Semeraro: Dio non guarda le nostre sofferenze come capricci, ma piange con noi
Vatican News
È di un Dio che non guarda le nostre sofferenze “dall’alto in basso, quasi ritenendoli capricci di bambini”, ma fa suoi i nostri dolori, tanto da piangere “non soltanto come noi, ma con noi”, che ha parlato il cardinale Marcello Semeraro nella sua omelia, ieri sera, nella Basilica di Sant’Agostino in Campo Marzio, a Roma. Il prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi ha celebrato con una Messa i 200 anni della morte del venerabile agostiniano Giuseppe Bartolomeo Menochio (1741-1823), “devoto religioso” e “vescovo esemplare” stimato già in vita come santo, noto per aver “saputo piangere accanto all’esule e prigioniero Papa Pio VII, rimanendogli sempre fedele e amico”. Menochio fu infatti sacrista e confessore del Pontefice eletto al conclave di Venezia, mentre a Roma c'erano ancora disordini terminata l'occupazione dei francesi, e ne condivise sofferenze e angustie.
Dio ascolta sempre il pianto dell’uomo
Se “nella tradizione classica greco-romana il pianto era un gesto disdicevole per un uomo”, quasi “da donnicciole”, ha sottolineato Semeraro, “col cristianesimo il pianto diventa non soltanto umano, ma perfino divino”. Anche Sant’Agostino, ha rammentato il cardinale, guardando al luogo della celebrazione, pianse per la morte dell’amico d’infanzia e poi della madre Monica, le cui spoglie sono custodite proprio nella Basilica di Campo Marzio. Pianse, il vescovo di Ippona perché ad ascoltare le sue lacrime c’era Dio, come scrisse lui stesso. “Dio, infatti, ascolta sempre il pianto dell’uomo, perché nel suo Figlio ha pianto Egli stesso”, ha affermato il prefetto delle Cause dei Santi.
Prendere sul serio i nostri dolori
Dal Vangelo di oggi e dalle lacrime di Gesù dinanzi alla tomba in cui Lazzaro era stato deposto possiamo imparare dunque almeno due cose: “La prima è che il Signore prende sempre sul serio i nostri dolori, le nostre sofferenze. Non le osserva, come sul dirsi, dall’alto in basso, quasi ritenendoli capricci di bambini. No, egli fa proprie le nostre sofferenze. Piange non soltanto come noi, ma piange con noi e la fa per davvero. La seconda cosa è che mentre noi riteniamo spesso irreparabili le nostre sconfitte, le nostre perdite e i nostri dolori, Gesù ci propone e sceglie un’altra prospettiva”, ha sottolineato Semeraro. Spesso noi “non capiamo e fraintendiamo”, ma Cristo “ci è comunque vicino e interviene per noi”, ha assicurato.
Collaboratori e solleciti protagonisti accanto a Gesù
Allo stesso tempo, però, Gesù ci chiede di partecipare alla sua azione. Sempre nel Vangelo di Giovanni, si narra che Gesù dopo avere richiamato Lazzaro dalla tomba, chiese ai discepoli di completare la sua opera togliendogli le bende: “Liberatelo e lasciatelo andare”. È questo un invito per tutti i fedel oggi: “A volte, infatti, quando invochiamo l’aiuto del Signore, noi pensiamo che debba fare tutto Lui! Egli, invece, prevede sempre qualcosa per noi: almeno togliere le bende perché si possa riprendere il cammino!”, ha affermato il cardinale. “Ci sono sempre nei nostri fratelli e sorelle delle bende da sciogliere e noi dobbiamo farlo con prontezza. Questo si chiama pure misericordia”. Gesù, ha concluso, “ci vuole attivi collaboratori e solleciti protagonisti accanto a Lui”.
Menochio religioso solerte e vescovo coraggioso
Piemontese di nascita, Menochio, entrò nell'ordine agostiniano nelle Marche. Insegnò teologia poi si dedicò soprattutto alla predicazione popolare. Uomo di profonda preghiera, riteneva la penitenza il mezzo ordinario per ottenere da Dio la conversione dei peccatori. Nel 1796 fu nominato vescovo coadiutore di Reggio Emilia, ma poco dopo fu espulso dalla città perchè "straniero" dagli occupanti francesi. Menochio svolse allora il suo apostolato in varie diocesi marchigiane, man mano che queste venivano private dei loro pastori. Nel 1800 Pio VII, appena eletto Papa lo volle come suo sacrista e confessore. Nel 1804 Menochio accompagnò il Pontefice a Parigi per l'incoronazione di Napoleone nella cattedrale di Notre-Dame, ma gli fu impedito di seguirlo quando venne deportato in Francia. Il religioso rimase a Roma, al palazzo del Quirinale, occupato dalle truppe francesi, e rifiutò di prestare giuramento di fedeltà all'imperatore nonostante le forti sollecitazioni e pressioni ricevute. Si prodigò molto nella direzione spirituale, seguendo diversi religiosi e monasteri dell'urbe, e si impegnò anche per la restituzione all'ordine di Sant'Agostino dei conventi soppressi da Napoleone. Morì nel 1823; le sue spoglie riposano nella basilica di Sant'Agostino, a Roma. È in corso la sua causa di beatificazione.
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