Compagni di uno stesso viaggio. L’eredità di Benedetto XVI
di Silvia Guidi
Una ragione «presuntuosa» ma ridotta, mutilata delle sue possibilità, contrapposta all’apertura — di mente e di cuore — di chi non pretende di inscatolare il reale nei confini angusti della propria misura. E una teologia non ridotta a riserva indiana, a paradiso artificiale dove rifugiarsi dalle contraddizioni del mondo, ma luogo dove farsi lasciare raggiungere dalle domande, dal dolore e dalle speranze dei propri fratelli uomini, credenti o meno, comunque compagni di uno stesso viaggio. Un luogo dove L’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà, il titolo dell’incontro dedicato all’eredità di Benedetto XVI che si è svolto il 22 agosto al Meeting per l’amicizia tra i popoli di Rimini, moderato da don Andrea D’Auria, direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione in un auditorium affollatissimo. Intelligenza della realtà, non di un ipotetico migliore mondo dei mondi possibili.
I relatori — Andrea Bellandi, arcivescovo metropolita di Salerno-Campagna-Acerno, Aura Miguel, la vaticanista portoghese veterana di viaggi apostolici, e Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede — hanno fatto parlare gli scritti e i gesti del teologo che troppe volte è stato descritto sui media come la caricatura di se stesso, usando le sue stesse parole per smascherare cliché, malintesi e banalizzazioni del suo pensiero. Impossibile non citare il discorso che Joseph Ratzinger — allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede — tenne al Meeting nel 1990: Una compagnia sempre riformanda. E non ricordare il coraggio e la semplicità di una domanda come «l’uomo ha davvero bisogno di Dio? Le cose non potrebbero andare bene anche senza di Lui?».
Ratzinger, ha chiosato monsignor Bellandi, si chiedeva se fosse ancora possibile credere in un mondo edificato su una interpretazione esclusivamente «quantitativa» e razionalista del reale, verificabile e controllabile; dove la questione della presenza di Dio, sembra priva di senso. E ne aveva rimarcato le conseguenze: l’uomo che cerca di esistere solo nel mondo del calcolabile resta soffocato, vive in un bunker di cemento senza finestre dove si dà la luce da solo, senza essere in grado di rispondere alle domande fondamentali né instaurare un dialogo con le culture nelle quali la dimensione religiosa è presente.
Quando fede e ragione cooperano — davvero — alla ricerca della verità, la fede non blocca la ragione ma la aiuta a non piegarsi su sé stessa, ad accogliere l’imprevisto di una Presenza che la supera e ad ascoltare con rispetto la voce dei piccoli e dei semplici. Nonostante tutte le ricerche scientifiche e tecnologiche la capacità di cogliere quello che veramente conta è data ai più piccoli, ha notato Aura Miguel citando Benedetto XVI che, nel 2012, a 85 anni, invitava a non aver paura del proprio desiderio di felicità, ma di usarlo come una risorsa, riconoscendone la profondità e permettendogli di raggiungere tutta la sua altezza.
Niente è «nemico» nel cammino della fede, tutto può essere usato come carburante o materiale da costruzione, ha continuato Tornielli, citando scritti e discorsi solitamente ignorati dai media, perché lontani dallo stereotipo del «caterpillar dell’ortodossia». Perfino la secolarizzazione diffusa può diventare una risorsa, una provocazione preziosa. Per fortuna, arriva a dire Benedetto XVI, la fede è sempre minacciata e in pericolo e questo è anche salutare perché sottrae al rischio di trasformarsi in ideologia manipolabile, al rischio di renderci incapaci di condividere sofferenza del fratello che dubita. La fede deve essere reimparata ogni giorno, perché non è un’idea ma un incontro. Un antidoto all’illusione di chiudere in fretta la pratica “conversione” (di se stessi e degli altri), puntando su strategie pastorali perfette e irreali progetti di perfezione.
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