Processo vaticano, Perlasca a sorpresa in aula. Marogna deposita un memoriale
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Sedicesima udienza del processo in Vaticano. Ore 15.03. Nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani è entrato a sorpresa, da un ingresso laterale, monsignor Alberto Perlasca, ex capo dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato e considerato il “testimone-chiave” del procedimento per presunti illeciti coi fondi della Santa Sede. In quel momento, il cardinale Angelo Becciu, seduto al banco degli imputati, stava affermando: “…se ci fosse stato il minimo sospetto, Perlasca non sarebbe stato al posto dove stava. Pensavo che Perlasca stesse facendo bene le cose”. Oggetto delle dichiarazioni del cardinale, al suo quarto e ultimo interrogatorio, era l’investimento sul Palazzo di Londra, per il quale Becciu ha dichiarato che né il monsignore né altri dell’Ufficio Amministrativo e tantomeno il finanziere Enrico Crasso, consulente del Dicastero da decenni, gli esposero delle criticità. E neanche dettagli come il mutuo di 75 milioni di sterline con la Deutsche Bank.
Perlasca allontanato dall'Aula
Perlasca si è seduto in ultima fila tra i giornalisti. Il promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi, ha segnalato la sua presenza. Presenza non opportuna essendo il prelato un testimone. Perlasca è stato infatti invitato ad uscire. “No, io resto!”, ha esclamato. Ma il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha ordinato che abbandonasse immediatamente l’aula. Cosa che il monsignore ha fatto.
Dichiarazione spontanea di Becciu
Becciu ha proseguito quindi nel suo interrogatorio, iniziato alle 10.50 e concluso intorno alle 17.35. Stamattina ha rilasciato una dichiarazione spontanea per esprimere “sofferenza e umiliazione” dinanzi a certe domande dell’interrogatorio di ieri “che hanno leso la mia dignità sacerdotale e la mia onestà personale”. Ha comunicato pertanto che non avrebbe risposto a questioni sulla vicenda Spes (la cooperativa sarda gestita dal fratello Antonio), ma solo su quelle relative ai capi di imputazione: i due contributi del 2015 e del 2018 di 100 mila e 25 mila euro. Pronta la replica di Pignatone: “Questo processo penale si svolge secondo le regole del Codice, le domande poste dal Promotore sono valutate dal Tribunale sulla loro ammissibilità, non certo mirate a ledere in alcun modo la sua dignità personale e cardinalizia”.
Interrogatorio di Diddi
Il presidente del Tribunale ha dato quindi parola a Diddi che, con l’ausilio ancora del videoproiettore, ha domandato di un versamento di 4 mila euro della manager sarda Cecilia Marogna (imputata). La somma faceva parte dei 14.150 euro chiesti da Becciu, non più sostituto, a Perlasca? “Servivano per la nota operazione, mi avvalgo della facoltà di non rispondere”, ha tagliato corto il cardinale. La “nota operazione” è la liberazione di suor Gloria Navaes Goti, francescana colombiana sequestrata in Mali nel 2017 e liberata l’anno scorso. Seppur sollevato dal segreto pontificio, ieri Becciu aveva dichiarato di non voler “ulteriormente dettagliare” la vicenda. Oggi lo stesso.
Le memorie di Cecilia Marogna
Un'altra sorpresa della mattinata è stata una memoria di Cecilia Marogna dedicata alle attività di intelligence che lei, insieme a società di sicurezza estere, avrebbe svolto. L’imputata, mai venuta in Aula, ha prodotto una testo che il suo legale, Fiorino Ruggio, ha annunciato di voler depositare in Cancelleria insieme a un report del Copasir. L’avvocato diceva di non voler porre domande al cardinale perché la Corte avrebbe prima dovuto leggere il memoriale, quasi a far intuire che si trattasse di temi che non era il caso di rivelare pubblicamente. “Non funziona così, lei deve fare domande”, ha ordinato Pignatone. Ruggio ha poi consegnato ai giornalisti in Aula la copia del documento.
Ventidue pagine, una girandola di nomi e circostanze. Spicca il nome di due russi (Goloschchapov Konstantin Veniaminovic e Lukjanov Vladimir Nikolayevich), presunti delegati diplomatici di Vladimir Putin introdotti da un imprenditore romano, Piergiorgio Bassi, a sua volta amico del generale Giovanni Caravelli, che chiedevano un incontro con Becciu per ricevere in dono le reliquie di San Nicola di Bari. “La conversazione è riservata e non voglio farne menzione”, ha detto Becciu. Gli stessi russi – si legge nel documento - avrebbero rivendicato un trust denominato “Imperial”, depositato “da moltissimi anni” allor Ior (trust, peraltro, inesistente). Bassi si mostrava interessato e pretendeva da Becciu anche un incontro con l’autoproclamato presidente della Catalogna, "Puigdumon", durante la crisi per il referendum, ma solo via Skype e solo in collegamento dall’appartamento privato.
