Processo vaticano, una serie di chat dà il via a un nuovo fascicolo
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
Udienza a intermittenza oggi, la trentanovesima del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede, durata dalle 9.30 alle 19 ma con lunghe pause in mezzo. In mattinata, la seduta nell’Aula polifunzionale dei Musei vaticani è stata interrotta dalle 11 fino alle 15 a causa dell’assenza di alcuni testimoni. Nel pomeriggio invece per quasi un’ora la corte presieduta da Giuseppe Pignatone si è riunita in camera di consiglio per valutare una “novità” presentata dal Promotore di Giustizia, Alessandro Diddi, poco prima che iniziasse la terza parte dell’interrogatorio del “testimone chiave” monsignor Alberto Perlasca. Ovvero uno scambio di chat WhatsApp tra la pr Francesca Immacolata Chaoqui e Genoveffa Ciferri, la donna già citata nel processo come “amica” del monsignore che si era presentata al cardinale Angelo Becciu (imputato) come ex membro dei Servizi segreti e che lo avrebbe anche minacciato. Il nuovo materiale dà il via a una nuova indagine e Ciferri sarà ascoltata nell’udienza del 2 dicembre.
Oltre 126 messaggi
Nello specifico, Diddi ha riferito di aver ricevuto nella notte tra sabato e domenica questo materiale sulla sua “utenza privata” dall’“utenza di un numero che inizia con 331”. Si tratta di “una lunghissima serie di chat, oltre 126 messaggi”, dai quali il Promotore ha estrapolato alcuni messaggi tra le due donne: “Mi hanno condotto all’apertura di un nuovo fascicolo processuale”, ha detto senza formulare ipotesi di reato ma non scartando possibili "iniziative contro Perlasca". Sempre Diddi ha riferito di essere stato più volte “contattato personalmente dalla Ciferri” negli ultimi due anni “che raccontava alcuni eventi riportati in una relazione di servizio”.
Il memoriale di Perlasca
I messaggi sembra che si riferiscano a una questione rimasta in sospeso nell’ultima udienza, caratterizzata da numerosi “non ricordo” da parte del monsignore, dinanzi ai quali Pignatone lo aveva avvertito del rischio di una incriminazione per "falsa testimonianza". La questione è cioè quella di chi lo abbia aiutato a redigere il memoriale del 31 agosto 2020, in cui, tra le altre cose, accusava Becciu. “Dalla produzione del Promotore – ha detto il presidente Pignatone - ci sono una serie di messaggi della Ciferri che sostiene di aver suggerito lei il memoriale prodotto da Perlasca e che, a sua volta, i temi le sarebbero stati suggeriti da Chaouqui”.
Perlasca inizialmente aveva affermato di aver redatto il memoriale autonomamente; nell’ultima udienza aveva detto invece di non ricordare chi lo avesse aiutato a scrivere queste pagine impostate nell’inedita forma di domanda-risposta, in cui si affrontavano anche temi slegati al processo. Oggi ha dichiarato in aula: “Le risposte sono tutte mie, i temi formulati da Ciferri”. “A me – ha aggiunto, in riferimento a quella che in altre occasioni ha indicato come “amica di famiglia” - aveva detto che il suo interlocutore era un consulente giuridico, un anziano magistrato che si era reso disponibile. Venerdì sera, via di qui, la prima cosa che ho fatto è stata telefonare alla signora dicendo: ‘Mi deve chiarire bene le cose!’. E lei ha detto che era la Chaouqui”. Con quest’ultima, Perlasca ha assicurato di non aver mai avuto incontri o colloqui diretti.
Terzo interrogatorio
Per altre tre ore circa l’ex responsabile dell’Ufficio Amministrativo della Segreteria di Stato è stato interrogato dalle difese, in particolare sulla serie di eventi che ha portato alla compravendita del Palazzo di Londra, sugli accordi stipulati, sulla sua insistenza a denunciare Torzi, sulle medaglie d’oro e di bronzo, sulle interlocuzioni con diversi personaggi che, marginalmente o direttamente, sono ruotati intorno alla vicenda.
La firma su un foglio in bianco
Prima di Perlasca, si è svolto l’esame a due testimoni: Antonio Di Iorio, notaio della Camera Apostolica, e Fabio Perugia, ex portavoce della Comunità ebraica di Roma, consulente finanziario e promotore del fondo Valeur Group.
A Di Iorio, in particolare, è stato chiesto conto di un documento di autentica totalmente bianco con la firma del sostituto della Segreteria di Stato, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, che l'ex funzionario Fabrizio Tirabassi e monsignor Mauro Carlino (entrambi imputati) avrebbero detto a lui di firmare “d’urgenza” in estate, in qualità di notaio. Di Iorio ha firmato senza controllare, certo che servisse al sostituto. Un altro documento siglato da Di Iorio, sempre dopo richiesta urgente da parte questa volta di monsignor Perlasca, era una lettera che sembra essere relativa alle mille azioni con diritto di voto sul Palazzo al broker Gianluigi Torzi (imputato). Quelle che poi Torzi avrebbe ceduto alla Santa Sede per 15 milioni, in modalità, secondo l’accusa, estorsive.
Il teste Perugia
Dei rapporti con Torzi ha parlato pure Perugia, per un breve periodo suo socio in una società di cash-back dalla quale sarebbe presto uscito, proprio a motivo del comportamento del broker: “Non era affidabile, gestiva le cose in modo confusionario”. Perugia - l’unico finora a non giurare sul Vangelo prima di testimoniare, in quanto membro della comunità ebraica - ha detto che la Valeur Group si era proposta per risolvere la situazione di Londra che metteva la Santa Sede “in pericolo”. E ha ribadito le informazioni riferite all’epoca da alcune sue conoscenze professionali su una presunta “asse” tra Tirabassi ed Enrico Crasso, consulente finanziario della Segreteria di Stato (imputato), attraverso la quale Tirabassi avrebbe dirottato gli investimenti della Santa Sede alla Credit Suisse di cui Crasso era dirigente. In cambio Tirabassi otteneva delle fee. Il teste ha ricordato che gli dissero che alcuni di questi compensi “venivano gestiti su Santo Domingo”. Invece ha detto di non ricordare a chi si riferisse quando interrogato nel 2020 dal Promotore di Giustizia parlò di una “Banda Bassotti” tra le mura vaticane.
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