Padre Radcliffe conclude le meditazioni a Sacrofano: "Per una rinascita della Chiesa"
L'Osservatore Romano
«Il mondo ha fame di voci che suonino vere»: inizia da questa considerazione la meditazione che il padre domenicano Timothy Radcliffe — assistente spirituale per la XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi — ha tenuto stamani durante il ritiro che i membri, i delegati fraterni e gli invitati speciali dell’Assise hanno in queste ore a Sacrofano, in provincia di Roma.
La riflessione del religioso, la quinta di una serie iniziata domenica 1° ottobre, analizza il concetto di autorità o meglio della crisi di autorità che oggi vive tutta la Chiesa, «screditata» dagli abusi sessuali, ma anche tutto il mondo. Ciascuna istituzione, infatti, ovvero la politica, la legge, la stampa «ha sentito la sua autorità venire meno», a vantaggio di altre figure, come i dittatori, le celebrità, gli influencer. Ma è proprio in questo contesto globale, alimentato «non dall’autorità, ma dai contratti», che il mondo «ha fame di voci che parlino con autorità del significato delle nostre vite». Un’autorità di questo tipo, continua il padre domenicano, deve essere in primo luogo gioiosa, perché la gioia è «il segno infallibile della presenza di Dio» e «nessuno crede a un cristiano infelice». In secondo luogo, l’autorità «è molteplice e si rafforza vicendevolmente», senza creare necessariamente competizioni. Un esempio ne è la Trinità, all’interno della quale «non c’è rivalità». Se, dunque, afferma padre Radcliffe, il Sinodo saprà superare «i modi competitivi di esistere», allora saprà parlare con autorità al mondo.
Il religioso domenicano indica poi tre vie che si possono intraprendere per praticare l’autorità: la prima è quella della bellezza, ovvero della gloria, la quale «apre la nostra immaginazione al trascendente, ci porta oltre le parole» e, quando non è ingannevole, «parla di Dio». La bellezza di Dio arriva ovunque, anche «in ciò che sembra più brutto»: padre Radcliffe ricorda la gioiosa partecipazione di alcuni fedeli a una Messa celebrata a Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, in un anno terribile per la storia del Paese, il 1993, segnato da conflitti e violenze. E cita anche Etty Hillesum, «la mistica ebrea attratta dal cristianesimo» e morta nel campo di sterminio nazista di Auschwitz nel 1943: «Nel pieno di ciò che la gente chiama “orrore” — diceva Etty — voglio poter ancora dire: “La vita è bella”».
La seconda via da seguire nel cammino verso l’autorità è quella della bontà. La stessa che ci offre la testimonianza dei santi, i quali hanno «l’autorità del coraggio», ci invitano ad «accompagnarli nella rischiosa avventura della santità, a lasciare il controllo della nostra vita e a lasciare che Dio sia Dio». In quest’ottica, il padre domenicano ricorda ai partecipanti al Sinodo che «i martiri sono stati le prime autorità nella Chiesa perché hanno dato tutto con coraggio». La fede, infatti, non può essere attrattiva se «la addomestichiamo».
La terza e ultima via per perseguire l’autorità, infine, è quella della verità: «Sepolto nell’umanità c’è un istinto inestirpabile per la verità», afferma padre Radcliffe, anche se oggi il mondo sembra «disamorato della verità» e schiacciato da fake news o teorie del complotto prive di senso. Tutte e tre queste vie, conclude il religioso, sono necessarie, perché «senza verità e bontà, la bellezza può essere vacua e ingannevole. E senza verità, la bontà crolla nel sentimentalismo, mentre la verità priva di bontà porta all’inquisizione». Di qui, l’invito rivolto ai partecipanti al Sinodo affinché non cadano «nell’arido razionalismo o nella superstizione» dovuti all’autorità esclusiva della ragione o dell’esperienza religiosa. Piuttosto — e a tal proposito il religioso domenicano riprende un’immagine cara a Papa Francesco —, bisogna ricordare che l’Assise sinodale «è come un’orchestra, con diversi strumenti che hanno la propria musica» e all’interno della quale «la verità non si ottiene con il voto a maggioranza».
Ma come fare per garantire un dialogo fruttuoso della Chiesa, in cui «nessuna voce domini e soffochi le altre?». La risposta, dice padre Radcliffe, sta nel «discernere l’armonia nascosta» e nella capacità di seguire due imperativi: «Guida e compassione, amore per la verità e solidarietà costante con coloro per i quali la verità è stata eclissata». Solo così, infatti, la Chiesa «parlerà con l’autorità del Signore».
