La croce e la guerra. Parole visive
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Forse più della parola l’immagine è capace di dare forma alle molteplici sfumature dei sentimenti e delle emozioni: dalla gioia alla tristezza, dallo stupore alla malinconia, dalla fiducia alla paura e alla disperazione. Accade così ad esempio con lo sconvolgimento provocato dalla ferocia e dall’insensatezza della guerra: un atto che Papa Francesco non ha esitato a definire “barbaro e sacrilego”: "Nella follia della guerra - ha detto Il Vescovo di Roma - si torna a crocifiggere Cristo".
Immagine e Parola
Per rappresentare il dramma delle vittime innocenti, l’efferatezza di bombardamenti che seminano morte in modo incondizionato, negli anni a cavallo tra le guerre mondiali artisti anche lontani dalla Chiesa, sono ricorsi sovente alla figura di Gesù, uomo dei dolori. Le crocifissioni sono divenute così “parole visive” per esprimere l’amarezza e la protesta contro i soprusi delle dittature e della lotta dell’uomo contro l’uomo.
9 mila opere
Ne sono una vivida testimonianza le circa novemila opere d’arte contemporanea dei Musei Vaticani che costituiscono quella che originariamente si chiamava Collezione di Arte Religiosa Moderna, oggi “Collezione di Arte Moderna e Contemporanea” voluta da Paolo VI nel 1973. Tra queste si distinguono pregevoli xilografie, acqueforti, puntesecche, litografie provenienti dai circa quattromila esemplari della collezione grafica dei Musei Vaticani. Il corpus di arte contemporanea dei musei del Papa è stato prevalentemente donato come segno di gratitudine degli artisti a Papa Montini che tanto aveva desiderato riallacciare lo storico e tormentato legame tra arte e Chiesa nel secolo scorso.
L’angoscia e la speranza
Quelle ispirate al tema della Passione sono immagini crude, a volte stridenti. Specchio delle domande di senso e delle angosce vissute negli anni del conflitto. Altre, pur nella loro asprezza, riescono a mostrare un raggio di speranza tra le pieghe di una storia funestata da odio e morte. Nello specifico le opere grafiche sono esposte a rotazione in galleria o conservate nel buio dei depositi delle collezioni pontificie: sono custodite al riparo dalla luce, a condizioni di temperature idonee per la conservazione della carta, un supporto estremamente fragile che necessità di cure e attenzioni speciali.
Il martirio dell’innocente
L’occhio nero, chiuso ed una data tatuata sulla fronte: 1918. È il volto di Cristo di Karl Schmidt Rottluff, uno dei protagonisti insieme a Erich Heckel e Ernst Ludwig Kirchner del gruppo espressionista Die Brücke (Il Ponte): fu eseguito in Germania al culmine della Grande Guerra la cui cappa plumbea pesava da anni sull’Europa. Il viso di Gesù, aggredito e martirizzato dall’umana ferocia, è reso con un’evidente e vigorosa semplificazione formale, fusione di elementi cubisti, primitivi e africani.
Rottluff che nella prima fase della sua produzione artistica si era concentrato sul paesaggio e sulla natura, negli anni in cui fu chiamato a combattere sul fronte orientale virò su soggetti religiosi. La preziosa xilografia appartiene ad una cartella dedicata ad episodi della vita di Cristo, pubblicata nel 1918 dall’editore Kurt Wolff Verlag di Monaco. Entrò nella Collezione Vaticana nel 1978, come legato testamentario di San Paolo VI, al quale l’artista l’aveva donata personalmente.
Non voltarsi dall’altra parte
“Compito dell’artista è sollevare dubbi, talvolta mettere a disagio, amplificare le domande, tenere alta la guardia sui temi etici, non voltare la testa dall’altra parte”, spiega Micol Forti, curatrice della Collezione d’Arte Moderna e Contemporanea dei Musei Vaticani. “Proprio per questa sua vocazione egli non può eludere il tema sacro. L’arte si è sempre fatta carico di raccontare il male che abita la nostra storia. L'esperienza delle due guerre mondiali ha posto gli artisti del Novecento di fronte a questo compito audace e sublime al tempo stesso”.
