Gallagher: questa guerra metta fine alla logica della deterrenza nucleare
di Valerio Palombaro
Educare alla cultura dell’incontro significa educare all’arte del movimento verso la pace, “tirando fuori” le persone, le nazioni, i popoli dalla spirale della guerra per portarli sulla strada del dialogo e della ricerca del bene comune. Questo il messaggio dell'arcivescovo Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati, nel suo intervento oggi pomeriggio al convegno “La cultura dell’incontro: imperativo per un mondo diviso”, organizzato a Villa Malta a Roma da Civiltà Cattolica e dalla Georgetown University. “Dobbiamo ammettere che oggi viviamo in un mondo che è sempre meno governato dalla cultura dell’incontro”, ha riconosciuto il presule osservando che “agendo in questo modo, però, il nostro mondo sta morendo per il suo egoismo”. Il segretario per i rapporti con gli Stati ha citato quindi Papa Francesco, il quale invita il mondo a superare la “cultura dello scarto” per sviluppare “la cultura dell’incontro”, contrapponendo "alla globalizzazione dell’indifferenza la globalizzazione della fraternità”.
Monsignor Gallagher ha poi ricordato che oggi “la Santa Sede, attraverso la sua attività diplomatica, è membro di organizzazioni internazionali, partecipa a conferenze internazionali, concorre alla codificazione internazionale e continua a promuovere il riconoscimento della dignità della persona, la pace e la concordia tra le Nazioni”. “La Santa Sede - ha sottolineato - si è presto dedicata ad operare attivamente nella cosiddetta diplomazia multilaterale, accanto all’ambito più tradizionale della diplomazia bilaterale”. Secondo il presule, “quando nella comunità delle Nazioni manca una cultura dell’incontro, solo le persone, le categorie e le entità più forti si fanno spazio nel mondo emarginando i più deboli e accumulando quelle tensioni da cui nascono i risentimenti e le guerre; perciò la società non ha pace perché manca di carità: è egoista, non si apre ai problemi altrui”.
Il segretario per i Rapporti con gli Stati ha invitato quindi a un “radicale mutamento del nostro stesso sguardo sul mondo” ed a “interrogarci sul divenire dell’umanità”. “Il mondo è attraversato da instabilità, incertezze e dalla paura strisciante che possa scatenarsi una guerra globale”, constata Gallagher riprendendo le parole del Papa per dire che “dialogo e fraternità sono i due fuochi essenziali per superare la crisi del momento presente”. Bisogna anche ripensare, a suo modo di vedere, le idee di progresso, di crescita, di globalizzazione impegnandoci a misurare la crescita “in termini diversi da quelli puramente quantitativi relativi del Pil” per arrivare a indicatori che si riferiscano “alla dignità ed allo sviluppo umano”.
“Siamo nel pieno di uno scontro da cui non sappiamo cosa potrà nascere”, ha detto monsignor Gallagher, osservando che “mai come oggi la politica sembra selezionare una classe dirigente con poca visione”. Nella sua visione, bisogna pertanto “affrontare questa drammatica crisi culturale” per “rigenerare la democrazia” e ridare “credibilità alla politica”. Il presule ha concluso con le parole pronunciate da Papa Francesco in occasione del 75.mo anniversario delle Nazioni Unite, quando ha asserito che “da una crisi non si esce mai uguali” e ci sono due cammini possibili: uno porta al rafforzamento del multilateralismo, come “rinnovata corresponsabilità mondiale”; l’altro predilige il nazionalismo e l’isolamento escludendo i più poveri, i più vulnerabili, gli abitanti delle periferie esistenziali.
Rispondendo infine a una domanda al termine del suo intervento, Gallagher ha affermato che nell’attuale conflitto in Europa "la prima vittima della guerra è la verità” e ha terminato evidenziando che tale guerra è resa acor più pericolosa per l’esistenza delle armi nucleari, auspicando che si possa trasformare in un’opportunità per mettere fine alla logica basata sulla deterrenza nucleare.
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