Strage in RD Congo, Balestrero: attendiamo il Papa per cicatrizzare le ferite
Antonella Palermo - Città del Vaticano
Il ramo dell'Isis in Africa centrale, l'Iscap, ha rivendicato l'esplosione ieri in una chiesa pentecostale nella provincia del Nord Kivu che ha provocato almeno 17 morti e oltre quaranta feriti. I jihadisti hanno riferito di aver piazzato e fatto esplodere l'ordigno e hanno minacciato ulteriori attacchi. La Repubblica Democratica del Congo è il Paese che sarà visitato da Papa Francesco il prossimo 31 gennaio nel suo viaggio apostolico che lo porterà anche in Sud Sudan. Monsignor Ettore Balestrero, nunzio apostolico nel Paese, analizza il contesto socio-politico della regione e fa il punto dei preparativi della visita papale.
Quale segnale esprime l’attacco di ieri rivendicato dall’Isis?
Un segnale preoccupante, ancora di più perché conferma l’involuzione della situazione sul terreno. Proprio per questo sarà importantissimo l’incontro del Papa, quando verrà, con le vittime dell’Est. Bisogna anche dire che in realtà gli attacchi sono due: uno alla frontiera con l’Uganda in un tempio pentecostale: le immagini che mi hanno mandato descrivono un vero inferno. Corpi mutilati di adulti e di bambini, un edificio semidistrutto. Ma c’è stato nello stesso giorno un attacco a Beni, in un mercato centrale che si trova proprio in uno dei punti più sicuri della città. Anche in questo caso, c’è chi crede che i responsabili siano gli AdF (Allied Democratic Forces) come prova di forza e di terrore. C’è chi crede che invece ci siano state delle complicità con la sicurezza locale però una ipotesi non esclude l’altra. In ogni caso, direi che la pace all’Est è ancora lontana. Siamo in una provincia, il nord Kivu, che è in stato di assedio da oltre un anno a dimostrare come la situazione non solo non sia migliorata ma sia peggiorata. Un messaggio molto preoccupante è che le AdF purtroppo si stanno rafforzando e a me pare che siano anche i principali beneficiari del conflitto che è in corso più a sud, attorno a Goma, con l’M23. L’attacco di ieri dimostra anche che hanno acquisito una grande influenza a Butenbo, una città grande vicino a Kasindi. Il fatto che sia stato rivendicato dall’Isis dimostra anche che i legami fra Adf e Isis si stanno consolidando, le metodologie degli attentati purtroppo divengono sempre più omogenee e ciò non può che preoccupare per la sicurezza regionale e soprattutto per quella delle popolazioni che sono le vittime continue delle carneficine ai loro danni.
Sono fatti che ci riportano anche all'attentato fatale per l'ambasciatore Luca Attanasio…
Sì, quell’attentato è avvenuto vicino a Goma, dove adesso c’è purtroppo in corso un altro conflitto terribile che dal novembre a oggi ha provocato più di 500mila sfollati. 250mila di questi sono un po’ più a sud di Goma e il luogo dove è stato ammazzato l’ambasciatore italiano è una delle frontiere invisibili fra la parte di territorio occupata da M23 e la parte che è ancora controllata dalle forze armate congolesi. È una situazione devastante, ci sono persone lungo la strada che muoiono, si stanno sviluppando delle malattie, purtroppo anche il colera, ed è urgentissimo disporre di siti dove poter accogliere le persone. La Chiesa sta facendo un grande lavoro, i preti e le suore rimangono sul luogo, sono diventati catalizzatori degli aiuti: raccolgono vestiario, medicine, cibo e li distribuiscono. È una diocesi divisa in due, basti dire che su 32 parrocchie, sei sono in territorio occupato dall’M23.
Quale risposta dal punto di vista ecumenico?
Direi una grande collaborazione. L’attacco di ieri è avvenuto in un tempio che si riferisce a La Chiesa di Cristo in Congo. Con questa organizzazione, che raccoglie varie denominazioni protestanti, c’è grande collaborazione anche nel sottolineare che a monte c’è un problema, che è causa di tutti questi conflitti: è la ricchezza del sottosuolo dell’Est. È la ragione fondamentale della sua importanza strategica con tutti i Paesi confinanti ed è la causa principale dell’economia di guerra che si perpetua in questa area dell’Est. Anche per la preparazione della visita del Papa c’è collaborazione ecumenica: loro saranno invitati per esempio nell’incontro con alcuni sfollati e il Papa, alcuni non sono cattolici. Cerchiamo insieme di accompagnare lo sviluppo democratico del Paese.
Come stanno procedendo i preparativi della visita del Papa e quali le misure cautelari?
La più immediata è quella a cui lo stesso Papa si è riferito alcuni giorni fa e cioè che originariamente era previsto che si recasse anche a Goma, adesso non è possibile farlo. Anche perché in queste settimane non è facile andarci. Lo sforzo di sicurezza e di ordine pubblico è gigantesco: basti dire che nella Messa che il Papa celebrerà a Kinshasa si prevede la partecipazione di almeno 2 milioni di persone. Ogni settimana incontro il primo ministro e il responsabile della Chiesa locale. È stato fatto molto... Ci sono anche storie bellissime: per esempio posso dire di un ragazzo che partecipa alla Messa tutte le domeniche qui in Nunziatura. Si è interessato alla visita del Papa e proprio ieri mi ha chiesto di ricevere tutti i sacramenti dell’iniziazione cristiana. Mi sembra lo scopo principale della visita: suscitare la fede in chi non ce l’ha e rafforzare la gioia in chi la vive. Molti dicono che la visita del Papa è un sogno che diventa realtà. In tutto il Paese c’è attesa di ricevere una parola di consolazione e anche di cicatrizzare delle ferite che purtroppo stanno ancora sanguinando e soprattutto sanguinano all’est.
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