Ratzinger, l'imam Pallavicini: favorì un dialogo con l'islam che pareva impossibile
Michele Raviart - Città del Vaticano
“Sono consapevole che musulmani e cristiani hanno approcci diversi nelle questioni che riguardano Dio, tuttavia, possiamo e dobbiamo essere adoratori dell'unico Dio che ci ha creati e che ha cura di ogni persona in ogni angolo della terra”. La Coreis, Comunità religiosa islamica italiana, ha scelto questo passaggio dell’udienza di Benedetto XVI ai partecipanti al forum cattolico-islamico del 2009 per ricordare la figura del Papa emerito e il suo impegno nel dialogo con l’Islam.
La levatura teologica di Benedetto XVI
Di Joseph Ratzinger è ricordata innanzitutto la “levatura teologica”, il confronto nel 2009 sulla Caritas in Veritate, il cui terzo capitolo è stato commentato dal comitato Etico della Coreis con il testo “Fraternità, sviluppo economico e società civile”. “Studioso, teologo, promotore attento del dialogo interreligioso”, si legge invece di una nota dell’Ucoii, l’Unione delle Comunità islamiche italiane, Benedetto XVI, “è stato capace di interpretare il suo ruolo nel migliore dei modi e di sacrificare sé stesso nell’interesse generale della comunità cattolica. Lo ricordiamo, nel 2006, a fianco al Grande Muftì di Istanbul pregare nella Moschea Blu e nel 2009 davanti alla moschea dell’Aqsa a Gerusalemme”.
Il ricordo dell'imam Pallavicini (Coreis)
Domani ai funerali di Benedetto XVI in Piazza San Pietro sarà presente sia il presidente dell’Ucoii Yassine Lafram, che l’imam Yahya Pallavicini, vicepresidente della Coreis, che a Vatican News racconta il suo ricordo del Papa emerito.
Come si avvicina al momento del funerale del Papa emerito?
Lo stato d’animo è quello di un momento di raccoglimento e di rispetto per una figura che è stata molto rappresentativa della cristianità contemporanea sia come Pontefice sia nell’ambito di alcune sfide filosofiche in Occidente. Andrò a portare il saluto anche da parte del mondo islamico, in quanto ambasciatore dell’Isesco dal Marocco e dagli Emirati Arabi Uniti e dal Consiglio delle autorità musulmane mondiali e il rispetto per una figura che ha contribuito a rilanciare in modo molto particolare, con delle corde teologiche, il dialogo tra musulmani e cristiani nel mondo.
La Coreis nel suo comunicato sottolinea, è il primo aspetto, la levatura teologica di Joseph Ratzinger. Come si è declinata nel dialogo con l’Islam?
Credo che sia stata una novità, nella storia contemporanea almeno, una prova di coraggio, ma anche una necessità spirituale per i cristiani così come per i musulmani. Non si credeva di poter o di dover dialogare, non si credeva di poterlo fare con un confronto teologico che partisse quindi dalla penetrazione del mistero di Dio, e non si pensava si potesse fare viste le problematiche di comunicazione tra Oriente e Occidente. E invece Papa Ratzinger ha saputo in qualche modo portare avanti questa impossibilità e renderla invece possibile con interlocutori seri e rispettosi delle differenze, ma rispettosi anche di un’intenzione di sacralità, della coscienza della decadenza dei tempi e di una necessità per il popolo sia occidentale che orientale di risvegliare gli studi dottrinali come sostegno alla fede, traducendo la razionalità, con l’appoggio della filosofia e della teologia, al sostegno di una fede in un Dio unico.
In questo senso qual è l’eredità dei semi che ha piantato Papa Benedetto XVI?
L’eredità è stata sviluppata con grande apertura da Papa Francesco. Papa Francesco ha rispettato e sviluppato quella che forse era una priorità di scrupolo per le sorti dell’Europa e dell’Occidente e della cristianità in un’ottica forse più universale, con il dialogo tra nord e sud, oriente e occidente, fratellanza, declinando l’attenzione teologica del suo predecessore nell’ottica anche di cercare di essere pratici nell’aiutare l’umanità a ricordarsi di Dio, anche nelle contingenze, nelle sfide, nelle crisi più diffuse e che stiamo tuttora vivendo.
Lei ha conosciuto personalmente Papa Benedetto XVI. CI può raccontare un suo ricordo personale?
Un ricordo personale più bello è stato forse il primo incontro a Castel Gandolfo dove mi sembrava che alla grande dignità di funzione pontificiale, di rappresentanza del cristianesimo cattolico e di spessore teologico contemporaneamente ci fosse un’umiltà nel cercare in qualche modo di ribaltare un imbarazzo dovuto alle incomprensioni della lezione all’università di Ratisbona che avevano suscitato qualche polemica e qualche reazione. In questo incontro gli portai la bozza di una mia traduzione di un capitolo del Corano dedicato alla Vergine Maria. Lì ho visto effettivamente che alla fine, se ci si trova sulle basi di una ricerca spirituale e sulla base di un confronto serio e approfondito, poi certe dinamiche di comunicazione malposta si stemperano e si sciolgono e si ritrova sia la profondità dell’uomo che quella di un’autorità religiosa che ha cercato veramente di servire il bene della Chiesa e a noi, in quanto musulmani, di cercare anche di riarticolare il nostro dialogo in tempi molto diversi da quelli di oggi, ma su delle basi, anche lì, di dottrina, di studio, di coerenza alle fonti del sapere religioso. Quindi mi sembrò veramente uno scenario particolare perché c’era l’emozione dell’umiltà, dell’imbarazzo di quello che succedeva nelle piazze del mondo arabo e dall’altro lato la dirittura, il rigore e la grande profondità di preparazione teologica. E lì, forse, tra me e lui uno scambio sulla figura di Maria ci ha reso, per citare Papa Francesco, fratelli prima ancora dell’enciclica Fratelli tutti.
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