Vaticano: donne in dialogo per sviluppare una rete mondiale interreligiosa
Tiziana Campisi – Città del Vaticano
Ha un duplice obiettivo la Conferenza internazionale "Donne che costruiscono una cultura dell'incontro interreligioso” organizzata dal Dicastero per il Dialogo Interreligioso in collaborazione con l'Unione Mondiale delle Organizzazioni Femminili Cattoliche: ascoltare le iniziative interreligiose di donne provenienti da vari contesti e dar vita a una rete globale di donne di diverse tradizioni religiose e spiritualità che favorisca una riumanizzazione della società attraverso l'amicizia, il dialogo e la cooperazione. Ad incontrarsi a Roma, per questo, dal 25 al 27 gennaio, alla Pontificia Università Urbaniana, all’Auditorium Giovanni Paolo II, sono 30 donne di 23 diversi Paesi, che rappresentano 12 tradizioni religiose. Al centro delle loro giornate il confronto sulle figure femminili nella Scrittura e sugli insegnamenti religiosi per una cultura dell'incontro, la condivisione di esperienze e il contributo di sante e sagge. Relazioni, panel, discussioni e momenti di condivisione sono pubblici, in live streaming su www.vaticannews.va. Ad aprire la prima giornata di lavori un momento silenzioso di preghiera accompagnato dalla musica.
Costruire ponti, abbattere muri, pensare progetti comuni
Monsignor Indunil Kodithuwakku, segretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso, spiega a Vatican News che il concetto di cultura dell'incontro nasce durante il Concilio Vaticano II, che ha dato una spinta al dialogo interreligioso con il documento Nostra Aetate. Papa Francesco, nella Fratelli tutti (216) sottolinea che “parlare di ‘cultura dell’incontro’ significa che come popolo ci appassiona il volerci incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che coinvolga tutti”. Ecco il primo elemento per costruire una cultura dell'incontro, spiega monsignor Kodithuwakku: la passione di incontrare l'altro, passione che viene anche dal cristianesimo, “perché Dio è il primo ad essere entrato nel mondo per incontrare l'umanità. Inoltre la fede cristiana è un incontro con il Signore Gesù Cristo”. “L’incontro - aggiunge il segretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso - ci aiuta a superare i pregiudizi, l’ignoranza, le paure, ci aiuta a sanare le ferite del passato. Nell’incontro, inoltre, cerchiamo punti di contatto perché nell’incontro c’è dialogo e nel dialogo emergono convergenze e divergenze”. Allora, partendo dal presupposto che non siamo tutti uguali e che non lo sono nemmeno le religioni, nel dialogo, l’ascolto dell’altro porta a rispettare le diversità, nota monsignor Kodithuwakku, allo stesso tempo emergono i valori comuni, i valori universali: pace giustizia, amore, armonia. “Questi valori sono presenti in tutte le religioni, e basandoci su questi valori possiamo lavorare insieme. E poi gettare ponti. Dunque, incontrare e dialogare ci aiuta a costruire ponti, abbattere muri e pensare progetti comuni. È ciò cui punta il Dicastero per il Dialogo Interreligioso: incontrare l'altro e poi dialogare, identificare punti di contatto, costruire ponti, progettare insieme. Questo significa costruire una cultura dell'incontro”.
Dare voce alle donne
L’idea di dare voce all’universo femminile nasce per far sì che venga meno quella divergenza che sussiste tra quanto ci insegnano le diverse religioni e le leggi civili per le pari opportunità sulle donne e la realtà, afferma monsignor Kodithuwakku. Una divergenza che anche Papa Francesco rileva nella Fratelli tutti (23) sostenendo che “l'organizzazione delle società in tutto il mondo è ancora lontana dal rispecchiare con chiarezza che le donne hanno esattamente la stessa dignità e identici diritti degli uomini. A parole si affermano certe cose, ma le decisioni e la realtà gridano un altro messaggio”. Cosa fare, allora? “Il Documento sulla “Fratellanza umana” suggerisce un rimedio per combattere la disuguaglianza e la violenza contro le donne - dice il segretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso -, definisce infatti ‘un’indispensabile necessità riconoscere il diritto della donna all’istruzione, al lavoro, all’esercizio dei propri diritti politici” e invita a ‘lavorare per liberarla dalle pressioni storiche e sociali contrarie ai principi della propria fede e della propria dignità’”.
Il contributo della donna nella società
“La conferenza che abbiamo organizzato, allora, vuole dare spazio alle donne nell’ambito di un processo evolutivo. Nel 2017, infatti, nella nostra assemblea plenaria - prosegue monsignor Kodithuwakku - abbiamo riflettuto sul ruolo della donna nell'educazione, poi, nel 2019 abbiamo voluto un dialogo per monaci buddisti e suore cattoliche in un monastero buddista. Insomma, cerchiamo sempre di includere le donne al tavolo del dialogo, e oggi, in questa conferenza per le donne, vogliamo sentire la loro voce. Perché il suo contributo è importante. Inoltre tra uomo e donna c’è complementarietà. E poi la donna gioca nella società diversi ruoli, come madre, moglie, nei luoghi di lavoro, come insegnante, e ancora nella Chiesa, nelle religioni”. “C’è da dire, ancora - sostiene il segretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso - che la donna sente, più di qualsiasi altra persona, che cosa veramente sta succedendo nella società. Noi viviamo in un mondo di tante ferite, e le donne sono le prime ad essere ferite, perché c'è discriminazione nella società. Allora, abbiamo bisogno di ascoltare la loro voce. Le donne, inoltre, reagiscono, cercano di cambiare la società, la cultura, e ci sono movimenti femminili che hanno cercato di portare cambiamenti nella società collaborando con tutti. La donna ha una sensibilità particolare che l'uomo non ha - continua monsignor Kodithuwakku - ha una maggiore capacità di ascolto. Queste esperienze aiutano le donne a riflettere, e poi, alla luce della loro religione, a portare cambiamenti, sia la per loro stesse che per tutta la famiglia umana”.
