation ha messo a disposizione una piattaforma (EN) affinché coloro che sono passati attraverso il dolore dello sfruttamento possano raccontare le loro storie. Tra gli esempi, Ana è una ragazza filippina che è andata a lavorare in Libano dietro l’inganno di un’agenzia. Non ha scoperto che era un’agenzia illecita fino a quando non stava salendo sull’aereo e le hanno negato il contratto. È stata costretta a lavorare per una famiglia dove forniva assistenza per tutte le età, dalla nonna a un bambino, dovendo inoltre pulire casa, cucinare e svolgere altri compiti. “Sono stata umiliata di fronte ai loro amici e la tortura che ho subito da loro quando mi schiaffeggiavano ogni volta che commettevo errori” – ha raccontato. Poi, alla fine è scappata ed è riuscita a tornare dalla sua famiglia nelle Filippine. Ma sta ancora lottando per riprendersi dal trauma: “Ho paura dei luoghi chiusi. Ho paura degli ascensori. Ho paura dei luoghi bui. Prima avevo anche troppa paura del maschio perché, ogni volta che mi toccavano, mi tornavano in mente le molestie che ho subito in Libano”.
Si stima che più di 300.000 bambini siano vittime dell’industria dei tappeti in India. La maggior parte dei tappeti dell’India sono prodotti in Uttar Pradesh, dove la maggior parte dei lavoratori sono ragazzi indù di bassa casta. Ravi Shanker Kumar era uno di questi. I suoi genitori cedettero all’accordo di ricevere una somma di denaro purché Kumar lavorasse al telaio. Lì ha lavorato senza paga, per dodici o quindici ore al giorno, sette giorni alla settimana. È stato picchiato, torturato e tenuto malnutrito e mal vestito. Il cambogiano Vannak Prum aveva lasciato la moglie incinta nella speranza di tornare a casa in pochi mesi con i soldi per sostenere la sua famiglia in aumento. Invece, Prum non avrebbe visto la sua famiglia per quattro anni. È stato costretto in schiavitù su una barca da pesca thailandese dove ha sopportato torture, fame e la costante minaccia di morte. Potete leggere le loro e altre testimonianze (EN) delle vittime del traffico di lavoro.
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