Santa Sede: i rifugiati non sono la “nuova normalità”, serve un piano di pace globale
Alessandro De Carolis - Città del Vaticano
La guerra in Ucraina ha solo reso il fenomeno ancora più straziante. Ma in realtà “un numero significativo di rifugiati continua a perdersi in uno stato di limbo, incapace di tornare a casa o di integrarsi nei propri Paesi d'asilo”. Anche perché, al netto del conflitto, alcuni Paesi hanno deciso che più che accogliere fosse meglio delegare altri a farlo per loro, secondo “una strategia insostenibile di esternalizzazione” e dunque “evitando la responsabilità diretta di grandi flussi misti attraverso accordi che li fermano in punti strategici del loro percorso”. Un quadro ben noto che la Santa Sede rimette a fuoco durante la 73.ma sessione del Comitato esecutivo dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) in corso a Ginevra da oggi al 14 ottobre.
La guerra non è inevitabile
A presentare la visione vaticana è Francesca Di Giovanni, sottosegretario per il Settore multilaterale della Sezione per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni internazionali della Segreteria di Stato, che ha ribadito l’“estrema importanza individuare percorsi alternativi per soluzioni tempestive e permanenti” per aiutare chi migra forzatamente in cerca di un nuovo asilo. Nelle sue parole, nelle quali vibra l’eco di quelle del Papa, non manca l’appello per la fine dei combattimenti nell’est Europa, una situazione definita “non è sostenibile” e tuttavia “nemmeno inevitabile”.
Un piano di pace globale
Nel ringraziare quanti si sono adoperati per dare una nuova terra ai migranti, la Di Giovanni rileva che “I conflitti e le situazioni prolungate di rifugiati non possono diventare la ‘nuova normalità. I rifugiati e gli sfollati - sottolinea - sono esseri umani e quindi soggetti di diritti e doveri, non oggetti di assistenza”. Una critica viene mossa anche “all'approccio ‘prendere o lasciare’ utilizzato da alcune delegazioni, anche in altre sedi delle Nazioni Unite”, sul modo di gestire il fenomeno. Un atteggiamento che, sostiene la rappresentante vaticana, “mina la volontà politica e il multilateralismo”. L’auspicio è per “un ritorno al dialogo in buona fede” e a un impegno più lungimirante del solo “concentrarsi solo sulla fornitura di assistenza ignorando i ‘sintomi’ delle varie crisi che la famiglia umana deve affrontare in questo momento”. Lo sforzo, conclude la Di Giovanni, sia “per garantire le condizioni necessarie affinché le persone possano vivere in pace, sicurezza e dignità nei loro Paesi d'origine” ma anche di “passare dalle strategie di potere politico, economico e militare a un piano per la pace globale: no a un mondo diviso tra potenze in conflitto; sì a un mondo unito tra popoli e civiltà che si rispettano a vicenda”.
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