Per una cultura dell'incontro interreligioso, più dialogo e maggiori spazi alle donne
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Alla Conferenza internazionale “Donne che costruiscono una cultura dell'incontro interreligioso” organizzata dal Dicastero per il Dialogo Interreligioso insieme all'Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche che si è svolta dal 25 al 27 gennaio, si sono ritrovate rappresentanti di cristianesimo, islam, induismo, ebraismo, buddismo, giainismo, sikhismo, taoismo, confucianesimo, shintoismo, religione tradizionale africana e zoroastrismo. Provenienti da 23 diversi paesi, hanno dato voce all’universo femminile perché la donna possa essere sempre più presente ai tavoli di dialogo e nella società, per promuovere un mondo migliore.
Tra loro, Svamini Shuddhananda Ghiri, monaca indù, italiana, membro dell’Unione Induista Italiana e referente della Commissione per l’educazione e la cultura e per il dialogo interreligioso, che rimarca l’importanza del dialogo nei diversi ambiti della vita sociale, che sottolinea la necessità di condividere le diverse tradizioni per favorire la conoscenza tra persone di fedi differenti ed evidenzia che c’è ancora tanto da fare perché la donna possa trovare sempre più spazio nella società.
Qual è l'impegno dell'Unione induista italiana nell'ambito del dialogo interreligioso?
Il dialogo interreligioso per l’Unione induista italiana è parte integrante della sua anima e del suo corpo, perché l'induismo, per sua natura stessa, è dialogo, tant'è che in un verso famosissimo del Rig Veda si legge: “La verità, o Dio, è uno, ma i saggi lo chiamano con molti nomi”. Questa idea di dialogo è insita nella possibilità di creare una società non violenta - in sanscrito si parla di “ahimsa” -, e quindi il dialogo è fondamentale a livelli alti, lì dove ci sono discussioni teologiche, dottrinali, ma è parimenti importante, anzi direi fondamentale, che questo dialogo avvenga nella quotidianità, nell’orizzontalità della vita. Quindi che avvenga nelle scuole, nei posti di lavoro, perché la presenza di donne, uomini, bambini induisti richiede anche una conoscenza e la conoscenza è il primo passo per abbattere i muri della paura, degli stereotipi, che purtroppo, assillano ancora molto questo dialogo. Perché se c'è stereotipo, se c'è pregiudizio, non ci può essere amicizia, non ci può essere vera conoscenza. È dalla vera conoscenza che nasce l'amicizia e in questo le donne credo che abbiano un ruolo fondamentale. Abbiamo un po’ questa natura all'empatia, quindi al senso anche della cura; ascoltare l'altro, e, in un certo senso, intercettare anche il modo migliore per entrare in armonia con l'altro. Sicuramente, il ruolo della donna è, almeno nell'induismo, incontestato. L’induismo è una delle tradizioni che ha Dio come donna, è rappresentato come donna, come Durga, Lakshmi, sono tutte espressioni di un unico Dio, ma che hanno potere. Infatti al femminile non è solamente attribuito un aspetto, una natura gentile, morbida - che sicuramente ha - ma anche una natura molto forte: Shakti, il potere, il potere in senso buono, quella autorità che permette anche di vincere l’oscurità. È un aspetto femminile che è materno ma nello stesso tempo è la forza di poter cambiare, di poter anche imporre, in certo senso, la propria visione, la propria presenza, per dire no a ciò che non è giusto, alla violenza e a tutto ciò che affligge la società di oggi.
Che cosa serve oggi, per favorire una cultura dell'incontro?
