Crasso: non ho frodato la Segreteria di Stato, non voglio pagare errori di altri
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Undici capi di imputazione non sono pochi… Mi auguro che mi giudicherete per quello che ho fatto io e non per quello che hanno fatto gli altri”. Quasi un appello al Tribunale vaticano, quello di Enrico Crasso, imputato nel processo per presunti illeciti con i fondi della Santa Sede. Il finanziere, ex area manager di Credit Suisse Italia e poi amministratore di diverse società, dagli anni ’90 “consulente finanziario” (pur ribadendo di non aver mai avuto un incarico formale) della Segreteria di Stato, ha concluso il suo interrogatorio oggi, ventiduesima udienza nell’Aula polifunzionale dei Musei Vaticani.
Respinta ogni accusa
Già interrogato il 30 maggio dal Promotore di Giustizia aggiunto, Alessandro Diddi (oggi assente), e dai rappresentanti delle parti civili, Crasso questa mattina - in un’udienza dai tempi rapidi rispetto alle precedenti (due ore e mezza circa, dalle 13.20 alle 15.50) – si è sottoposto alle domande del suo legale, Luigi Panella. “È falso”, “non so nulla”, “respingo nella maniera più assoluta questa accusa”, sono state le frasi più ricorrenti nelle sue risposte. Il finanziere si è detto estraneo a una serie di operazioni contestate dall’accusa: depositi effettuati sul Fondo Athena di Raffale Mincione, 38 milioni di dollari depositati in Deutsche Banke, sottoscrizione di bond in società sempre di Mincione, investimenti in Carige, poi finanziamenti, quotazioni in borsa, acquisto crediti sanitari e altro. Nel rinvio a giudizio, Crasso risulta accusato di truffa, corruzione, estorsione, peculato, abuso d’ufficio, riciclaggio, autoriciclaggio, falso in atto pubblico e scrittura privata. Tutti reati che oggi, così come nell’altra udienza, ha rigettato.
La dichiarazione spontanea
In una dichiarazione spontanea, l’imputato si è rivolto al presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, e ai giudici a latere: “Mi auguro che questo Tribunale voglia giudicare la mia attività di gestore, non mi metta in condizione di pagare attività di altri soggetti…”. Ricordando un interrogatorio, ha raccontato che “un signore mi disse: ‘Dottor Crasso, ma è possibile che lei non ha un sassolino nella scarpa da togliersi? Tutti qui hanno parlato male di lei indistintamente. Lei non ha nulla da dire?’. È vero: tanti nemici, tanto onore, ma qui si mette in gioco la vita e la reputazione delle persone…”.
"Mai predisposto un piano per frodare qualcuno"
Esibendo diversi documenti, il finanziere ha rivendicato poi i “risultati” prodotti in Segreteria di Stato in termini di reddito e profitto. E ha affermato che, pur essendo stato schernito in alcune chat trovate negli atti come “vecchietto o Crassus”, lui è stato “un baluardo per la difesa della liquidità della Segreteria di Stato”. “Non c’è un pezzo di carta, un documento nelle 550 pagine di chat che provi che io con Torzi abbia predisposto un piano per frodare la Segreteria di Stato, mia cliente per 26 anni. Mi chiedo dove sono finito”.
L'interrogatorio del difensore di Torzi
Diverse le domande del difensore di Torzi, l’avvocato Marco Franco, tutte sulla vicenda che ha portato all’acquisto del Palazzo di Londra. In particolare ci si è soffermati sulla già citata riunione del novembre 2018 in un bar a via Margutta, al centro di Roma, con Torzi, Tirabassi e l’avvocato Manuele Intendente. Crasso era stato invitato “per un caffè”. Tirando fuori “all’improvviso” il discorso Palazzo di Londra, Torzi disse: “Ci parlo io con Mincione, a me non può dire di no”. Il finanziere ha detto di non sapere il significato di quelle affermazioni e di aver capito solo in seguito il motivo dell’incontro: “La Segreteria di Stato era libera di trasferire le proprie liquidità, non vedevo il motivo della riunione… L’ho capito dalle chat negli atti. Da un mese parlavano di questo problema di uscire da Athena. Mi è dispiaciuto… Nella vita non si finisce mai di imparare”.
La riunione a Londra
Dalla riunione al bar si passò in poche settimane alla grande riunione a Londra (20-22 novembre 2018) nello studio di Torzi in cui furono stabiliti i termini del passaggio dal Gof di Mincione al Gutt dello stesso Torzi. Crasso, inviato da monsignor Alberto Perlasca, responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato, ha smentito di essersi mai “appartato” con Torzi e Tirabassi “per fare un calcolo di quanto restituire a Mincione”: “In 42 anni nella finanza non faccio pezzi di carta”.
Le mille azioni con diritto di voto a Torzi
Allo stesso modo ha detto di non aver né saputo né capito allora che a Torzi erano state concesse mille azioni con diritto di voto, che di fatto gli davano il controllo totale dell’immobile. Torzi spiegò che servivano a gestire il Palazzo o pagare una fee in caso di vendita. “Perlasca aveva la volontà di continuare con Torzi nella gestione dell’immobile”, ha aggiunto ancora Crasso. Mentre lo studio Baker & McKanzie, in contatto con la Segreteria di Stato, suggeriva di “chiudere” col broker evitando azioni legali, principalmente per motivi reputazionali. “Sono convinto che se non avesse preso le mille azioni, Torzi sarebbe ancora il gestore del Palazzo”, ha chiosato il finanziere. Riguardo al suo ruolo in tutta questa vicenda, ha invece affermato: “È stato un gravissimo errore. Da questa storia dovevo restarne fuori”.
Prossime udienze
Le prossime udienze si terranno il 7 e l’8 luglio; proseguirà l’interrogatorio Tirabassi. In programma anche il 14 e il 15 luglio, probabilmente per l’audizione dei testimoni. Che, stando a quanto affermato en passant da Pignatone, potrebbero essere circa 200.
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