Nella tarda mattinata di oggi, poi, padre Radcliffe ha tenuto la sua sesta e ultima meditazione del ritiro che si conclude nel pomeriggio. In continuità con quanto detto in precedenza, il religioso ha ripreso la riflessione sulla verità, soffermandosi in particolare sullo “Spirito di verità”. «Qualunque siano i conflitti che incontriamo nel cammino — spiega il domenicano, guardando anche alle prossime tre settimane di lavori Sinodali — di questo siamo sicuri: lo Spirito di verità ci sta conducendo a tutta la verità». Si tratta di un percorso non facile, un percorso che include anche «l’ascoltare cose sgradevoli» come gli abusi e la corruzione nella Chiesa. «Un incubo», sottolinea il religioso, «una verità vergognosa» che però, una volta affrontata, «rende liberi».
In fondo, continua l’assistente spirituale, anche se i giorni del Sinodo saranno dolorosi come le doglie del parto, alla fine, condotti dalla Spirito Santo, si arriverà a una «Chiesa rinata». E ciò è quanto più necessario tanto più la società contemporanea fugge dalla realtà: ne è prova chi chiude gli occhi di fronte alle catastrofi ecologiche o ai milioni di fratelli e sorelle che soffrono, «crocifissi dalla povertà e dalla violenza». Bisogna, invece, avere il coraggio, «la forza d’animo» di vedere le cose come sono, di vivere nel mondo reale, senza illusioni, pregiudizi, paure, ideologie, orgoglio. Questo significa essere «potati», come accade ad una vite affinché porti più frutto.
Padre Radcliffe lascia spazio quindi a un ricordo personale: quello di una sua lunga degenza in ospedale per un difficile intervento chirurgico. «Ero una persona malata in un letto del reparto, senza niente da dare. Non potevo nemmeno pregare. Dipendevo da altre persone anche per i bisogni più elementari. È stata una “potatura” terribile. Ma è stata anche una benedizione». In quel letto di degenza, infatti, il padre domenicano si è abbandonato «all’amore assoluto, gratuito e immeritato del Signore». Questo, dunque, è ciò che i partecipanti al Sinodo sono chiamati a fare, ovvero ad «aprire il cuore e la mente alla spaziosità della verità divina», perdendo in un certo senso il controllo per «lasciare che Dio sia Dio». Come Gesù, nel Getsemani, rinuncia a gestire la propria vita e la affida al Padre — spiega ancora padre Radcliffe —, così l’Assemblea sinodale deve avere «la dinamica della preghiera più che di un parlamento», lasciandosi «illuminare, guidare e indirizzare dallo Spirito Santo», libera «dalla cultura del controllo». Il che non significa «non fare nulla», bensì agire lasciando che «lo Spirito ci porti là dove non avremmo mai pensato di andare».
Lasciarsi condurre dallo Spirito verso la verità, aggiunge l’ assistente spirituale, significa anche confidare nel fatto che sarà proprio lo Spirito a «generare nuove istituzioni, nuove forme di vita cristiana, nuovi ministeri», operando creativamente con «nuovi modi di essere Chiesa che ora non possiamo immaginare, ma forse i giovani sì! Ciò include l’ascolto dei giovani nei quali il Signore vive e parla». Su questo punto, il religioso domenicano insiste nuovamente: la fiducia nelle nuove generazioni, spiega, è «una parte intrinseca della leadership cristiana», anche perché i giovani «non sono qui per prendere il posto degli anziani, ma per fare ciò che gli anziani non possono ancora immaginare».
C’è, infine, un’ultima — ma non meno importante — caratteristica della verità dello Spirito sulla quale si sofferma la sesta meditazione ed è il legame con «l’amore trasformativo, divino, libero da ogni rivalità», che comporta «l’imparare ad amare coloro che troviamo difficili». Soltanto con questo tipo di amore, ribadisce l’assistente spirituale, nel Sinodo si avvierà una «trasformazione personale e comunitaria» che consentirà di giungere alle «inevitabili» decisioni pratiche, le quali però al quel punto non saranno solo una «mera amministrazione».
Con profonda umiltà e con fiducia dei doni di Dio, padre Radcliffe conclude le sue meditazioni con una previsione: al Sinodo «senza dubbio si litigherà» e ciò potrà essere «doloroso». Ma se guidati dallo Spirito di verità, allora si potrà essere condotti «un po’ più a fondo nel mistero dell’amore divino».
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