Quell’invettiva antifascista nascosta in Vaticano
di Andrea Tornielli e Roberto Cetera
È una piccola curiosità storica legata agli effetti dell’8 settembre. Una testimonianza nascosta della storia del Novecento, inglobata fino a confondersi in un ambiente rinascimentale. Una scritta che a suo modo attesta quanto Pio XII e la Santa Sede fecero negli anni della seconda guerra mondiale per aiutare i perseguitati.
Per scoprirla bisogna entrare in una sala affrescata nella Terza Loggia del Palazzo Apostolico, la cui ideazione viene attribuita a Raffaello, oggi adibita a sala di attesa. La loggetta faceva parte dell’appartamento del cardinale Bernardo Dovizi da Bibbiena, chiamato anche cardinal Bibbiena, stretto collaboratore di Papa Leone X. Qui, abilmente camuffata tra il fogliame delle decorazioni, nel muro dello stipite di una finestra, si legge con grande fatica una piccola scritta: «mortemussolini». Che c’entra il riferimento al dittatore fascista tra i tenui ghirigori di un raffinato affresco rinascimentale? Alla domanda non è facile rispondere. Potrebbe essere l’indicazione della data di conclusione di un restauro, in questo caso coincidente con la morte del duce. O, più probabilmente, l’invettiva che un ignoto decoratore antifascista ha voluto immortalare in un angolino poco visibile, rendendola assai difficilmente distinguibile.
Propendiamo di più per questa seconda ipotesi, pur restando al momento impossibile l’attribuzione dell’invettiva. La permanenza negli anni della scritta nascosta, sintomo del clima dell’epoca e certamente sconosciuta ai committenti di allora, non sposta di un millimetro la radicata convinzione dell’inviolabilità di ogni vita.
Nell’archivio dello Yad Vashem, tra le carte Bassani-Finzi, è conservato un documento (P.30, file 111), contenente una lettera della ditta di decorazioni Valci datata 30 gennaio 1944, che in calce riporta un’attestazione del direttore generale dei Servizi tecnici della Città del Vaticano. Vi si legge che la ditta ha assunto in qualità di decoratore il signor Mario Bianchi, nato a Bari nel 1907. L’attestazione in calce rende noto che da anni la ditta Valci svolge lavori «di pittura e decoratura, nella Città del Vaticano e negli stabili di proprietà dei Beni della Santa Sede in Roma». Il documento è accompagnato dalla fototessera del neo-assunto.
Mario Bianchi è il falso nome di Ulisse Finzi, ebreo milanese e noto antifascista, più tardi marito di Matilde Bassani, grande protagonista della Resistenza. Finzi, fino alle leggi razziste del 1938, possedeva insieme al padre una pellicceria in corso Venezia, nel capoluogo lombardo, e anche una succursale a Roma. Il documento, rilasciato dopo l’armistizio e l’arrivo dei tedeschi a Roma, doveva evidentemente servire come lasciapassare.
Proprio negli 1943-1946 la loggetta venne sottoposta a lavori di restauro per ripristinare l’antico affresco che era stato ritrovato nei primi anni del Novecento dopo essere stato per lungo tempo coperto con uno strato leggero di calce. È possibile che l’invettiva antifascista nascosta nell’affresco sia in qualche modo legata alla presenza di maestranze di ditte come la “A.Valci Decorazioni e Verniciature” (di cui Finzi era dipendente; anche se sicuramente non era decoratore), che avevano accesso al Vaticano in un momento in cui la Santa Sede, e a ricaduta tanti conventi e ordini religiosi, si stavano impegnando per salvare i perseguitati in una Roma ormai in mano ai nazisti dopo l’armistizio dell’8 settembre.
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