Il processo per la gestione dei fondi della Santa Sede Il processo per la gestione dei fondi della Santa Sede

Processo vaticano, l’Apsa chiede 270 milioni di danni patrimoniali

Il professore Giovanni Maria Flick quantifica la richiesta ai dieci imputati per la “penosa vicenda” della compravendita dell’immobile a Londra, tra la restituzione delle somme perdute e il risarcimento per la perdita patrimoniale e il mancato guadagno. L’ASIF chiede la condanna degli imputati, a cominciare dai suoi ex vertici: “L’eventuale risarcimento dei danni subiti sarà devoluto all’Elemosineria”

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Danni patrimoniali per 270 milioni di euro, tra 173 milioni di perdite e 97 di mancato guadagno. È stato il turno della parte civile Apsa, nell’udienza di oggi, 29 settembre, nell’Aula dei Musei vaticani, di presentare la propria richiesta di risarcimento ai dieci imputati del processo per la gestione dei fondi della Santa Sede. Dopo le requisitorie dei legali di Ior e Segreteria di Stato, l’avvocato Giovanni Maria Flick ha quantificato questa mattina, al termine della settantesima udienza durata cinque ore, la “lesione” causata all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica da quel “quadro di desolazione” che è stata la compravendita del palazzo di Londra. “Penosa vicenda”, ha affermato l’ex presidente della Corte Costituzionale, che ha visto come protagonisti una “panoramica di personaggi che – ha detto - non so come definire: sfruttatori? Parassiti? Lascio al Tribunale di decidere”.

Alla richiesta dell’Apsa si è aggiunta sempre oggi quella della parte civile ASIF, l’Autorità di Informazione Finanziaria (ex AIF), che tramite l’avvocato Anita Titomanlio ha chiesto “la condanna degli imputati per i reati a loro ascritti e il risarcimento di tutti i danni subiti morali e non”. “Qualora questo verrà riconosciuto sarà totalmente devoluto alla Elemosineria Apostolica”.

Una serie di reati

Ieri mattina la professoressa Paola Severino aveva presentato la richiesta risarcitoria della Segreteria di Stato di 177 milioni per danni morali e d’immagine. All’Apsa i danni, invece, patrimoniali avendo il Papa trasferito ad essa, con un Motu proprio del dicembre 2020, la gestione di beni e proprietà della Santa Sede. Flick ha ricordato questo punto centrale all’inizio della sua arringa scandita da un’approfondita riflessione su aspetti giuridici e procedurali di queste vicende che hanno visto consumarsi una serie di reati. L'avvocato li ha elencati uno ad uno: “Condotte di distrazione, uso illecito di denaro, concorso tra pubblici ufficiali e privati, perdita di denaro della Santa Sede, condotte truffaldine in entrata e in uscita, indebita percezione di erogazioni pubbliche, condotta estorsiva da fondi pubblici in favore di privati, corruzione, abuso d’ufficio”. Il danno provocato da tali illeciti, il legale dell’Apsa lo ha quantificato nella cifra di 270 milioni di euro, frutto di una perizia che ha scorporato i dati contabili imputabili sia alle persone che ai capi di imputazione. Quindi, come detto, 193.488,501 milioni di danno emergente (il danno effettivo al patrimonio), e 77 milioni come lucro cessante, cioè la perdita dei guadagni che si sarebbero potuti ottenere. Cifre al netto dei 186 milioni di sterline con cui la Santa Sede è riuscita poi a vendere il palazzo di Sloane Avenue.

Il ruolo dei due ex vertici dell'Aif

In aula è intervenuto pure il sostituto processuale di Flick, l’avvocato Damiano Francesco Pujia, che si è soffermato invece sul ruolo nella vicenda Londra degli ex vertici dell’AIF, l’ex presidente René Brülhart e l’ex direttore Tommaso Di Ruzza, imputati per abuso d’ufficio. Entrambi, a detta del legale, hanno avuto una “incidenza causale” sulla estorsione posta in essere dal broker Torzi, quando ha ceduto alla Segreteria di Stato le ormai note mille azioni con diritto di voto sul palazzo londinese (quelle che gli davano l’effettivo controllo) per 15 milioni di euro. La violazione delle regole da parte di Brülhart e Di Ruzza, in sostanza, non ha consentito di bloccare il pagamento a Torzi, dando vita così a “un’ulteriore sezione del reato” e “aggravando il danno patrimoniale”.

Riflessi su Moneyval

La stessa accusa è stata mossa dall’avvocato Titomanlio, in difesa della parte civile ASIF, la quale ha direttamente affermato che “senza il contributo” dell’ex presidente ed ex direttore l’estorsione non ci sarebbe mai stata. Più nel dettaglio la legale ha affermato che Brülhart e Di Ruzza, seppur “consapevoli” di anomalie, mancanze e del palese rischio che la Santa Sede finisse “vittima di raggiri e potenziali reati”, hanno violato l’obbligo di segnalazione al Promotore di Giustizia. Hanno cercato pure di “ristrutturare” l’operazione di Londra, andando così a “coprire” reati precedenti. Tutto questo, ha affermato Titomanlio, è “comprovabile attraverso articoli di organi di stampa”. Da non dimenticare poi che i fatti in questione hanno avuto "un riflesso” sul rapporto Moneyval del 2021 dove si parla di “potenziale abuso del sistema per vantaggi personali” e di “appropriazione indebita, frode, abuso d’ufficio”. Da qui la richiesta di condanna e risarcimento, sulla cui determinazione si è rimessa alla "valutazione equitativa" del Tribunale: “Ciò gioverebbe non solo all’ASIF ma al bene dell’intera comunità di fedeli. La richiesta vuole salvaguardare il bene pubblico della Chiesa, che coincide con la Salus animarum…”.

L'intervento dell'avvocato di Perlasca

Durante l’udienza è intervenuto pure l’avvocato Alessandro Sammarco, in difesa di monsignor Alberto Perlasca, ex responsabile dell’Ufficio Amministrativo ritenuto il “super teste” del processo, costituitosi parte civile per il solo reato di subornazione di cui è accusato il cardinale Becciu. Si tratta delle pressioni che il porporato avrebbe fatto su Perlasca per fargli ritrattare le dichiarazioni rese all'autorità giudiziaria rivolgendosi al vescovo – ora cardinale – di Como, Oscar Cantoni (diocesi in cui Perlasca è incardinato). Una ipotesi che lo stesso Cantoni ha smentito nel suo interrogatorio inquadrando la conversazione con Becciu come un colloquio amicale. Per Sammarco si è invece consumato un vero e proprio reato, maturato nell’ambito dei rapporti “asimmetrici” tra Perlasca e Becciu, il quale avrebbe anche ‘minacciato’ in seguito il monsignore di una eventuale pena di sei mesi per calunnia se non avesse ritirato le accuse. L'avvocato ha chiesto la condanna dell'imputato e il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale causato dal reato.

Sammarco ha poi voluto in qualche modo ridimensionare il ruolo di Perlasca nel processo: “Ha subito una persecuzione mediatica, è stato presentato come una persona fragile, ma non è così: è una persona che si è lealmente messa a disposizione della giustizia. Le prove sono emerse da moltissimo materiale, più che dalle sue dichiarazioni”. In altre parole, non è il super testimone che è stato dipinto in queste 70 udienze. Il presidente del Tribunale vaticano, Giuseppe Pignatone, ha tagliato corto: “Il ruolo di Perlasca è stato uno dei temi più approfonditi dell’intero processo”. E ha dato appuntamento al 5 ottobre per la prossima udienza.

 

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29 settembre 2023, 17:00