La cultura dell’incontro nei contesti difficili
Ma costruire una cultura dell’incontro è più problematico lì dove ci sono contesti difficili, contesti in cui qualcuno rifiuta di incontrarsi. “I movimenti di fondamentalismo, di radicalismo e di estremismo religioso - osserva il segretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso - hanno elementi opposti alla cultura dell'incontro. Se cultura dell'incontro significa incontrarsi, parlare di valori comuni, costruire ponti, elaborare progetti insieme, questi movimenti hanno tendenze opposte. Invece di incontrare vogliono chiudersi, anziché costruire i ponti innalzano muri”. Ma non si deve, generalizzare, perché se nella società, nelle religioni, ci sono diversi gruppi fondamentalisti chiusi, ci sono anche altri gruppi aperti; movimenti che sono contro il fondamentalismo, contro il radicalismo. “Allora dobbiamo collaborare con loro e anche con la società civile - asserisce monsignor Kodithuwakku - con gli attori politici che hanno la stessa passione di costruire una cultura dell'incontro. È un impegno di tutti, allora, includere più persone, più movimenti coltivando la cultura dell’incontro, nonostante esistano ostacoli in diversi contesti, che scaturiscono da antiche radici, problemi politici, sociali, problemi di tribù, di gruppi etnici, di ingiustizia globale o regionale. Sono temi che vanno affrontati per trovare soluzioni durature”.
Il lavoro delle Chiese locali
In tante parti del mondo, oggi diversi movimenti vanno contro la cultura dell'incontro. Inoltre la globalizzazione ha provocato diversi movimenti che cercano di chiudersi. “Ce ne sono in Asia, Africa, America Latina, e anche in Europa, dove ad esempio ci sono tensioni per l'immigrazione - considera il segretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso -. Allora è importante, in collaborazione anche con la Chiesa locale, che già lavora in questi contesti difficili, portare avanti il dialogo e costruire la cultura dell'incontro. Questa è la speranza per il futuro”. Le voci delle donne sono importanti, e lo sono in molti ambienti. Nell'ambiente familiare, ad esempio. “La voce della donna, alla fine, conta, mette tutta la famiglia insieme - evidenzia monsignor Kodithuwakku -. E ancora, nel campo dell’istruzione, dell’educazione, le donne sono aumentate, in diversi contesti non è più come 20 o 30 anni fa. Oggi le donne studiano, hanno ruoli di leadership. Ma ci sono ambiti in cui migliorare, come nel campo della politica, lì dove ancora la donna non gioca un ruolo importante, bisogna includere la sua voce. La situazione in alcuni ambienti sta cambiando, in altri no, perché ci sono ostacoli culturali. Ci deve essere un lavoro di tutti, donne e uomini, perché la donna venga ascoltata”. Per il segretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso dove non c'è la voce delle donne, occorre far sì che le cose cambino.
Una rete interreligiosa globale di donne
La conferenza che oggi vede protagoniste le donne per favorire una cultura dell’incontro interreligioso vuole proseguire con un lavoro di rete. Ma non si tratta di grandi novità, specifica monsignor Kodithuwakku. “Se parliamo di reti di donne, notiamo che nella storia della Chiesa ci sono congregazioni femminili che hanno cominciato il loro operato in un Paese e si sono poi diffuse altrove, cercando, secondo il loro carisma, di portare un cambiamento alla cultura. Alcune suore lo hanno fatto nel campo dell’educazione, altre negli ospedali, altre ancora nell’ambito dei diritti. Da tanti anni la Chiesa ha questa rete e anche altre religioni ne hanno”. L’obiettivo, allora, in un mondo in cui oggi comunicare è diventato più facile, e anche spostarsi, è creare una nuova rete. “Vogliamo incoraggiare prima di tutto, - ci anticipa il segretario del Dicastero per il Dialogo Interreligioso - gruppi nei contesti locali, che potrebbero essere le diocesi, e che possano poi estendersi a livello nazionale. E creare, poi, reti regionali e ancora arrivare a una rete più ampia, usando anche la tecnologia moderna, per puntare infine ad incontri periodici". “Vorremmo costruire una rete interreligiosa. È un progetto ambizioso, però siamo sulla buona strada - conclude monsignor Kodithuwakku - perché già alcune donne che partecipano al nostro convegno fanno parte di reti e dove non ce ne sono vorremmo promuoverle o incoraggiarle per costruire, poi, una rete globale”.
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