Laudate Deum e la COP28
L'Osservatore Romano
«Sono passati ormai otto anni dalla pubblicazione della Lettera enciclica Laudato si’, quando ho voluto condividere con tutti voi, sorelle e fratelli del nostro pianeta sofferente, le mie accorate preoccupazioni per la cura della nostra casa comune. Ma, con il passare del tempo, mi rendo conto che non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura. Al di là di questa possibilità, non c’è dubbio che l’impatto del cambiamento climatico danneggerà sempre più la vita di molte persone e famiglie. Ne sentiremo gli effetti in termini di salute, lavoro, accesso alle risorse, abitazioni, migrazioni forzate e in altri ambiti» (2). In queste parole sono chiare le motivazioni che spingono Papa Francesco a fare appello, attraverso l’Esortazione Apostolica Laudate Deum, a “tutte le persone di buona volontà” per porre la dovuta attenzione alla “crisi climatica”.
Nel breve ma intenso documento pontificio sono molti i passaggi che fanno riferimento alla prossima Conferenza degli Stati Parte alla Convenzione-Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (COP28), che si svolgerà a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre 2023. Hanno aderito alla Convenzione 198 Paesi, tra cui la Santa Sede. Proprio oggi, 11 ottobre, il Presidente-Designato della COP28, Sua Eccellenza il Dott. Sultan Ahmed Al Jaber, è stato ricevuto dal Santo Padre.
«Se abbiamo fiducia nella capacità dell’essere umano di trascendere i suoi piccoli interessi e di pensare in grande, non possiamo rinunciare a sognare che la COP28 porti a una decisa accelerazione della transizione energetica, con impegni efficaci che possano essere monitorati in modo permanente. Questa Conferenza può essere un punto di svolta, comprovando che tutto quanto si è fatto dal 1992 era serio e opportuno, altrimenti sarà una grande delusione e metterà a rischio quanto di buono si è potuto fin qui raggiungere» (54).
Scongiurare questa “delusione” riguarda tutti: è un processo che chiama in causa numerosi “attori”, che sono menzionati più o meno direttamente nella Laudate Deum, nell’auspicio che la loro interazione possa fare in modo che «l’etica prevalga sugli interessi locali o contingenti» (39) e risponda a quella «mancanza di coscienza e di responsabilità» biasimata dalla Laudato si’ (169).
Uno di questi attori è la comunità scientifica, impegnata a mettere sempre più in evidenza ciò a cui si richiama il primo capitolo della Laudato si’: «Quello che sta accadendo alla nostra casa». Dopo otto anni di quel testo “profetico”, la Laudate Deum rileva che «l’origine umana – “antropica” – del cambiamento climatico non può più essere messa in dubbio» (11) e che, purtroppo, «non possiamo più fermare gli enormi danni che abbiamo causato. Siamo appena in tempo per evitare danni ancora più drammatici» (16). Di fronte a questa preoccupante constatazione non si può rimanere inermi o indifferenti, ma è «urgente una visione più ampia, che ci permetta non solo di stupirci delle meraviglie del progresso, ma anche di prestare attenzione ad altri effetti che probabilmente un secolo fa non si potevano nemmeno immaginare» (18).
Qui emerge un altro attore: il mondo imprenditoriale, che ha l’importante ruolo di reagire proattivamente a questo senso di urgenza della comunità scientifica e promuovere con intelligenza una rapida transizione, prendendosi realmente cura della casa comune. Secondo la Laudato si’ «l’attività imprenditoriale, che è una nobile vocazione orientata a produrre ricchezza e a migliorare il mondo per tutti, può essere un modo molto fecondo per promuovere la regione in cui colloca le sue attività, soprattutto se comprende che la creazione di posti di lavoro è parte imprescindibile del suo servizio al bene comune» (129); in tale prospettiva, la Laudate Deum sottolinea il fatto che «spesso si dice anche che gli sforzi per mitigare il cambiamento climatico riducendo l’uso di combustibili fossili e sviluppando forme di energia più pulita porteranno a una riduzione dei posti di lavoro. Ciò che sta accadendo è che milioni di persone perdono il lavoro a causa delle varie conseguenze del cambiamento climatico: l’innalzamento del livello del mare, la siccità e molti altri fenomeni che colpiscono il pianeta hanno lasciato parecchia gente alla deriva. D’altra parte, la transizione verso forme di energia rinnovabile, ben gestita, così come tutti gli sforzi per adattarsi ai danni del cambiamento climatico, sono in grado di generare innumerevoli posti di lavoro in diversi settori. Per questo è necessario che i politici e gli imprenditori se ne occupino subito» (10).
