Lombardi: grato a Dio per i miei 80 anni, comunicare il bene è una missione
Alessandro Gisotti
Padre Federico Lombardi compie oggi 80 anni. Il gesuita piemontese, tra i protagonisti della comunicazione ecclesiale del dopo Concilio, è stato Direttore della Sala Stampa della Santa Sede con Benedetto XVI e Papa Francesco; per 25 anni alla guida della Radio Vaticana, prima come Direttore dei programmi e poi come Direttore generale dell’emittente pontificia. Per oltre 10 anni ha inoltre diretto il Centro Televisivo Vaticano. Una vita di testimonianza e servizio alla Chiesa, contraddistinta da passione e competenza, che oggi continua come presidente della Fondazione Joseph Ratzinger-Benedetto XVI e come superiore della comunità religiosa dei gesuiti de “La Civiltà Cattolica”. Proprio alla rivista della Compagnia di Gesù, nel lontano 1973, aveva mosso i primi passi come giornalista per diventarne poi vice-direttore nel 1977. In questa intervista con i media vaticani, padre Lombardi si sofferma su alcuni passaggi fondamentali della sua vita e della sua professione vissuta accanto agli ultimi tre Pontefici.
Padre Lombardi, con quali sentimenti vive questo suo ottantesimo compleanno che precede di pochi giorni – e anche questo è significativo – i suoi 50 anni di ordinazione sacerdotale, il prossimo 2 settembre?
C’è un sentimento di sorpresa per esserci arrivato! Tutti noi quando siamo giovani pensiamo agli 80 anni, o ai 50 anni di sacerdozio, come a delle mete lontanissime, di persone molto anziane … e poi, giorno per giorno ci si avvicina e alla fine ci si arriva, e magari si va anche oltre … quindi una sorpresa accompagnata naturalmente da molta gratitudine, perché io non posso che ringraziare, sia per la vita sia per essere stato chiamato a vivere questa vita come religioso e come sacerdote. E’ un tempo di ringraziamento, se vuoi anche con un po’ di sguardo e di bilancio sulla propria vita, sul proprio servizio, ma sostanzialmente è di ringraziamento, perché quello che uno ha ricevuto è così tanto che veramente c’è solo da ringraziare il Signore con stupore e dire: “Grazie, mi hai dato tanto tempo e tante occasioni e tante prove della tua grazia: grazie di avermi accompagnato fino a qui. Spero di aver risposto in un modo accettabile al dono che mi hai fatto”.
Dei suoi 80 anni, quasi 50 sono stati dedicati al servizio della Chiesa e della Santa Sede nell’ambito della comunicazione. Cosa ha imparato – anche se, ovviamente, una sintesi è difficile – soprattutto al servizio di diversi Pontefici in anni, peraltro, segnati da un rapido, rapidissimo sviluppo tecnologico anche nel campo dell’informazione?
La prima cosa che ho imparato in base all’esperienza – e ci ho messo un po’, però, a impararla – è che comunicazione per una persona che vive nella fede e nella Chiesa è una partecipazione alla missione di evangelizzare, di comunicare che è proprio tra le prospettive in cui si può vedere l’intera realtà del mondo, della storia, del rapporto con Dio e fra gli uomini. Ecco la comunicazione: il nostro Dio è un Dio che comunica, un Dio che ci ha comunicato se stesso con le parole, con la Rivelazione, con l’invio di Gesù Cristo! Tutta la Chiesa poi ha una missione, che è comunicare, far conoscere, diffondere questa Parola del Signore. Capire che se uno è chiamato a lavorare nel campo della comunicazione, è chiamato a collaborare – anche se in modi e compiti specifici – alla stessa natura della Chiesa e del rapporto tra Dio e l’umanità.
Lei è un gesuita, è stato anche Provinciale d’Italia. Come la spiritualità ignaziana ha influito sul modo di lavorare proprio nella comunicazione?
La spiritualità ignaziana ci insegna, ci aiuta, ci educa, a vedere Dio in tutte le cose, a vedere l’opera del Signore intorno a noi, nella realtà e nelle persone intorno a noi. Quindi ci aiuta a leggere quella che è la realtà e le persone e gli avvenimenti in una prospettiva di fede, come presenza del Signore che lavora. Sant’Ignazio parla del Signore come di uno che lavora: questo mi ha sempre molto colpito. Lui sta lavorando intorno a noi negli avvenimenti, nella storia, nelle persone e si tratta di conoscerlo, di vederlo, di ri-conoscerlo in questo suo lavoro e aiutare gli altri anche a vederlo, a capirlo e ad accoglierlo in questa sua presenza.
Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco. Lei ha avuto l’opportunità di essere uno stretto collaboratore degli ultimi tre Pontefici. Cosa si porta innanzitutto a livello personale, oltre che professionale, di un’esperienza così straordinaria, quasi unica?
Ho sempre concepito il mio lavoro come un servizio e mi è sempre sembrato chiaro che il Papa è un servitore: il Papa è un grande servitore della Chiesa e dell’umanità, della presenza di Dio nel mondo. E allora io sono stato chiamato a servire questo servizio, a collaborare a questo servizio. Con il tempo mi è sembrato veramente un grande dono, questa chiamata alla collaborazione, perché la missione che i Papi svolgono è veramente una missione meravigliosa per il bene delle persone, dell’umanità, dei credenti. Io ho potuto collaborare, mettere un po’ tutte le mie forze per aiutare questa missione, nel senso specifico poi di aiutare a capire, di farla conoscere attraverso i nostri mezzi, le nostre vie di comunicazione. E’ stato un servizio per questo grande servizio dei Papi all’umanità e alla Chiesa. Questo mi ha sempre affascinato e sono stato molto grato di essere stato chiamato a questo tipo di lavoro.
Chi ha avuto il privilegio di lavorare con lei sa quanta attenzione ha sempre dedicato ai giovani, alla loro crescita personale e professionale. Oggi, a un ragazzo o a una ragazza che voglia intraprendere la professione del giornalista, che suggerimenti si sentirebbe di dare?
Gli direi che la sua può essere una bellissima professione, ma che va vissuta come vocazione: non solo come una carriera in cui sviluppare delle capacità tecniche, ma come una via attraverso cui uno aiuta le persone a incontrare gli altri, a stabilire una comunicazione che è comprensione, dialogo vicendevole. Una comunicazione che aiuta a conoscere la verità e non a ingannare gli altri; in cui si impara a mettere in rilievo anche gli aspetti positivi e non solo la drammaticità delle sofferenze o dei problemi posti dal male e dalle ingiustizie. Certamente questi vanno denunciati, ma è necessaria anche la capacità di fare vedere una presenza, spesso un po’ più nascosta ma ugualmente importante, del bene, dell’amore. Devo dire che nei momenti migliori di servizio, anche dei Papi, nella comunicazione ho avuto proprio l’esperienza, l’impressione che pure i colleghi giornalisti fossero contenti di scoprire la bellezza del loro lavoro come comunicatori perché collaboravano a diffondere dei messaggi che erano positivi per l’umanità al cui servizio loro, come comunicatori, devono essere. Questo mi sembra l’ideale con cui muovere nel campo della comunicazione, con tutta la pazienza e la concretezza che ci vuole per imparare, giorno per giorno, a comunicare bene anche dal punto di vista professionale. Non lasciarsi dominare dalle capacità tecnico-professionali, ma sapere che queste devono essere messe al servizio di qualcosa di grande e di bello per costruire insieme una società e una comunità ecclesiale civile degna.
Lei ha 80 anni, ma è ancora attivo nel campo dell’informazione, a La Civiltà Cattolica, e anche in ambito vaticano come presidente della Fondazione Ratzinger – Benedetto XVI. Si può dare tanto anche da anziani, come ha sottolineato Papa Francesco con le sue recenti catechesi sulla cosiddetta terza età …
Fino a che uno può, ha delle forze, naturalmente è bene che svolga il servizio che gli viene richiesto. A volte, è un servizio che cambia un poco nello stile, nella natura e anche negli effetti: una persona anziana si sente forse meno chiamata a stare sull’attualità dell’ultimo momento, ma più sulla riflessione, sulla ricerca del senso delle cose, sui valori, ma pure sul futuro perché non dobbiamo ripiegarci su noi stessi. Un futuro in cui continuino a essere di guida le cose essenziali. Appunto, un po’ tradizionalmente, considero che il vero, il bene, il bello continuano a essere i punti di riferimento della nostra vita e della nostra prospettiva di speranza.
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