Ratzinger, dieci anni fa l’ultimo saluto. In un libro il Papa “sceso dal trono”
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Voi sapete che questo mio giorno è diverso da quelli precedenti; non sono più Sommo Pontefice della Chiesa cattolica: fino alle otto di sera lo sarò ancora, poi non più. Sono semplicemente un pellegrino che inizia l’ultima tappa del suo pellegrinaggio in questa terra”. La piazza era piena e anche le vie limitrofe. La gente urlava “Grazie” e sui cartelloni, sventolati insieme a bandiere e stendardi, si leggeva: “Non andare via”. Dieci anni ricorrono oggi dall’ultima apparizione pubblica di Benedetto XVI come Pontefice della Chiesa universale: il 28 febbraio 2013 Ratzinger salutava il mondo affacciato dal palazzo di Castel Gandolfo con un breve discorso a braccio. Subito dopo, le porte del Palazzo si chiudevano e le Guardie Svizzere abbandonavano le loro postazioni. La rinuncia al pontificato, comunicata in latino l’11 febbraio, diventava effettiva e la Sede Apostolica diventava vacante, per la prima volta dopo molti secoli non a causa della morte del Papa.
Il volume
A ricordare quella pagina di storia della Chiesa moderna è il giornalista Giacomo Galeazzi, vaticanista di lungo corso de La Stampa, nel suo nuovo libro Ratzinger. Il Papa sceso dal trono, edito da Rubbettino. “Il 28 febbraio 2013 il Papa, che tante volte aveva alzato la voce a difesa della vita e della famiglia e contro il peccato interno alla Chiesa che definì durante il viaggio pastorale in Portogallo ‘la peggior persecuzione’, scese dal trono e si ritirò in preghiera al Mater Ecclesiae, l’ex monastero nel cuore dei Giardini vaticani, sua residenza dal 2 maggio 2013 fino alla morte”. Morte che, scrive l’autore, ha chiuso “una stagione senza precedenti in due millenni di storia cristiana”.
La rinuncia
“Sceso dal trono”. L’espressione scelta da Galeazzi, autore di numerosi volumi sugli ultimi tre Papi, non è casuale ma richiama l’etimologia latina di quello che più comunemente viene chiamato il “soglio pontificio”, “sŏlium pontifĭcĭus”, alla lettera “il trono del Pontefice”. Nel caso di Benedetto vuole indicare non solo il gesto della rinuncia al ministero, alle sue funzioni, ai suoi privilegi, ma il movimento, il cammino, il processo che ha portato Ratzinger a diventare da pastore della Chiesa universale a monaco “nascosto al mondo”, come ebbe a dire lui stesso nell’ultimo Angelus.
L'unità della Chiesa
Nel congedarsi dieci anni fa, lui stesso tenne a precisare che nella sua elezione a Papa c’era stato qualcosa che sarebbe rimasto “per sempre”. E fino alla fine ha indossato l’abito bianco, ha firmato come “Benedictus XVI Papa emeritus”, ha abitato nel recinto di San Pietro. Tutti elementi che hanno portato ad interpretazioni faziose e ostili dell’unità della Chiesa, oltre che di quella tra il Papa emerito e il regnante. La morte, avvenuta nel giorno che la Chiesa da sempre consacra al ringraziamento per i benefici ricevuti nell’anno trascorso, ha sciolto le ambiguità, terminando l’epoca inedita di quelli che erroneamente sono stati definiti “due Papi” che hanno condiviso fraternamente lo stesso spazio fisico e la dedizione per la medesima missione: il bene supremo della Chiesa.
Aneddoti e retroscena
Per comprendere tutto questo, ora che sono già due mesi dalla scomparsa di colui che per dieci anni è stato Papa emerito, Giacomo Galeazzi nel volume riannoda i fili della storia personale di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI, servendosi di fonti storiche e giornalistiche, di testimonianze ma anche di retroscena e piccoli aneddoti che hanno scandito la vita, gli studi, gli otto anni di pontificato. Quindi nelle 188 pagine del libro è possibile, ad esempio, ritrovare tra gli altri il nome dell’ex presidente della Repubblica italiana, Francesco Cossiga, il quale – si legge – “citava spesso i suoi colloqui con Benedetto XVI, al quale lo legavano l’amore per la letteratura e anche la passione per i dolci. La domenica l’ex capo dello Stato gli faceva recapitare in Vaticano una cassata o una pastiera”.
La gioventù e il Concilio
La tecnica del racconto è quella del flashback. Si parte dal “presente”, cioè dal funerale del 5 gennaio 2023 con la “bara sobria ed essenziale” in Piazza San Pietro, per tornare indietro nel tempo e rivivere le fasi storiche dell’esistenza di Ratzinger, a partire dalla gioventù con la “resistenza intellettuale” al nazismo, gli studi accademici e, soprattutto, l’esperienza di perito conciliare. Per il giovane teologo – residente a Roma nell’Hotel Zanardelli, dove apprese la pratica tutta italiana della “pennichella” – il Concilio Vaticano II “è stato un vero e proprio segno del destino, della Provvidenza”, afferma l’autore. “Ha vissuto le quattro sessioni di quella grande avventura immerso nel ritmo mozzafiato di iniziative, sessioni di lavoro, brainstorming ed elaborazioni di documenti a stretto contatto coi più grandi vescovi e teologi del XX Secolo, da Congar a Rahner, a Volk, da De Lubac a Danièlou”, i quali hanno permeato il suo pensiero.
Il Conclave del 2005
L’altro evento storico che il libro fa rivivere è il Conclave del 2005 che lo elesse 264° Successore di Pietro. “Non fu una sorpresa per nessuno”, scrive Galeazzi, ricordando lo stretto legame con il predecessore Giovanni Paolo II, il quale il 16 aprile 2002 rifiutò le dimissioni del prefetto della Congregazione per la dottrina della fede che quel giorno compieva 75 anni. “Karol Wojtyla, già molto affaticato dalla malattia, non aveva alcuna intenzione di rinunciare al suo più autorevole collaboratore nel governo centrale della Chiesa”, si legge.
Il pensiero su finanza e principi non negoziabili
La fede granitica, l’episcopato come paternità, le radici e l’eredità di un “Papa intellettuale”, “cresciuto su Sant’Agostino, San Bonaventura e Origene“, sono gli altri temi scandagliati nel libro, insieme ad una interessante analisi sulla “modernità” della teologia di Joseph Ratzinger, teologo non “creativo” ma che “ha ridato modernità alla tradizione”, afferma Galeazzi. Il giornalista sgombera il campo anche dagli “equivoci attorno alle battaglie bioetiche intraprese da Benedetto XVI, facendo chiarezza su una formulazione che ha contrassegnato l’intero pontificato: quella dei principi non negoziabili che riguardano la bioetica (difesa della vita, della famiglia, di libertà educativa)”. E rileva pure il pensiero del Pontefice tedesco su economia e finanza, che hanno esercitato un fascino in alcuni intellettuali laici come Marcello Pera o Massimo Cacciari o in un “ateo devoto” come Giuliano Ferrara, divenendo punto di riferimento per coloro ai quali è stata applicata la definizione di “marxisti ratzingeriani”.
La postfazione di Pennisi
Un punto, quest’ultimo, evidenziato anche da monsignor Michele Pennisi, arcivescovo di Monreale, nella postfazione a sua firma in cui invita: “Dopo la decisione profetica di Papa Benedetto di rinunciare a servire la Chiesa universale, è importante avviare una riflessione dal punto di vista teologico e canonistico sulla condizione di un Pontefice Romano che rinunzia all’esercizio del ministero petrino”.
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