Questo non può che avere ricadute positive su un terzo attore: i giovani e le nuove generazioni. È facile osservare che l’articolata trama della Laudate Deum giri intorno a loro: «non ci viene chiesto nulla di più che una certa responsabilità per l’eredità che lasceremo dietro di noi dopo il nostro passaggio in questo mondo» (18). Viene in mente il discorso di Papa Francesco ai giovani universitari a Lisbona, il 3 agosto 2023, durante la Giornata Mondiale della Gioventù: «Siate dunque protagonisti di una “nuova coreografia” che metta al centro la persona umana […] Questo anziano che vi parla – ormai sono vecchio –, sogna che la vostra generazione divenga una generazione di maestri. Maestri di umanità. Maestri di compassione. Maestri di nuove opportunità per il pianeta e i suoi abitanti. Maestri di speranza. E maestri che difendano la vita del pianeta, minacciata in questo momento da una grave distruzione ecologica». Ecco qui che la leva educativa e formativa diventa un grimaldello essenziale.
Un quarto attore è la società civile. Riprendendo quanto espresso dall’Enciclica Fratelli tutti, «tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale, la sua mancanza di coordinamento in situazioni complesse, la sua carenza di attenzione rispetto a diritti umani fondamentali» (175), la Laudate Deum indica che «la globalizzazione favorisce gli scambi culturali spontanei, una maggiore conoscenza reciproca e modalità di integrazione dei popoli che porteranno a un multilateralismo “dal basso” e non semplicemente deciso dalle élite del potere. Le istanze che emergono dal basso in tutto il mondo, dove persone impegnate dei Paesi più diversi si aiutano e si accompagnano a vicenda, possono riuscire a fare pressione sui fattori di potere. È auspicabile che ciò accada per quanto riguarda la crisi climatica» (38).
Un quinto attore è rappresentato dai governi. La COP 28 verrà ospitata e presieduta dagli Emirati Arabi Uniti. Il Paese, un grande esportatore di energia fossile, sta attraversando da quasi 20 anni una transizione energetica. In quanto Presidenza della COP28, ha sviluppato un’agenda d’azione con quattro pilastri fondamentali: accelerare una transizione energetica giusta e ordinata, fissare i finanziamenti per il clima, concentrarsi sulle persone, sulla natura, sulla vita e sui mezzi di sussistenza e sostenere tutto con piena inclusività. «Le potenze emergenti stanno diventando sempre più rilevanti e sono di fatto in grado di ottenere risultati importanti nella risoluzione di problemi concreti […]. Proprio il fatto che le risposte ai problemi possano venire da qualsiasi Paese, per quanto piccolo, conduce a riconoscere il multilateralismo come una strada inevitabile» (40). Papa Francesco incoraggia tutti ad avere speranza su un esito positivo della COP28.
Essa ha, infatti, davanti a sé un’importante opportunità per dare un reale impulso verso la transizione pensando al bene comune e al futuro dei nostri figli: «le soluzioni più efficaci non verranno solo da sforzi individuali, ma soprattutto dalle grandi decisioni della politica nazionale e internazionale» (69). È un processo complesso ma necessario per l’umanità di oggi e di domani, che richiede il coinvolgimento di tutti, nella consapevolezza che «“tutto è collegato” e “nessuno si salva da solo”» (19) e che «non ci sono cambiamenti duraturi senza cambiamenti culturali, senza una maturazione del modo di vivere e delle convinzioni sociali, e non ci sono cambiamenti culturali senza cambiamenti nelle persone» (70). «Un essere umano che pretende di sostituirsi a Dio diventa il peggior pericolo per sé stesso» (73).
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