Lombardi: Benedetto, una vita spesa per incontrare il volto di Gesù
Federico Lombardi*
“Ben presto mi troverò di fronte al giudice ultimo della mia vita. Anche se nel guardare indietro alla mia lunga vita posso avere tanto motivo di spavento e di paura, sono comunque con l’animo lieto perché confido fermamente che il Signore non è solo il giudice giusto, ma al contempo l’amico e il fratello che ha già patito egli stesso le mie insufficienze e perciò, in quanto giudice, è al contempo mio avvocato. In vista dell’ora del giudizio mi diviene così chiara la grazia dell’essere cristiano. L’essere cristiano mi dona la conoscenza, di più, l’amicizia con il giudice della mia vita e mi consente di attraversare con fiducia la porta oscura della morte. In proposito mi ritorna di continuo in mente quello che Giovanni racconta all’inizio dell’Apocalisse: egli vede il Figlio dell’uomo in tutta la sua grandezza e cade ai suoi pieni come morto. Ma Egli, posando su di lui la destra, gli dice: ‘Non tenere! Sono io…’ (cfr Ap 1,12-17)”. Così scriveva Benedetto XVI nella sua ultima lettera, del 6 febbraio scorso, a conclusione di giorni dolorosi “di esame di coscienza e riflessione” sulle critiche che gli erano state mosse su una vicenda di abusi quando era arcivescovo di Monaco più di 40 anni prima.
Infine il momento dell’incontro con il Signore è giunto. Non si può certo dire che sia stato inatteso e che il nostro grande anziano vi sia giunto impreparato. Se il suo predecessore ci aveva dato una testimonianza preziosa e indimenticabile di come vivere nella fede una malattia progressiva dolorosa fino alla morte, Benedetto XVI ci ha dato una bella testimonianza di come vivere nella fede la fragilità crescente della vecchiaia per molti anni fino alla fine. Il fatto di aver rinunciato al papato a tempo opportuno ha permesso a lui - e a noi con lui - di percorrere questo cammino con grande serenità.
Ha avuto il dono di completare la sua strada conservando una mente lucida, avvicinandosi con esperienza pienamente consapevole a quelle “realtà ultime” su cui aveva avuto come pochi altri il coraggio di pensare e parlare, grazie alla fede ricevuta e vissuta. Sia come teologo, sia come papa ce ne aveva parlato in modo profondo, credibile e convincente. Le sue pagine e le sue parole sull’escatologia, la sua enciclica sulla speranza rimangono un dono per la Chiesa su cui la sua preghiera silenziosa ha posto il suggello nei lunghi anni di ritiro “sul monte”.
Fra le moltissime cose che si possono ricordare del suo pontificato, quella che onestamente mi sembrò e continua a sembrarmi la più straordinaria fu che proprio in quegli anni riuscì a scrivere e completare la sua trilogia su Gesù. Come poteva un papa, con le responsabilità e le preoccupazioni della Chiesa universale, che effettivamente portava sulle sue spalle, riuscire a scrivere un’opera come quella? Certamente, era il risultato di una vita di riflessione e di ricerca. Ma indubbiamente la passione interiore, la motivazione dovevano essere formidabili. Le sue pagine venivano dalla penna di uno studioso, ma allo stesso tempo di un credente che aveva impegnato la sua vita nel cercare l’incontro con il volto di Gesù e che vedeva in ciò allo stesso tempo il compimento della sua vocazione e del suo servizio per gli altri.
In questo senso, per quanto capisca bene perché egli abbia messo in chiaro che quell’opera non era da considerare “magistero pontificio”, continuo a pensare che essa sia parte essenziale della sua testimonianza di servizio come papa, cioè come credente che riconosce in Gesù il Figlio di Dio, e sulla cui fede si può continuare ad appoggiare anche la nostra. In questo senso non riesco a considerare casuale il fatto che il tempo della decisione della rinuncia al papato, cioè l’estate del 2012, coincida con quello della conclusione della trilogia su Gesù. Tempo di compimento di una missione centrata sulla fede in Gesù Cristo.
