Giraud sulla guerra in Ucraina: “Negoziato, o sarà distruzione totale”
ANDREA TORNIELLI
“Faccio appello ai Capi delle nazioni e delle Organizzazioni internazionali, perché reagiscano alla tendenza ad accentuare la conflittualità e la contrapposizione. Il mondo ha bisogno di pace. Non una pace basata sull’equilibrio degli armamenti, sulla paura reciproca”. La crisi ucraina “può ancora diventare, una sfida per statisti saggi, capaci di costruire nel dialogo un mondo migliore per le nuove generazioni”. Così Papa Francesco all’Angelus di domenica 3 luglio è tornato a parlare della pace in Ucraina, auspicando che si passi “dalle strategie di potere politico, economico e militare a un progetto di pace globale: no a un mondo diviso tra potenze in conflitto; sì a un mondo unito tra popoli e civiltà che si rispettano”. Quella del Vescovo di Roma, in questi ultimi mesi di combattimenti e di assenza di efficaci iniziative diplomatiche, è stata una delle poche voci che si è alzata in favore della pace e del negoziato. Un negoziato che sembra impossibile. Ne abbiamo parlato con il gesuita francese Gaël Giraud, economista, direttore dell’Environmental Justice Program della Georgetown University e ricercatore senior del CNRS (Centre national de la recherche scientifique) di Parigi.
Padre Giraud, perché è così difficile arrivare a un negoziato?
Vediamo l’escalation militare e verbale di questa guerra, le stragi che sono state compiute, la distruzione delle città dell’Ucraina. Ma dobbiamo constatare anche l’esistenza di lobby belliciste che non vogliono la fine del conflitto, non vogliono un negoziato che porti sullo stesso tavolo i governi russo e ucraino a trattare su un progetto concreto, perché sono lobby interessate al riarmo e al cambio di regime a Mosca, cioè vogliono la fine di Vladimir Putin. Ma grazie a Dio sta crescendo il numero di persone che chiedono la pace e credono nell’assoluta necessità di una soluzione negoziale. Negli Stati Uniti, un accademico come Jeffrey Sachs ha sostenuto pubblicamente una tregua negoziata.
Chi vuole questa guerra?
Diciamo che la vuole innanzitutto la Russia, che ha aggredito l’Ucraina e commette crimini di guerra. Ma la preparano dal 2014 coloro che vogliono usare questa guerra per rovesciare Putin e mettere in ginocchio la Russia, anche a costo di trasformare l’Ucraina in un nuovo Vietnam portandola verso la distruzione totale. Proprio per evitare questo esito disastroso, che potrebbe portarci a un nuovo conflitto mondiale, è assolutamente necessario negoziare, arrivare a una tregua e poi alla pace…
Quali soluzioni negoziali vede possibili?
La guerra oggi è a un punto di svolta se è vero che le truppe russe hanno conquistato la città di Lysychansk, punto strategico per una possibile riconquista del nord da parte della Russia. Sono convinto che la base per un negoziato serio sia ancora rappresentata dagli accordi di Minsk 2 del 2015, che non sono mai stati rispettati né dalla Russia né dall’Ucraina. La soluzione – questa è la mia opinione personale - è il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass, anche attraverso un referendum popolare che attesti la volontà dei suoi abitanti. Lo stesso vale per la Crimea, che fino al 1954 faceva parte della Russia e dove la popolazione si è già espressa con un referendum. Inoltre serve l’impegno dell’Ucraina a non chiedere l’ingresso nella NATO, né oggi né in futuro.
Ma negoziare con questi obiettivi non sancirebbe di fatto la vittoria dell’aggressore russo?
Capisco perfettamente che quanto ho detto rappresenta un problema per l’unità territoriale degli ucraini. Ma mi domando: qual è l’alternativa e che prezzo comporta? L’alternativa è la distruzione totale dell’Ucraina, dopo una guerra lunghissima, con il Paese devastato e trasformato in un campo di rovine paragonabile alla Cecenia del 2000. Le conseguenze per tutti, ma in primo luogo per gli ucraini, sarebbero molto più devastanti di quanto lo sia stata finora questa guerra assurda nel cuore dell’Europa.
Non crede nel fatto che l’attuale governo russo possa implodere, come si legge spesso nelle analisi degli esperti?
Credere che rovesciando Putin la Russia diventi un Paese più filo-occidentale è una pia illusione, a mio avviso. Il numero due del Cremlino è – a detta degli analisti più attenti – il Segretario del Consiglio di sicurezza, Nikolaj Patrushev. A lui sarebbe stato affidato il potere quando Putin si è sottoposto a un intervento chirurgico e secondo molti osservatori sarebbe proprio Patrushev colui che potrebbe prendere il posto di Putin in futuro. Di certo con lui la Russia non sarà diversa, ma c’è il rischio piuttosto che si verifichi un’instabilità, e l’instabilità porta sempre a nuove guerre, non alla pace. A chi sogna il regime change, mi sentirei di consigliare prudenza e uno sguardo attento alla storia recente: guardate Saddam Hussein o Gheddafi. Lo so che il paragone è forte e le situazioni sono diversissime perché la Russia non è l’Iraq né la Libia, ma pensiamo a che cosa è accaduto a quei Paesi dopo il cambio forzato di regime.
Lei è d’accordo sull’invio di armi pesanti e missili all’Ucraina sotto attacco?
