Donna in uno slum di Nairobi in Kenya Donna in uno slum di Nairobi in Kenya 

“Donne Chiesa Mondo”, una teologia dai margini

Sul numero di aprile del mensile de L’Osservatore Romano, che esce domani, una ricerca internazionale nelle periferie dove la sensibilità femminile pone domande su Dio

 di Lucia Capuzzi *

Lezioni di Resurrezione. Per frequentarle occorre, innanzitutto, “de-centrarsi”. Uscire, cioè, dai confini ristretti del proprio io, del proprio ruolo, delle proprie competenze, lasciare il centro delle certezze e inoltrarsi lungo i sentieri che conducono ai margini. Là, dove sono espulsi gli scarti del sistema socio-economico, i non conformi allo standard e alla regola, i non integrati, abita un’umanità lacerata, zoppicante spesso abbrutita dalla fatica del vivere. Quando la folla diventano volti, occhi e mani di uomini e, soprattutto, di donne, vi si scorge la luce della vita.

«L’ho vista. Grazie alle abitanti delle baraccopoli e dei quartieri popolari di Santiago, ho toccato con mano la Pasqua. Muoiono tutti i giorni e tutti i giorni risorgono. A differenza dei mariti, dei compagni, dei fratelli, dei padri che, spesso, vanno via o si rifugiano nell’alcol e nella droga, le donne con meno risorse si fanno carico della famiglia, dei vicini, della comunità. Per loro, sono capaci di portare sulle fragili spalle veri macigni. Con coraggio e forza commoventi affrontano difficoltà molte volte enormi», afferma la teologa Lorena Basualto. Insieme alle colleghe Agnes Brazal e Adele Howard, è stata chiamata dalla sezione Migranti e rifugiati del dicastero per il Servizio dello Sviluppo umano integrale a partecipare al progetto “Fare teologia dalle periferie esistenziali”, diretta da Sergio Massironi. Una ricerca internazionale innovativa e profetica perché ha implicato un ulteriore decentramento, forse il più difficile: svuotarsi di conoscenze e convinzioni su Creatore e creatura per apprendere una lingua nuova, con cui pronunciare un inedito discorso su Dio.

 Una novantina di studiosi ha percorso le periferie, esistenziali e geografiche, di quaranta città del pianeta per rivolgere a chi le popola – i poveri ma anche quanti, in genere, non trovano ascolto nella Chiesa – interrogativi fondamentali su Dio e la fede, come chi sia Gesù, chi Maria, che cosa significhi speranza, peccato o dolore. Lo studio è stato articolato in sei gruppi regionali, uno per ogni «frammento di mappamondo»: America del Nord, Africa, Europa, America del Centro e Sud, Asia e Oceania. La cilena Basualto, la filippina Brazal e l’australiana Howard hanno coordinato – una per ciascuna area – gli ultimi tre. Gli altri sono stati affidati a esperti uomini: Stan Chu llo, Toussaint Kafarhire, oltre allo stesso Massironi che è stato anche il referente per la regione europea. L’equità di genere è stata uno dei cardini su cui si è costituita l’iniziativa, a cominciare dal gruppo di lavoro.

Il doppio sguardo, maschile e femminile, è stato considerato, fin dal principio, cruciale per scrutare i frammenti di Vangelo nascosti nei margini. Lo stesso esperimento pilota, realizzato nel gennaio 2022 a Barcellona, è stato coordinato da una donna, la monaca benedettina Teresa Forcades. Da lì, nei mesi successivi, il programma si è espanso a macchia d’olio, fino a coinvolgere oltre cinquecento esponenti del “popolo dei margini”. «Ho raccolto varie testimonianze nella baraccopoli di La Florida, a Santiago. I leader della comunità erano tutte donne. Non l’avevano scelto. C’era la necessità di organizzarsi per accedere ai programmi sociali e loro si sono fatte avanti, per il bene della collettività.

Per difendere i cuccioli, come diciamo in Cile — racconta Lorena Basualto — Abbiamo trovato la stessa forza, la stessa capacità di tessere reti nelle detenute di un carcere messicano o nelle migranti venezuelane a Medellín, in Colombia». «Ho intervistato numerose indigene dell’Oceania. Ciò che più mi ha colpito è stata la passione, la determinazione, la franchezza con cui sono capaci di denunciare il disastro ambientale che minaccia le proprie famiglie e comunità. E lo fanno mosse dalla fede. La profonda consapevolezza della presenza di Dio, lo Spirito Creatore, in tutto ciò che esiste, è la spinta che le porta a impegnarsi, in modo concreto, per proteggere la nostra casa comune. Per questo, i popoli nativi e, soprattutto, le donne, sono maestri di ecologia integrale per tutti. Da loro possiamo apprendere come salvare la terra e l’umanità», afferma Adele Howard.