Non vi è alcun dubbio che il pontificato di Benedetto XVI sia stato caratterizzato dal suo magistero più che dall’azione di governo. “Sapevo bene che la mia forza – se ne avevo una – era quella della presentazione della fede in modo adatto alla cultura del nostro tempo” (…). Una fede sempre in dialogo con la ragione, una fede ragionevole; una ragione aperta alla fede. Giustamente papa Ratzinger è stato rispettato da chi vive attento ai movimenti del pensiero e dello spirito e cerca di leggere gli avvenimenti nel loro significato più profondo e di lungo termine, senza fermarsi alla superficie degli eventi e dei cambiamenti. Non per nulla sono rimasti impressi nella memoria alcuni dei suoi grandi discorsi davanti a platee non solo ecclesiali, ma di rappresentanti dell’intera società, a Londra, a Berlino… Non aveva paura del confronto con idee e posizioni diverse, guardava con lealtà e lungimiranza ai grandi interrogativi, all’oscurarsi della presenza di Dio all’orizzonte dell’umanità contemporanea, alle domande sul futuro della Chiesa, in particolare nel suo Paese e in Europa. E cercava di affrontare i problemi con lealtà, senza sfuggirli anche se drammatici; ma la fede e l’intelligenza della fede gli permettevano di trovare sempre una prospettiva di speranza.
Il valore intellettuale e culturale di Joseph Ratzinger sono troppo noti per aver bisogno di ripeterne le lodi. Chi seppe comprenderlo e valorizzarlo per la Chiesa universale fu Giovanni Paolo II. Per 24 anni sui 26 del pontificato del suo predecessore, Ratzinger fu il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. Due personalità diverse ma – mi si permetta di dirlo – una “accoppiata formidabile”. Lo sconfinato pontificato di Papa Wojtyla non può essere pensato adeguatamente, dal punto di vista dottrinale, senza la presenza del cardinale Ratzinger e la fiducia riposta in lui, nella sua teologia ecclesiale, nell’ampiezza e nell’equilibrio del suo pensiero. Servire l’unità della fede della Chiesa nei decenni successivi al Vaticano II facendo fronte a tensioni e sfide epocali nel dialogo con l’ebraismo, nell’ecumenismo, nel dialogo con le altre religioni, nel confronto con il marxismo, nel contesto della secolarizzazione e del trasformarsi della visione dell’uomo e della sessualità… riuscire a proporre una sintesi dottrinale ampia e armonica come quella del Catechismo della Chiesa Cattolica, accolta dalla grande maggioranza della comunità ecclesiale con inaspettato consenso, così da condurre questa comunità a superare la soglia del terzo millennio sentendosi portatrice di un messaggio di salvezza per l’umanità...
In realtà, quella lunghissima e straordinaria collaborazione fu la preparazione per il pontificato di Benedetto XVI, visto dai cardinali come il più indicato continuatore e successore dell’opera di Papa Wojtyla. Ad uno sguardo complessivo sull’itinerario di Joseph Ratzinger non sfugge - anzi impressiona - la continuità del suo filo conduttore e insieme il progressivo allargamento dell’orizzonte del suo servizio.
La vocazione di Joseph Ratzinger è fin dall’inizio una vocazione sacerdotale, allo stesso tempo allo studio teologico e al servizio liturgico e pastorale. Progredisce nelle sue diverse tappe, dal seminario alle prime esperienze pastorali e all’insegnamento universitario; poi l’orizzonte ha un primo grande allargamento all’esperienza della Chiesa universale con la partecipazione al Concilio e il rapporto coi grandi teologi del tempo; successivamente torna all’attività accademica di approfondimento teologico, ma sempre nel vivo del dibattito e dell’esperienza ecclesiale; quindi si riallarga nel servizio pastorale della grande arcidiocesi di Monaco; passa definitivamente al servizio della Chiesa universale con la chiamata a Roma alla guida della Dottrina della Fede; infine una nuova chiamata lo conduce al governo di tutta la comunità della Chiesa. L’orizzonte è diventato totale non solo per il pensiero, ma anche per il servizio sacerdotale e pastorale. Servire l’intera comunità della Chiesa, condurla con intelligenza sulle vie del nostro tempo, custodire l’unità e la genuinità della sua fede. Il motto scelto in occasione dell’ordinazione episcopale, “Cooperatori della verità” (3 Giov, 8), esprime molto bene tutto il filo della vita e della vocazione di Joseph Ratzinger, se si capisce che per lui la verità non era per nulla un insieme di concetti astratti, ma in ultima analisi era incarnata nella persona di Gesù Cristo.