Se posso esprimermi in tutta sincerità, mi permetta di dire che trovo questo atteggiamento un po’ ipocrita, specie da parte dell’Europa. Da una parte si inviano armi per aiutare l’esercito ucraino a combattere quello russo, dall’altra si continua a comprare il gas e petrolio russo pagandolo in rubli e così si finanzia la guerra condotta dal Cremlino. Per ora la Germania non intende rinunciare al gas russo, nemmeno a lungo termine. Se si fosse messa in atto seriamente la transizione ecologica, che avrebbe rappresentato per le economie dei Paesi una grande opportunità, non vivremmo questo dilemma.
Però, appunto, il gas russo serve, e serve in particolare ad alcuni Paesi europei…
Sì, e ancora non ci stiamo rendendo conto delle conseguenze di questa guerra nel prossimo futuro. L’Ucraina è un Paese in grado di produrre il grano che serve per sfamare 600 milioni di persone, possiede importantissimi giacimenti di minerali e faceva parte della nuova Via della Seta, uno dei più grandi piani infrastrutturali e d’investimento per collegare la Cina ad altri 67 Paesi. Vediamo già come la guerra stia avendo conseguenze per la mancanza di grano che serviva ai Paesi del Nord Africa. Ci sono molti interessi in gioco. Il proseguimento della guerra significherà una tragedia alimentare per alcune zone dell’Africa e la continuazione dell’inflazione globale, guidata principalmente dalla mancanza di petrolio russo. E questa inflazione può, a sua volta, causare una nuova crisi finanziaria a causa dell’aumento dei tassi delle Banche centrali. Nel frattempo, le sanzioni contro la Russia stanno avendo un effetto misto. Il caos degli anni ‘90 ha alimentato l’odio anti-occidentale di alcuni russi e ha portato Putin al potere. Un ulteriore caos russo non aiuterà né la pace né la democrazia russa. Vogliamo davvero che gli ucraini versino il loro sangue per questo?
Abbiamo parlato di Europa: che cosa dovrebbe fare?
Mi sembra che si debba riconoscere la mancanza di iniziative diplomatiche forti e condivise da parte dell’Europa, che avrebbe tutto l’interesse ad arrivare alla pace il più presto possibile. Almeno la Germania, la Francia e l’Italia dovrebbero parlare con una voce sola e proporre un Piano Marshall per la ricostruzione sostenibile dell’Ucraina, secondo la transizione ecologica. Una pace negoziata, che assicuri i russi sui futuri confini della NATO, che da quando è caduta l’Unione Sovietica non è più un’alleanza difensiva.
Il Papa, citando un capo di Stato da lui ricevuto in udienza, ha parlato dell’“abbaiare della NATO” ai confini russi, parole che hanno fatto discutere. Un’aggressione come quella che è in corso non ha mai giustificazioni. Ma se non ci si ferma agli ultimi mesi, e si considerano i contesti guardando alla storia degli ultimi trent’anni, questo aiuta a capire meglio la situazione e soprattutto a non ripetere errori e sottovalutazioni…
L’aggressione russa contro l’Ucraina, una vera e propria guerra anche se chiamata “operazione militare speciale”, non ha giustificazioni e il Papa l’ha ripetutamente condannata. Le parole che lei ha citato aiutano comunque a capire il contesto e ci ricordano ciò che è avvenuto dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’Unione Sovietica. È documentato che all’inizio degli anni Novanta i Paesi occidentali avevano assicurato Mosca che l’Alleanza Atlantica non si sarebbe espansa includendo gli Stati un tempo satelliti del Patto di Varsavia. Il mancato rispetto di questi impegni verbali ha offerto a Putin, fino a quel momento considerato un alleato dell’Occidente, l’occasione per annunciare pubblicamente – durante la Conferenza sulla sicurezza di Monaco del febbraio 2007 – il suo rifiuto del mondo unipolare sotto la predominanza degli Stati Uniti.
Papa Francesco ha definito una pazzia la corsa al riarmo. Che cosa ne pensa?
Ha ragione, è una vera pazzia, perché significa dirigersi a grandi passi verso la Terza guerra mondiale. Anche continuando questa guerra si va verso l’Apocalisse, con la fame che aumenta nei Paesi africani e il rischio di un’escalation militare con armi nucleari. Il Papa, nell’intervista con l’agenzia Telam di venerdì 1° luglio, ha anche osservato che le Nazioni Unite non si sono sentite durante questo conflitto. E anche in questo caso, come dargli torto? Purtroppo le Nazioni Unite sono figlie degli equilibri della Seconda guerra mondiale. Non hanno fatto nulla per la pandemia, non fanno nulla per questa guerra. Bisogna ripensare, insieme, un sistema di relazioni internazionali più giusto e multilaterale, dove non siano solo i potenti a prendere le decisioni. Come ha detto durante l’ultimo Angelus: dobbiamo passare dalle strategie di potere politico, economico e militare a un progetto di pace globale. A mio avviso, ciò richiede la creazione di istituzioni internazionali che si occupino dei nostri beni comuni globali: salute, clima, biodiversità, pace.
· I media vaticani avviano una serie di approfondimenti sulle parole di Papa Francesco sulla guerra in Ucraina e sulle possibili soluzioni per un negoziato: gli intervistati esprimono le loro opinioni che non possono pertanto essere attribuite alla Santa Sede.
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