L’infanzia violata
Il grido di denuncia delle sofferenze patite dai bambini durante i conflitti prorompe da una litografia, dall’alto significato politico, eseguita del pittore e drammaturgo austriaco Oskar Kokòschka, tra il 1945 ed il 1946, in anni immediatamente successivi al secondo conflitto mondiale. Si intitola “Kreuz und kinder - En memoria de los niños de Viena que moriran de hambre este año 1946” e mostra Cristo che tende la mano ai bambini ai piedi della croce: venne stampata in cinquemila copie e affissa nelle stazioni della metropolitana di Londra, al fine di raccogliere fondi per aiutare gli orfani di guerra cecoslovacchi.
L’arte è uno strumento di divulgazione, veicola un messaggio che valica le barriere. Una dedica autografa testimonia la donazione dell’opera da parte dell’artista a Papa Montini.
Cristo negli ultimi
Al tema del “Miserere” è dedicata una serie di 58 litografie prodotte tra il 1912 e il 1948 da Georges Rouault. Il filo conduttore è il Salmo 50, il più celebre tra i salmi penitenziali, nel quale il re Davide chiede perdono a Dio per i suoi peccati. L’artista, credente ed incessantemente attento all’umanità derelitta e agli ultimi - prostitute, senzatetto, saltimbanchi, persone sole e abbandonate - predilige la tecnica grafica per raggiungere, attraverso la larga diffusione che essa consentiva, anche gli strati sociali meno abbienti. Il progetto ebbe una vicenda editoriale e concettuale molto complessa e prolungata: richiese oltre trent’anni di lavoro e comprese anche scene ispirate alla guerra, alla morte e alla Passione.
“Sono gli anni di una Francia ormai laicizzata che nel 1905 ha varato la legge di separazione tra Stato e Chiesa”, prosegue Micol Forti, “Rouault frequenta un cenacolo di artisti laici e con posizioni distanti dalla Chiesa: tuttavia scelgono una linea fortemente legata alla tradizione iconografica. L’acquisizione della tematica sacra diviene impegno civile, ma il tema sociale non prende mai il sopravvento su quello sacro. Cristo in queste opere incarna l’uomo e gli ultimi”.
Il dramma delle morti in mare
Citazioni evangeliche o di figure legate alla pietà popolare e alla pratica devozionale della Via Crucis sono presenti in un’altra serie di opere grafiche di strettissima attualità. Si tratta di xilografie, ovvero immagini da matrice lignea, eseguite tra il 1912 ed il 1913, pubblicate nel 1918 da Lorenzo Viani. Il tema è quello della benedizione dei morti in mare, particolarmente sentito a Viareggio, città di origine del pittore e poeta italiano che rappresenta, come moderne Pietà, il pianto delle donne sui figli e mariti dispersi in mare. Madri velate solcate dal dolore, reduci segnati dalla fatica estenuante dei pescatori in un viaggio falcidiato dalla morte, resa in tutta la sua crudezza nei volti dei cadaveri dei naufraghi. Evidenti gli spunti tratti dall’arte africana, ma anche dall’arte medievale italiana dei Pisano.
Concrete e vissute, queste rappresentazioni sintetiche, asciutte, sono una denuncia della morte innocente causata dalla fatica del lavoro in tempi di guerra: “La mattina successiva all’ingresso in guerra dell’Italia nel 1915”, ricorda Micol Forti, “Ravenna viene bombardata, inaspettatamente. Nella vicina Viareggio arrivò l’eco di questo fatto sconvolgente. L’appartenenza di queste opere ad un tessuto sociale e collettivo è evidente e si traduce attraverso l’iconografia cristiana”.
Maria nelle donne di tutto il mondo
“Di questi fogli esistono ancora le matrici in legno”. Viani utilizzava la sgorbia, un particolare tipo di scalpello con una lama sagomata. “Sembrava incidesse indecifrabili geroglifici. Nel momento in cui però si andavano a stampare, le immagini assumevano la delicatezza e la poeticità di queste forme di compianto che hanno nella figura della Madonna l’immagine di tutte le donne del mondo”.