Serve condivisione, non solamente a livello di piccoli circoli ristretti, ma anche da un punto di vista istituzionale e nel quotidiano. Perché poi, effettivamente, è il ragazzo seduto al banco insieme alla sua compagna, al suo compagno di un'altra religione, che in un certo senso fa esercizio di dialogo. Ad esempio la condivisione delle feste. Noi, come Unione Induista Italiana, promuoviamo la Diwali, festa della luce. La luce è un simbolo trasversale e anche a chi non è credente, richiama, evoca un senso di positività, gioia, speranza. Favorire una cultura dell'incontro significa anche favorire la condivisione di ciò che è bello, di ciò che è gioioso, è una festa in fondo lo è. Però la festa veicola anche una cultura, usi, costumi. Molte delle tradizioni sono legate anche all'eredità femminile. Questo però non significa contrapporre uomo e donna, perché invece la bellezza, l’aspetto importante, è la complicità. Tra uomo e donna ci deve essere complicità, ma in senso di ideali, perché insieme sono come due polarità che unendosi creano una forza, che ricostituiscono un intero, anche in modo simbolico. Quindi questo aiuta anche a favorire un’uguaglianza, perché l'uguaglianza non si basa sull’essere uno uguale all'altro, siamo per natura tutti diversi. Proprio questo fa la ricchezza, cioè valorizzare la differenza che porta all'unità. Nell'induismo si dice che siamo tutti diversi ma dobbiamo essere uno nel Dharma, il Dharma è questo principio di bene che sorregge e nutre la vita.
Valorizzare le differenze, ma le donne hanno oggi la possibilità di esprimersi liberamente, di avere spazi?
Diciamo che il cammino è ancora lungo, se vogliamo essere realistici. In molte parti del mondo, in molte società, sicuramente le donne conquistano e hanno conquistato anche spazi di libertà a loro negati per tantissimi secoli, però il cammino è lungo. Forse, anche, per una questione di cultura maschilista generalizzata. La donna deve riuscire ad emanciparsi, riuscire a conquistare spazi che le sono propri di diritto, ma mantenendo le proprie caratteristiche. Spesso l'inciampo del movimento femminista e di tanti movimenti che hanno fatto sentire la loro voce per affermare dei diritti sacrosanti, è che spesso lo hanno fatto quasi emulando l'aspetto maschile, emulando il discorso del potere, cadendo anche un po' in quelle sono le brutture del mondo maschile. Quindi io credo che per valorizzare veramente la presenza femminile occorre proprio fare emergere le caratteristiche sue proprie: l'aspetto della cura, l'aspetto dell'empatia, l'aspetto di quella forza che le donne hanno. Si deve dare la possibilità di manifestarle, dimostrarle.
Quale spazio e quali opportunità offrono alle donne le iniziative interreligiose?
Molto poche. Ancora oggi in moltissime realtà di dialogo, convegni, conferenze, c'è una prevalenza di voci maschili. Ancora c'è del lavoro da fare. Sicuramente. Occorre dare più voce alle donne, aver voglia anche di sentire la voce femminile più voci femminili.
In quali realtà le donne induiste hanno più difficoltà ad esprimersi, a dar voce al loro pensiero?
Faccio l'esempio delle comunità migranti, dove a volte non c'è la conoscenza della lingua. Tante volte questo può comportare una chiusura all'interno della comunità stessa e quindi questo limita anche l'essere presenti all’esterno, una certa libertà. A volte c’è un po' questa chiusura all'interno della famiglia, all'interno della comunità. Ogni induismo è diverso, perché c’è chi viene dallo Sri Lanka, chi viene dalle Mauritius, chi viene dall'India, chi è nato in Italia, e seppure siamo tutti induisti e seguiamo e sentiamo la stessa fede, ci diversifichiamo per aspetti culturali ed etnici.
Da questa conferenza quali risvolti positivi si aspetta?
Sicuramente dialogo, e poi la condivisione, l’ascolto e la creazione di una rete globale. Per un cambiamento, l’esistenza di una rete, cioè sapere che ci sono donne nel mondo, nella propria stessa città, nel proprio Paese, che stanno facendo un cammino, che sono impegnate, che credono di fatto - perché non dobbiamo dimenticare anche l'aspetto della fede, della preghiera - porta forza. Pensare che siamo donne in cammino, che vogliamo realizzare questi ideali di pace di amore, non ci fa sentire sole. E allora in quei momenti a volte un po' bui che il mondo ci presenta sappiamo che c’è questa forza.
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