Processo vaticano, l’autodifesa di Brülhart: ho sempre servito la Santa Sede con dedizione
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Interrogatorio fiume oggi, nella dodicesima udienza del processo per illeciti compiuti con i fondi della Santa Sede, a Reneé Brülhart, l’ex presidente dell’Aif (Autorità di Informazione Finanziaria) che, “fermamente convinto di non aver commesso alcun reato”, ha giudicato “inverosimile e denigratorio leggere di condotte poste in essere per dare vantaggio a persone che non conosco”. A danno peraltro di una Santa Sede servita “con impegno e dedizione” dal 2012.
Numerose domande
L’avvocato svizzero – a cui non è stato rinnovato l’incarico a capo dell’Autorithy nel novembre 2019 -, coadiuvato da una interprete dall’inglese, è stato interrogato dalle 10.30 circa fino alle 15.30. Numerosissime le domande delle parti, molte delle quali ripetute o non ammesse. Il presidente del Tribunale Vaticano, Giuseppe Pignatone, per alleggerire il clima, ha ironizzato: “Dovremmo finire prima del 2050, è speranza di tutti e di vita”. Il protrarsi dell’udienza ha inoltre impedito che fosse interrogato l’ex direttore dell’Aif, Tommaso Di Ruzza (presente in aula), che sarà ascoltato il prossimo 27 aprile.
Il lavoro di Brülhart per la Santa Sede
Accusato di abuso d’ufficio, Brülhart ha letto una dichiarazione spontanea in cui ha voluto fornire “chiarimenti e precisazioni” per “evidenziare” quella che ha definito “l’infondatezza delle contestazioni”. Anzitutto, ha chiarito il rapporto professionale con la Segreteria di Stato, la Segreteria per l’Economia e la stessa Aif (ora Asif). Quindi ha ripercorso la ‘carriera’ vaticana, dove era stato chiamato come “esperto internazionale”, nel maggio 2012, in qualità di consulente Aif “per garantire il funzionamento del sistema anti-riciclaggio” della Città del Vaticano, all’epoca considerato “Paese ad alto rischio” dal gruppo Egmont. Da consulente a direttore Aif, poi presidente dell’Autorithy e consulente della Segreteria di Stato – molte sono state le domande degli avvocati su questo doppio ruolo e un eventuale conflitto d’interesse - Brülhart ha assicurato di aver operato sempre per i fini assegnati in accordo con le istituzioni vaticane.
Tre punti sulla vicenda di Londra
Della compravendita del palazzo in Sloane Avenue, a Londra, l’ex presidente Aif ha detto di esserne venuto a conoscenza “in modo sommario” dal sostituto della Segreteria di Stato, monsignor Edgar Peña Parra, che temeva la perdita del controllo dell’immobile a causa delle mille azioni con diritto di voto rimaste al broker Gianluigi Torzi. L’arcivescovo sottolineava la “necessità di terminare ogni rapporto con Torzi e con soggetti a lui legati” e chiedeva assistenza a Brülhart. Il quale ha affermato in aula che non si procedette allora ad azioni legali per “tre punti” illustrati dal sostituto: la “posizione debole” dal punto di vista contrattuale della Santa Sede, eventuali ingenti danni finanziari, i possibili danni anche reputazionali.
“Se ci fossero stati elementi sufficienti per segnalare un’attività sospetta”, ha detto inoltre Brülhart, questo avrebbe permesso all’Aif di iniziare una “attività di intelligence con istituzioni straniere e anche di stabilire canali e indagare i flussi finanziari”. Ha spiegato di aver offerto suggerimento, chiarendo che, appunto, si trattava solo di un suggerimento e non di una indicazione vera e propria, perché presentare una causa sarebbe spettato alla Segreteria di Stato, sulla quale “l’Aif non ha alcun potere di vigilanza”. Una frase che Brülhart ha ripetuto in continuazione.