Il pontificato di Benedetto XVI viene e verrà comunemente ricordato anche come un pontificato segnato da tempi di crisi e difficoltà. È vero e non sarebbe giusto sottacere questo aspetto. Ma va visto e valutato non superficialmente. Quanto alle critiche e opposizioni interne o esterne, egli stesso ricordava con un sorriso che diversi altri papi avevano dovuto affrontare tempi e situazioni assai più drammatiche. Senza bisogno di risalire alle persecuzioni dei primi secoli, bastava pensare a Pio IX o a Benedetto XV, quando aveva condannato l’”inutile strage”, o alle situazioni dei papi nel corso delle guerre mondiali. Quindi non si considerava un martire. Nessun papa può immaginare di non incontrare critiche, difficoltà e tensioni. Ciò non toglie che, se necessario, sapesse reagire alle critiche con vivacità e decisione, come avvenne con la indimenticabile Lettera scritta ai Vescovi nel 2009, dopo la vicenda della remissione della scomunica ai lefebvriani e del “caso Williamson”; una lettera appassionata di cui il suo segretario mi commentò che esprimeva “Ratzinger allo stato puro”.
Ma quella che è stata la croce più pesante del suo pontificato, di cui egli aveva già cominciato a cogliere la gravità durante il periodo trascorso alla Dottrina della Fede e che continua a manifestarsi come una prova e una sfida alla Chiesa di portata storica, è la vicenda degli abusi sessuali. Questa è stata motivo anche di critiche e attacchi personali nei suoi confronti fino agli ultimi anni, quindi anche di sofferenza profonda. Essendo stato anch’io molto coinvolto in questi argomenti durante il suo pontificato, sono fermamente convinto che egli ha visto in modo sempre più lucido la gravità dei problemi e ha avuto dei grandi meriti nell’affrontarli con ampiezza e profondità di vedute nelle loro diverse dimensioni: ascolto delle vittime, rigore nel perseguire la giustizia di fronte ai crimini, cura delle ferite, istituzione di norme e procedure appropriate, formazione e prevenzione del male. È stato solo l’inizio di un lungo cammino, ma nelle direzioni giuste e con molta umiltà. Benedetto non si è mai preoccupato di un’”immagine” sua o della Chiesa che non corrispondesse alla verità. E anche in questo campo si è mosso sempre nella prospettiva di uomo di fede. Aldilà delle misure pastorali o giuridiche, necessarie per fronteggiare il male nelle sue manifestazioni, egli ha sentito la potenza terribile e misteriosa del male e il bisogno di fare appello alla grazia per non lasciarsene schiacciare nella disperazione e trovare il cammino di guarigione, conversione, penitenza, purificazione, di cui le persone, la Chiesa e la società hanno bisogno.
Quando mi è stato chiesto di evocare in modo riassuntivo, con un episodio, la vicenda del pontificato di Benedetto XVI, ho ricordato la Veglia di preghiera durante la Giornata Mondiale della Gioventù di Madrid, nel 2011, sulla grande spianata dell’aeroporto di Cuatro vientos, a cui partecipava circa un milione di giovani. Era di sera, l’oscurità si faceva sempre più fitta mentre il Papa cominciava il suo discorso. A un certo punto si scatenò un vero uragano di pioggia e di vento. Gli impianti di illuminazione e acustici cessarono di funzionare e molti dei tendoni ai margini della spianata crollarono. La situazione era veramente drammatica. Il papa fu invitato dai suoi collaboratori ad allontanarsi e mettersi al riparo, ma non volle. Rimase pazientemente e coraggiosamente seduto al suo posto, sul palco aperto, protetto da un semplice ombrello sbattuto dal vento. Tutta l’immensa assemblea seguì il suo esempio, con fiducia e pazienza. Dopo diverso tempo la tempesta si acquietò, smise di piovere e subentrò una grande calma del tutto inattesa. Gli impianti ripresero a funzionare. Il papa terminò il suo discorso e il meraviglioso ostensorio della cattedrale di Toledo venne portato al centro del palco per l’adorazione eucaristica. Il papa si inginocchiò in silenzio davanti al SS.mo Sacramento e dietro di lui, nell’oscurità, l’immensa assemblea si unì a lungo in preghiera nella calma più assoluta.
In certo senso, questa può rimanere l’immagine non solo del pontificato, ma anche della vita di Joseph Ratzinger e della mèta del suo cammino. Mentre egli ora entra nel silenzio definitivo davanti al Signore, anche noi continuiamo a sentirci dietro di lui e con lui.
* Presidente della Fondazione vaticana Joseph Ratzinger-Benedetto XVI
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