Cantalamessa: la barca della Chiesa non può affondare, Cristo è con lei ogni giorno
L’Osservatore Romano
Occorre liberarsi completamente da una visione della Chiesa «formatasi a poco a poco e divenuta dominante nella coscienza di molti credenti»: quella che il cardinale Raniero Cantalamessa — durante la quinta predica di Quaresima tenuta nell’Aula Paolo vi venerdì mattina, 31 marzo — ha definito «una visione deistica o cartesiana, per l’affinità che essa ha con la visione del mondo del deismo cartesiano».
In questa concezione — ha spiegato il predicatore della Casa pontificia sviluppando il tema «Abbiate coraggio, io ho vinto il mondo» — Dio «all’inizio crea il mondo e poi si ritira, lasciando che si sviluppi con le leggi che gli ha dato»: come un orologio a cui «è stata data una carica sufficiente per funzionare indefinitamente per conto suo». Ogni nuovo intervento da parte sua, ha aggiunto, «turberebbe questo ordine, ragione per cui i miracoli sono ritenuti inammissibili». In sostanza Dio, creando il mondo, farebbe come chi dà «un buffetto a un palloncino e lo spinge in aria, rimanendo, lui, a terra».
Applicata alla Chiesa questa visione significa che Cristo l’ha fondata, «l’ha dotata di tutte le strutture gerarchiche e sacramentali per funzionare» e poi «l’ha lasciata, ritirandosi nel suo cielo, al momento dell’Ascensione». Come chi «spinge in mare una barchetta, rimanendo lui sulla riva». Ma non è così: Gesù è salito sulla barca ed «è dentro di essa». Bisogna prendere sul serio le sue ultime parole in Matteo (28, 20): «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Ad ogni nuova tempesta, «comprese quelle odierne, Egli ci ripete ciò che disse agli apostoli nell’episodio della tempesta sedata: “Perché avete paura, gente di poca fede?”». In questo senso, si comprende che Cristo è sempre con la sua Chiesa, la quale non può affondare, perché non «può affondare in mare Colui che ha creato il mare».
Dunque, Gesù «non si è mai assentato e mai si assenterà dalla sua Chiesa». Infatti, con la sua morte e risurrezione, egli è divenuto «capo del corpo che è la Chiesa» e tale continuerà «ad essere fino alla fine del mondo». E la sua, ha aggiunto il porporato, non è «una presenza per così dire morale e intenzionale, non è una signoria per procura». Del resto, quando non si può partecipare fisicamente a qualche evento, si dice di solito: «Sarò presente spiritualmente»; e questo «non è di molta consolazione e aiuto a chi ci ha invitato». Ma quando si dice di Gesù che è presente «spiritualmente», questa presenza «non è una forma meno forte di quella fisica, ma infinitamente più reale ed efficace»: è la presenza di «Lui risorto che agisce nella potenza dello Spirito, agisce in ogni tempo e luogo, e agisce dentro di noi».
Prendendo spunto dall’attualità, il predicatore ha poi osservato che se nell’attuale situazione di crisi energetica «si scoprisse l’esistenza di una sorgente di energia nuova, inesauribile» sarebbe un «sollievo» per l’umanità intera. Ebbene la Chiesa ha, nel suo campo, «una simile sorgente inesauribile di energia»: la «potenza dall’alto» che è lo Spirito Santo.
C’è un momento nella storia della salvezza che richiama da vicino le parole di Gesù nell’ultima cena. Lo ha ricordato il cardinale citando l’oracolo del profeta Aggeo: in esso si fa riferimento alle «case ben coperte» in cui si è tentati di starsene tranquilli. In proposito, Cantalamessa ha invitato a riflettere su tre «case concentriche», una dentro l’altra, da cui dobbiamo uscire per salire sul monte e ricostruire la casa di Dio.
La prima, ben coperta, curata e arredata, è l’«io»: la comodità, la gloria, la posizione nella società o nella Chiesa. Si tratta del muro «più difficile da abbattere, il meglio dissimulato»: è così facile scambiare «il mio onore per l’onore di Dio e della Chiesa». La «seconda casa» da cui uscire è la parrocchia, il proprio ordine religioso, movimento o associazione ecclesiale, la propria Chiesa locale e diocesi. Non certo nel senso di avere un atteggiamento distaccato da «queste realtà particolari nelle quali il Signore ci ha posto e di cui siamo forse responsabili»: il male, ha chiarito il cardinale, «è assolutizzarle, non vedere altro al di fuori di esse, non interessarsi che di esse, criticando e disprezzando chi non le condivide». La «terza casa», infine, è la «particolare denominazione cristiana a cui apparteniamo». Tutti, ha fatto notare Cantalamessa, «siamo convinti che parte della debolezza della nostra evangelizzazione e azione nel mondo è dovuta alla divisione e alla lotta reciproca tra cristiani». Per il predicatore «non possiamo accontentarci» di un’unità «vaga» e «questo giustifica l’impegno e il confronto, anche dottrinale, tra le Chiese». Partendo comunque da un’«unità di base che consiste nell’invocare lo stesso Signore Gesù Cristo: chi crede nel Figlio di Dio crede anche nel Padre e nello Spirito Santo». Ed è «verissimo ciò che è stato ripetuto in più occasioni: “ciò che ci unisce è più importante di quello che ci divide”».
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