Superiori informati
L’ex presidente dell'Autorità di Informazione Finanziaria ha detto inoltre di essere stato ricevuto dal Papa, il 7 marzo 2019, che gli “confermava la necessità di assistere la Segreteria di Stato”. Ha dichiarato pure di aver informato il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato: “Sempre mi sono confrontato coi superiori in piena trasparenza”. A Brülhart furono indicati poi monsignor Mauro Carlino e l’architetto Luciano Capaldo come “persone di fiducia” con cui interfacciarsi. In particolare Capaldo che, vivendo a Londra, intratteneva rapporti con lo studio legale che assisteva la Segreteria di Stato, Mishcon de Reya.
5 milioni in più
A René Brülhart è stato chiesto conto, dal promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, dei 5 milioni di euro dati a Torzi per chiudere le trattative. Come si ricorderà, a Torzi furono erogati 15 milioni di euro in due fatture: una di 10 con la causale di “commissione di intermediazione”, l’altra di 5 per “analitica consulenza di investimenti immobiliari”. Ma perché questo secondo bonifico? In un documento riservato - che non seguiva il normale protocollo ma di cui Brülhart non ha dubitato della credibilità provenendo da una email inviata da Tirabassi al sostituto - si riportava che Torzi aveva richiesto il 3% sul valore dell’immobile di Londra, pari a 270 milioni. Secondo un calcolo, al broker bisognava corrispondere dunque una decina di milioni. Brülhart ha detto di non sapere nulla su questi 5 milioni aggiuntivi e di esserne venuto a conoscenza tramite un messaggio WhatsApp di don Carlino che inviava la fattura. Lui ha detto di averla girata subito a Di Ruzza che avrebbe risposto: “Non posso crederci”. Il motivo della risposta non è stato chiarito.
Irregolarità
Diddi ha ribattuto: l’attività di capitalizzazione del Palazzo Londra poteva rilevarsi come sospetta? “C’erano irregolarità sull’immobile”, ha confermato Brülhart. Quali? Anche questa risposta, tra la ricerca di documenti e le difficoltà nella traduzione, è stata sfumata. In ogni caso, ci ha tenuto a precisare, la segnalazione su attività sospette all’Aif non era di sua competenza ma era di competenza della Segreteria di Stato. E ha ribadito che ogni qual volta ha avuto in mano documenti su Londra, li ha sempre girati alla direzione Aif che aveva “un ruolo esecutivo e operativo”.
Secondo interrogatorio a Carlino
Nel pomeriggio si è poi svolta la seconda parte dell’interrogatorio a don Mauro Carlino. Il monsignore leccese è stato incalzato dal difensore di Torzi, Marco Franco, che ha insistito in particolare sulla figura di Capaldo, definito “convitato di pietra” di questo processo e che, secondo il legale, dovrebbe figurare tra gli imputati. Carlino ha spiegato che l’architetto aveva avuto precedentemente contatti con Torzi dal quale si era voluto distaccare “non condividendone il modus operandi”. “Guardando all’incartamento” sul Palazzo di Londra con lo studio Mishcon de Reya, Capaldo presentò a dicembre 2018 alla Segreteria di Stato “alcune problematiche” sulla figura del broker. Quando Carlino fu coinvolto nella vicenda nel gennaio 2019 trovò quindi già Capaldo come “uomo di fiducia”.
Infine il monsignore ha smentito di essere stato a Londra il 1° maggio 2019, dove – secondo l’accusa – si era recato con un volo RyanAir da Napoli. Quel giorno, ha assicurato, era in Campania in un monastero, per pranzare con le suore e guardare la partita della sua squadra del cuore, il Lecce. Ha inoltre negato di essere stato influenzato dal cardinale Becciu nel dover lasciare Casa Santa Marta. “Assolutamente no, ricevetti una lettera di Parolin in cui si diceva di lasciare con una certa celerità Santa Marta. Nella mia vita, mi è piaciuto o no, ho sempre obbedito”.
Prossime udienze
Fissato infine il nuovo calendario: il 27 aprile sarà interrogato Di Ruzza, il 28 il finanziere Enrico Crasso. Slitta al 5 maggio (era fissato per dopodomani) l’interrogatorio al cardinale Becciu, che sarà sentito “su tutti i capi di imputazione”. Il 19 sarà il turno di Tirabassi.
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