Il Dio a cui si rivolgono riflette queste caratteristiche di cura dell’altro. «È un Dio che abbraccia e stringe forte a sé. Un Dio molto semplice, dai tratti fortemente materni», aggiunge la teologa Basualto. «Per le collaboratrici domestiche indonesiane immigrate a Hong Kong come per le bambine di strada di Quezon City, sobborgo di Manila, o per le catechiste della capitale, con cui abbiamo lavorato, Dio è Colui che non abbandona, che salva. La sua azione si manifesta attraverso i sacerdoti, i religiosi, gli altri fedeli in cui trovano sostegno. Famiglia e comunità hanno un ruolo cruciale nel fare da mediatori della presenza del Signore nella loro vita. Questo è stato molto forte in alcune ragazzine abusate che abbiamo intervistato. Man mano che hanno trovato figure di ferimento autentiche, sono riuscite a riavvicinarsi a Dio e a riconciliarsi con la fede», sottolinea Agnes Brazal. «Allo stesso modo, incolpano delle proprie sofferenze le persone non Dio. Mi ha colpito la frase di una ragazza. “Il Signore ha inviato suo Figlio per salvarci ma i malvagi non gliel’hanno consentito”», mi ha detto. «Si tratta di un’affermazione teologicamente non corretta. Ma è indicativa del fatto che per loro Dio è sempre e solo buono, il male è un prodotto umano», aggiunge Basualto. Certo, a volte si arrabbiano con il Creatore. E la preghiera si fa lamento e rimprovero, come nei Salmi biblici. Anche in tempo di tragedia, però, l’interlocuzione non si interrompe. Come ribadisce Basualto, l’interrogativo non è se Dio ci sia ma dove stia.

«La teologia occidentale è influenzata dal pensiero razionale e scientifico — sottolinea Howard — Le indigene dell’Oceania, invece, hanno una relazione spirituale con tutta la creazione».

L’energia femminile emerge anche dalla capacità delle «donne dei margini» di reagire al clericalismo. «Un problema molto sentito dalle intervistate, soprattutto quante sono attive nelle parrocchie», spiega Brezal. «Ribattono senza timore di fronte ai preti e anche ai vescovi — le fa eco la collega cilena — Non attendono che venga concesso loro uno spazio nella Chiesa, se lo ritagliano, proprio come sono costrette a fare nella società». Proprio per avere argomenti, cercano di tenersi informate sulla vita della Chiesa universale e locale. La rabbia per gli abusi all’interno della comunità ecclesiale, così, ha raggiunto le periferie, soprattutto in Cile, dove lo scandalo è stato dirompente. Ma vi arrivano anche, e con precisione, i messaggi di papa Francesco. «Una giovane mamma single rifiutava di sentirsi così perché il Papa aveva affermato che non ci sono madri single ma solo madri. Sono andata a controllare e, in effetti, l’aveva detto», sottolinea Basualto.

Sui temi del diaconato e del sacerdozio femminile si nota una differenza geografica. Mentre le donne dei margini latinoamericane non lo toccano, quelle asiatiche lo sottolineano con forza. «Margaretha, una immigrata ad Hong Kong, ad esempio, mi ha raccontato: “Qualche volta mi domando: Perché solo gli uomini possono celebrare l’Eucarestia?”», dice la studiosa filippina. Non si tratta di un interrogativo teorico bensì di un grido di dolore per le molte discriminazioni troppo a lungo patite, dentro e fuori la Chiesa. «La straordinarietà di questo progetto è proprio quella di averci strappato dai libri e immersi nelle storie. L’ascolto di esseri umani feriti ci ha fatto compiere un salto dal mondo delle idee a quello della realtà. Attraverso le loro vite Dio ci parla e ci tocca il cuore, per convertirci», dice Brazal.

«Per risolvere le grandi sfide contemporanee, a partire dalla minaccia del cambiamento climatico, l’approccio logico non è sufficiente. Dobbiamo integrarlo con la mistica e la spiritualità. Abbiamo necessità, dunque, di ascoltare la saggezza degli indigeni e delle indigene in particolare, in modo da elaborare una teologia e una spiritualità nuove per rispondere in modo coerente alla chiamata del Vangelo in questo tempo. Affinché, come si legge in Giovanni, “tutti abbiano vita e vita in abbondanza”».

«Grazie al popolo femminile delle periferie ho fatto esperienza del Dio che si è fatto carne ed è venuto ad abitare fra noi — conclude Basualto — il Logos incarnato di cui parla il Vangelo».

*Giornalista di Avvenire

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31 marzo 2023, 13:20