Contatti, nomi, bonifici
Sempre nel memoriale, si parla di rapporti con il Gaula, il vertice dei servizi segreti colombiani, con le intelligence nel Sahel, di bonifici percepiti dalla società britannica Inkerman per la liberazione di suor Gloria, con importi “notevolmente superiori” a quanto dovuto. Come quello trasmesso nel 2018 di 350mila sterline (erano previste 170 mila). Nel documento si parla anche di boicottaggi, contatti di alto livello - segreti o via social - e di rapporti diplomatici. Si citano Aise, Siu, Nazioni Unite, nomi di vescovi, nunzi, cardinali.
Il pernottamento
Sempre Marogna è stata protagonista della parte iniziale dell’interrogatorio del Promotore di Giustizia, tornato sulla sera del 16 settembre 2020 in cui la donna pernottò nell’appartamento vaticano di Becciu. Sul muro dell’aula è stata mostrata una foto scattata con le telecamere della manager con un grande trolley. “Sapevo che doveva proseguire per Milano”, ha spiegato il cardinale rispondendo alle domande sulla valigia. “Ci intrattenemmo in conversazione, mi doveva aggiornare sulla situazione della liberazione della suora”. Diddi ha continuato a chiedere dettagli. Cosa che provocato reazioni accese degli avvocati della difesa, tanto da far esclamare a Pignatone: “Non sono ammessi questi toni!”.
Nuova ordinanza
Proprio per smorzare le tensioni generate dalle continue opposizioni dei legali, il presidente ha sospeso l’udienza per formulare un’ordinanza sulla possibilità di porre determinate domande. Venti minuti dopo è stato letto in aula il documento in cui si dice che il Promotore può porre le domande che ritiene opportune, che sono pertinenti e che l’imputato può eventualmente avvalersi della facoltà di non rispondere.
Finanziamenti Cei
E della facoltà di non rispondere Becciu si è avvalso per tutta la raffica di domande sui finanziamenti Cei, in particolare le lettere e i messaggi suoi, del fratello Antonino e di monsignor Mauro Carlino, ex segretario personale, che si informava per conto di Becciu da interlocutori Cei sullo stato dei versamenti. Solo una volta il cardinale ha risposto, per ammettere che erano “tante, tante” le situazioni di cui si occupò e non solo Ozieri: “È la Curia romana… quando arrivano segnalazioni, si decide di girarle a chi interessato”. Per il resto, il porporato ha sempre risposto: “Non voglio e non posso rispondere. Chiudo qui”.
Parti civili
Le domande su Spes, progetti Caritas Sardegna, contributi Cei e via dicendo, sono tuttavia proseguite fino a dopo la pausa pranzo, da parte del Promotore ma anche dell’avvocato Elisa Scaroina, rappresentante civile della Segreteria di Stato. La legale, in particolare, si è soffermata su un ordine emesso da Becciu nel 2013 di trasferire tutti i fondi dell’Obolo di San Pietro a un conto intestato ad Affari Generali della Segreteria di Stato “senza specificazione”. Il cardinale ha detto di non ricordare: “O mi date il dossier che accompagna il file o mi è difficile”.
Il ruolo di Crasso
Il 2013 è l’anno in cui, ha rilevato il professor Giovanni Maria Flick, rappresentante Apsa, “si cambia strategia in Segreteria di Stato” e si punta a investimenti nel settore immobiliare. Vengono quindi introdotti nuovi personaggi. Becciu chiese un approfondimento su queste persone? “Certo. Quando c’è stato qualche dubbio su Mincione si è fatta subito un’indagine. Il punto di referenza era il dottor Crasso che era già da vent’anni lì e garantiva”. Ancora di Crasso, Becciu ha spiegato - in risposta alle domande del rappresentante Ior, Roberto Lipari - che ogni proposta di investimento passava attraverso di lui. “Abbiamo un deficit molto alto della Santa Sede, da anni ce lo stiamo trascinando. Noi come Segreteria di Stato cercavamo di appianare con i nostri cespiti”, ha poi aggiunto, rivelando pure che lo Ior ogni anno disponeva un contributo di 50 milioni (sceso nel tempo a 30) destinato alle spese per le Nunziature Apostoliche e la Radio Vaticana.
Investimenti delle banche
Lipari, ma anche l’avvocato del broker Raffaele Mincione, Gian Domenico Caiazza, hanno fatto notare che gli investimenti della Santa Sede venivano fatti tramite la gestione patrimoniale delle banche. Così è avvenuto con l’affare di Londra e la Credit Suisse per cui furono stipulati sette contratti. La Segreteria di Stato, in sostanza, dava soldi alle banche che, dopo aver applicato le loro commissioni, investivano. “Ne era al corrente?”, hanno domandato gli avvocati. Becciu ancora una volta ha risposto che di questi “dettagli tecnici” se ne occupavano Perlasca e i collaboratori dell’Ufficio Amministrativo. In primis Fabrizio Tirabassi, che sarà interrogato domattina.
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