Ispirate alle stampe cinquecentesche di Albrecht Dürer, e quindi in dialogo con il passato della grande tradizione artistica europea, sono 13 incisioni dello spagnolo José Ortega scaturite dalla guerra di Spagna del 1936: nero lo sfondo, bianco il contorno del disegno: un contrasto che enfatizza la violenza dei bombardamenti di anni tanto travagliati.
Gli orrori dei lager
L’abominio, l’abisso, l’angoscia, la folle e desolata realtà dei campi di concentramento sono evocati in tutta la loro crudezza e desolazione nel disegno di Francesco Messina del 1977: dai corpi nudi, inermi, scheletrici, ridotti all’essenzialità per le sofferenze subite, agli sguardi muti, angosciati di detenuti innocenti. Ispirò i sei rilievi in bronzo esposti nella Sala dedicata al tema della Passione e raffiguranti “gli orrori della guerra” dove gli uomini si uccidono reciprocamente, prigionieri dei fili spinati del loro confinamento. Il martirio di Cristo, emblema di tutte le ingiustizie e dei mali del mondo, della loro accoglienza e redenzione, è riattualizzato dall’artista che ritrae una donna crocifissa a testa in giù o due uomini che lottano come Caino e Abele: “La riflessione prescinde dalla contingenza”, commenta Micol Forti. “Le guerre sono sempre presenti, come sappiamo bene, sul nostro pianeta. Ognuna è solo portatrice di morte e di tragedie. Dunque la nostra attenzione, la nostra partecipazione e la nostra memoria sono elementi fondamentali affinché non si ripetano nel futuro.”
Pittura scolpita
Intensa nei colori forti e vivaci e nelle forme dai tratti violenti e netti, la Via Crucis realizzata dall’artista siciliano Giuseppe Migneco: “intagliatore di legno che scolpisce col pennello”, lo definì un suo ammiratore. “È un’opera postbellica, non ne conosciamo la data precisa di esecuzione, ma è riconducibile all’inizio degli anni ’50. Migneco non solito alla rappresentazione di soggetti simili, realizza le 14 stazioni per un collezionista partito poi per l’Argentina: non sono mai state pubblicate”.
Arte, profezia e poesia
Le opere fin qui analizzate sono testimonianza vivida di come nel Novecento non sia mai avvenuto quello che in tanti, a torto, hanno definito come “divorzio tra arte e Chiesa”. Anche Paolo VI che il 7 maggio 1964 celebrava la Messa con gli artisti in Cappella Sistina, sosteneva che il legame non si fosse mai interrotto, ma che andasse nutrito e coltivato. Un compito quanto mai attuale nonostante il progressivo processo di laicizzazione in corso negli ultimi decenni. Dalle mille opere che costituivano il nucleo fondante della sezione dedicata all’arte contemporanea si è passati alle attuali novemila donate dagli artisti ai Musei Vaticani. Sono già circa cinquecento le opere datate dopo il 2001, presenti in collezione. Una conferma di come la tematica di arte sacra resti una feconda fonte di ispirazione. Papa Montini definiva gli artisti “profeti" e "poeti”, maestri nel "rendere comprensibile il mondo invisibile”. Diceva loro: “Se ricerchiamo Cristo veramente dove è, in cielo, lo vediamo riflesso, lo troviamo palpitante nella nostra anima: il Dio trascendente è diventato, in certo modo, immanente, è diventato l’amico interiore, il maestro spirituale.”
“L’artista che si apre al soggetto sacro – conclude Micol Forti - è sicuramente un artista impegnato da un punto di vista contenutistico e che non si ferma alla sola godibilità estetica. Persino Picasso che si dichiarò sempre lontano dalla Chiesa si confrontò con il soggetto religioso e con il tema sempre attuale della crocefissione”. Perché è solamente nel mistero del Verbo incarnato, afferma la Gaudium et Spes, che trova vera luce il mistero dell'uomo.
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