Processo vaticano, finiti interrogatori degli imputati. Pignatone: dato spazio a tutti
Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano
Con un interrogatorio di circa tre ore all’avvocato Nicola Squillace, durante il quale il legale del broker Gianluigi Torzi ha parlato – come già l’8 luglio - delle trattative con “i signori del Vaticano” per il Palazzo di Londra e delle parcelle non pagate dalla Segreteria di Stato, si è aperta la ventiseiesima udienza di oggi del processo vaticano per presunti illeciti con i fondi della Santa Sede. Si passa quindi a una nuova fase per il procedimento giudiziario in corso dal 27 luglio e ripreso ieri dopo la pausa estiva, cioè l’ascolto dei testimoni. Oggi il primo: Roberto Lolato, esperto della Deloitte, consulente del Promotore di Giustizia. Domani, invece, le parti interrogheranno Alessandro Cassinis Righini, revisore generale. Cioè l’Ufficio dal quale – come si ricorderà - nel luglio 2018 partì la denuncia insieme allo Ior che diede vita alle indagini per la vicenda della compravendita dell’immobile di Sloane Avenue 60. Immobile che, ha ricordato stamane Lolato, è stato venduto il 4 dicembre 2021 al prezzo di 186 milioni di sterline.
Le raccomandazioni del presidente del Tribunale
A segnare il passaggio dagli imputati ai testimoni, le parole del presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone: “L’interrogatorio degli imputati è stato fatto dando il più ampio spazio possibile a tutti. Qualcuno potrebbe pensare pure troppo, ammettendo tantissime domande che non potevano essere ammesse sotto vari profili… È stato opportuno così. Cominciando i testi, dopo che ci sono verbali, consulenze, dichiarazioni, non dobbiamo ricominciare da capo”. “Non è il processo italiano secondo il Codice vigente, è il Codice del 1930”, ha aggiunto Pignatone, in riferimento al fatto che una delle caratteristiche del vecchio rito è che le prove non vanno formulate in aula. “Diamo per lette le carte agli atti che conosciamo tutti”, ha ribadito il presidente, chiedendo quindi ad accusa e difesa di porre “domande mirate a specifiche contestazioni”: “Non possiamo rifare tutto per intero, ripetere ciò che è già agli atti. È nell’interesse di tutti per cercare di andare avanti”
Eccezione di nullità per Lolato
Andando per ordine, l’udienza odierna nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani si è aperta alle 9.45 e si è conclusa alle 14 in punto, con una pausa in mezzo e circa un’ora di Camera di consiglio, durante la quale la Corte presieduta da Giuseppe Pignatone ha dovuto decidere se accettare o respingere l’eccezione di nullità delle difese sull’ammissibilità di Lolato nella lista di testimoni. Più nel dettaglio, i difensori hanno eccepito il fatto che essendo consulente dell’accusa, Lolato non rientri proprio nella categoria dei testimoni. Per loro è un perito. E dal momento che, durante l’istruttoria, il suo utilizzo non ha coinvolto le difese, la sua partecipazione è nulla. “Ha svolto attività di indagine, pur non essendo autorità giudiziaria”, è stata l’obiezione degli avvocati. La prova, hanno detto, “si fa in contradditorio tra le parti, non si può formare in aula”. Nell’eccezione - presentata dall’avvocato Bassi, difensore dell’ex funzionario vaticano Fabrizio Tirabassi, alla quale si sono associati tutti i difensori – è stata perciò chiesta la nullità degli elaborati, l’estromissione dal contesto delle testimonianze e di non ascoltare Lolato durante il processo.
Consulente tecnico
Il Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, ha replicato spiegando che l’esperto di Deloitte ha invece lavorato sul materiale acquisito da polizia giudiziaria. “Non una perizia”, quindi, secondo la definizione del Codice vigente che indica come attività peritale la disamina di atti tecnico-scientifici, ma una “mera ricostruzione documentale che può essere condotta in qualsiasi momento”. Il Collegio giudicante ha respinto l’eccezione di nullità e con un’ordinanza ha stabilito che Lolato non ha mai avuto la qualifica di perito, piuttosto come “consulente tecnico di parte”. Ha quindi ordinato l’escussione del testimone.
Storia ed esito della vicenda di Londra
Il suo lavoro di consulente, è stato spiegato, si è volto su quattro temi, suddivisi in altrettante schede proiettate sul muro, sempre relative al Palazzo di Sloane Avenue, ovvero la storia dell’immobile, la sua valutazione, l’esito della complessiva operazione (cioè quanto è costata alla Segreteria di Stato), i 75 milioni di rendita che l’imprenditore Raffaele Mincione ha sempre negato. In oltre un’ora, Lolato ha presentato numeri e cifre, tra cambi di valute e valutazioni, perizie e analisi, del Palazzo di Sloane Avenue, correggendo in alcune occasioni dei dati e spiegando che tante sono state le variazioni di mercato dal 2012 – anno di acquisto dell’immobile dal Fondo Athena – fino alla vendita per 186 milioni di euro.
Sempre Lolato ha spiegato che, stando alle sue ultime analisi, sarebbe stato estinto il mutuo che gravava inizialmente sul Palazzo di Chaine Capital, destinato a finanziare la ristrutturazione dell’immobile con un cambio d’uso da commerciale a residenziale. L’idea era di ampliare due piani sopra e tre nei sotterranei. Lo aveva spiegato dettagliatamente Mincione nel suo interrogatorio. Ma, com’è noto, il progetto non è mai andato in porto e nel frattempo è scaduto anche il landing permission per le nuove costruzioni. È scaduto prima della vendita, causando così una perdita significativa.
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