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Il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, durante un'udienza del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede Il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, durante un'udienza del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede

Processo vaticano, Pignatone: “Cambiare metodo degli interrogatori”

Nella trentaduesima udienza, il presidente del Tribunale vaticano ha invitato accusa e difese a formulare diversamente le domande per non ripetere fatti presenti agli atti o lontani dai capi d’imputazione. Sentiti due gendarmi e un consulente finanziario, a metà novembre forse esame al direttore Ior Mammì

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Così non si può andare avanti, abbiamo finito il livello di saturazione. In questo modo finiremo nel 2070”. È dinanzi all’ennesima domanda su fatti già presenti agli atti, che quindi non aggiungevano nessuna specificità o elementi di novità, che il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha pronunciato parole importanti per il futuro del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede.

Le raccomandazioni di Pignatone

Oggi udienza flash – rispetto alle precedenti - la trentaduesima nell’Aula dei Musei vaticani: meno di 4 ore, con l’esame di due gendarmi e un consulente di polizia giudiziaria. A metà interrogatorio di uno di questi, il presidente della Corte ha affermato: “Lo scopo non è leggere le informative già depositate. Dalla prossima udienza non consentirò più questo modo di condurre gli interrogatori. È una perdita di tempo e non è nella logica e nello spirito del Codice vigente”, ha detto, in riferimento al Codice del 1913 che non prevede che le prove si debbano produrre in aula. “In Italia siamo andati avanti così per anni. Il processo è complicato, ci sono molti testimoni… Ho consentito l’approccio più ampio possibile per gli imputati. Hanno giustamente utilizzato questa libertà sia l’Ufficio del Promotore di Giustizia che le difese, lo abbiamo fatto per i primi teste ma francamente non si può andare avanti così. Il discorso vale per tutti, perfino per il Tribunale”.

Seconda parte dell'interrogatorio al gendarme Antonucci

Nell’udienza di oggi è proseguita la testimonianza del gendarme Gianluigi Antonucci, interrogato mercoledì scorso, che aveva partecipato alle perquisizioni nella Diocesi di Ozieri, in Sardegna. Il controesame di parti civili e difese si è concentrato sui contributi da parte della Segreteria di Stato alla cooperativa Spes, guidata da Antonino Becciu, fratello del cardinale. I bonifici, ha spiegato il gendarme, “erano in uscita da un conto della Segreteria di Stato, in essere presso lo Ior”, intestato alla Sezione Affari generali, dove sono presenti altri “44 sottoconti” sui quali “transitano importantissime cifre destinate all’Obolo di San Pietro”.

I finanziamenti alla Spes

Tra i numerosi bonifici anche quello di 100 mila euro alla Caritas di Ozieri, di cui la Spes avrebbe beneficiato per progetti di solidarietà, richiesto da Becciu il 13 giugno 2013. Il porporato aveva chiesto anche che da Ozieri venisse inviato un rendiconto annuale per le iniziative sociali, ma secondo Antonucci non si ha riscontro di questo: “In teoria non è stata spesa la cifra”. La somma non risulta neanche restituita.

A lungo nell’interrogatorio ci si è soffermati sulla natura dei finanziamenti che dovevano riguardare la ristrutturazione di un panificio gestito da Spes, acquisito nel 2004 poi rimesso in piedi, dopo un incendio, intorno al 2015. L’attività faceva parte del progetto “Con le mani degli ultimi” per la produzione del pane che ha dato lavoro a numerosi giovani altrimenti disoccupati. Il gendarme ha ricostruito l’intera storia del panificio arrivando anche all’altro bonifico inviato dalla Segreteria di Stato su richiesta di Becciu: 24 mila euro. Servivano all’acquisto di un macchinario per il pane, dal costo totale di 98 mila euro più Iva. Gli importi finivano in quello che è stato ribattezzato “conto promiscuo”, usato sia da Caritas che da Spes.

L’avvocato Fabio Viglione, difensore di Becciu, ha chiesto al gendarme se i vescovi Sebastiano Sanguinetti e Corrado Melis, rispettivamente amministratore apostolico e vescovo di Ozieri, fossero a conoscenza di tale conto. “Non abbiamo parlato con i vescovi”, ha risposto il teste, spiegando che durante le perquisizioni a Ozieri, entrati una volta in cattedrale durante la Messa con la Guardia di finanza, parlarono solo col parroco che contattò telefonicamente il vescovo. Nelle perquisizioni nessun vescovo è stato convocato. La difesa Becciu ha chiesto per quale motivo “non si è ritenuto di ascoltare il vescovo”; Antonucci ha replicato dicendo che non era sua decisione come condurre le indagini.

La dichiarazione del vescovo Melis

Ancora Viglione ha ricordato una dichiarazione pubblica di monsignor Melis del 13 febbraio 2021, il quale, a proposito dei 100 mila euro inviati per disposizione di Becciu, scriveva che “in mano”, per il progetto da presentare al Comune di Ozieri, avevano 500 mila dall’8x1000 Cei, più i 100 mila della Segreteria di Stato “come contributo straordinario”, non utilizzati “in attesa del raggiungimento di un importo maggiore”. Secondo il gendarme, “dire che i soldi della Segreteria di Stato sono ancora lì è impossibile: quando entrano in un calderone si mischiano”.

Spese con il "conto promiscuo"

Ancora un botta e risposta tra difesa Becciu e gendarme Antonucci circa alcune spese effettuate sempre con il conto promiscuo, circa 109 euro, per abbigliamento, pasti, carburante. L’avvocato ha chiesto al teste se avesse verificato che quelle spese magari erano destinate ai profughi assistiti dalla Caritas di Ozieri. “Non lo posso escludere, ma è strano che certe spese riguardassero i migranti”, ha detto il gendarme. 

A proposito di questa ricostruzione, gli avvocati del cardinale Becciu, in una nota diffusa al termine dell’udienza, hanno presentato una diversa versione, sostenendo che i contributi concessi dalla Segreteria di Stato - come già evidenziato dalla difesa in precedenti udienze – sono stati impiegati per finalità caritatevoli.

Gli altri interrogatori

Nell’udienza è stato ascoltato Domenico De Salvo, vice ispettore della Gendarmeria, sui soggiorni in Svizzera – circa una ventina tra il 2016 e il 2019 - di Fabrizio Tirabassi, ex dipendente della Segreteria di Stato (imputato). Viaggi e pernottamenti sarebbero stati pagati dalla società Sogenel Capital Holding di Enrico Crasso (imputato). Tirabassi stesso ha precisato in una dichiarazione spontanea che i soggiorni erano relativi a incontri fatti per l’Ufficio e autorizzati dall’allora responsabile monsignor Alberto Perlasca. Meno di un minuto è durato l’esame a Stefano Calamelli, dirigente del Bambino Gesù, che ha confermato la deposizione in fase istruttoria. Mentre Angelo Martone, ausiliare della polizia giudiziaria, che si è occupato della analisi dei conti bancari, si è soffermato sulle attività di Crasso, in particolare gli investimenti della Segreteria di Stato tramite società a lui facenti capo.

Prossimi testimoni

Pignatone ha infine ricordato che è in programma l’interrogatorio a Perlasca per il 23, 24 e 25 novembre. A metà del prossimo mese dovrebbe essere interrogato anche il direttore generale dello Ior, Gian Franco Mammì.

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21 ottobre 2022, 15:30