Paglia: le nuove tecnologie non devono sopprimere l'umano
Michele Raviart - Città del Vaticano
Le nuove tecnologie emergenti, come biotecnologie, intelligenza artificiale e neuroscienze possono cambiare radicalmente l’uomo. Possono portare a uno sviluppo enorme, ma anche a una tragedia altrettanto enorme, perché rischiano di sopprimere l’umano in una sorta di dittatura della tecnica che sconvolge l’umanità stessa. A ribadirlo è monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita, che questa mattina nella Sala Stampa della Santa Sede ha presentato i risultati della 28 esima assemblea generale dell’Accademia, che si è svolta dal 20 al 22 febbraio sul tema “Convergere sulla persona. Tecnologie emergenti per il Bene Comune”.
Paglia: vedere l'uomo nella sua interezza
Quello che è stato riscontrato, negli incontri dei giorni scorsi tra scienziati, umanisti e filosofi, è che non solo è necessario capire come queste “nuove scienze” siano correlate tra loro e si influenzino l’un l’altra, ma anche implementare un approccio etico che metta l’uomo al centro. "Oggi rischiamo una frammentazione che non permette di vedere l’umano nella sua interezza”, ha sottolineato monsignor Paglia, “una visione spesso non accolta e seguita perché il mondo non ha una visione universale”.
Pegoraro: le tecnologie non sono neutre
“Tutti sono interessati al bene comune”, ha affermato monsignor Renzo Pegoraro, cancelliere della Pontificia Accademia per la Vita, ma “le tecnologie non sono neutre. Un uomo può essere ridotto al suo Dna o ad un algoritmo”. In genere nei due giorni di confronto, ha spiegato, “sono emerse esperienze positive, come nella lotta a malattie come la malaria, o a quanto queste tecnologie stiano aiutando a superare alcune disabilità. La comunità scientifica però non può essere autoreferenziale, bisogna pensare a come garantire la centralità della persone e a come promuovere la giustizia sociale".
Strand: superare il paradigma tecnocratico
“La scienza e la tecnologia plasmano e sono plasmate da altre istituzioni e pratiche, come la politica e l'economia”, ha ribadito il professor Roger Strand, dell’università norvegese di Bergen. “Le questioni etiche delle tecnologie convergenti si intrecciano con l'economia politica della tecnoscienza, con le agende politiche dell'innovazione e della crescita economica, con le forze del mercato, le ideologie e le culture del materialismo e del consumismo”. “Sono invischiate - ha sottolineato - in quello che l'enciclica Laudato si' ha giustamente definito il paradigma tecnocratico”.
Palazzani: progettare in maniera etica
Alcuni esempi di queste distorsioni possono riguardare l’allocazione delle risorse in ambito medico, che rischia di lasciare ancora più indietro le cure di base nei Paesi più poveri. O nel settore militare con l’uso delle armi legato all’intelligenza artificiale potenzialmente svincolato dal controllo umano. Queste tecnologie convergenti, spesso identificate come “dirompenti”, ha spiegato la professoressa Laura Palazzani dell’università Lumsa, “sono velocissime, molto complesse e hanno un’ampiezza di applicazioni senza precedenti”. Sono anche duali, unendo insieme aspetti naturali e artificiali, reali e virtuali. Si pensi ai cosiddetti “potenziamenti”, che riguardano l’aumento delle capacità di individui sani e non malati. Tutto questo ha implicazione etiche e l’obiettivo è che queste siano prese in considerazione al momento della progettazione e non dopo, quando diritto e regolamentazione rischiano di arrivare tardi rispetto al fatto compiuto.
Il bisogno di una "Parigi" per le nuove tecnologie
Per questo l’obiettivo che la Chiesa si pone è quello di accompagnare questo processo, come è già avvenuto con la firma della “Rome Call for IA Ethics” – recentemente allargata anche ad esponenti di altre religioni. L’idea è quella di promuovere un tavolo che porti la comunità internazionale a riflettere e a normare questi temi, sulla falsariga di quanto è avvenuto con la conferenza di Parigi del 2015 sulla questione dei cambiamenti climatici”.
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