La spezieria benedettina custodita dal Papa
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Iperico, Malva, Tarassaco, Artemisia, Belladonna, Cardamomo, Acqua di rose o di cicoria. I nomi di antichi medicamenti, distillati, sciroppi, dipinti in blu sui vasi in ceramica finemente decorata, scorrono in rassegna percorrendo con lo sguardo gli scaffali lignei della Spezieria di Santa Cecilia in Trastevere, allestita in una sala dei Musei Vaticani recentemente aperta al pubblico.
Oggetti di tempi lontani
È affascinante la storia degli oggetti che qui sono esposti, 1579 in tutto tra maioliche, mortai, stadere, spatole, pestelli, contenitori in legno o vetro di murano, dalle forme curiose ed evocativi di tempi lontani.
Osservando il torchio ricavato forse in epoca medievale da un antico capitello in pietra, la bilancia con l’immagine di Santa Cecilia, i fiaschi impagliati, le ampolline, un vaso di vetro contenente coralli, le corna di cervo e i denti di cinghiale all’interno di scatole in legno o i misteriosi piattini recanti ciascuno due lettere dell’alfabeto, si ha l’impressione che in questa stanza il tempo si sia fermato.
Tante le domande che affiorano alla mente. Come è finito lungo il percorso di visita dei Musei del Papa uno spaccato della vita di un’antica farmacia?
Santa Cecilia e la cura dei poveri
La cura e l’accoglienza dei poveri fin dagli albori ha caratterizzato la casa in cui visse nel III secolo Cecilia, santa martire patrona della musica. Nei pressi dell’edificio che sorgeva nell’insula Anicia, a Trastevere, una delle più antiche zone di Roma, furono poi edificati la basilica e il complesso monastico in cui almeno a partire dal nono secolo si sviluppò ininterrotta la presenza di una comunità religiosa femminile.
Gli ultimi, Santa Francesca Romana e le benedettine
Agli appestati, alle donne incinte, alle tante persone afflitte da infermità fisiche e spirituali si rivolgeva nel XV secolo l’azione caritativa di Santa Francesca Romana che spesso si recava sui resti mortali di Cecilia rinvenuti intatti all’interno della Basilica. Nel complesso monastico le benedettine si insediarono con la loro presenza orante nel 1527, epoca in cui su impulso dell’allora cardinale titolare Paolo Emilio Sfondrati l’intero complesso fu trasformato in uno dei poli spirituali, religiosi, economici, produttivi e mercantili più importanti di Roma.
Un importante polo produttivo
Al Monastero, collocato in prossimità del porto di Ripa Grande, infatti appartenevano mole da grano sul Tevere, una grande peschiera e numerosissime botteghe e fornaci di vasai provenienti dai più rinomati centri di lavoro ceramico della Penisola, come Deruta, Montelupo o Faenza. A questi artigiani si deve la produzione di una considerevole parte del corredo apotecario di proprietà della speciaria, spezieria, che il porporato allestì all’interno della dimora monastica, “in fondo al giardino, sotto al noviziato”.
La spezieria delle benedettine
L’intento era quello di fornire un punto di riferimento sanitario rivolto non solo alla comunità monastica, ma all’intera popolazione trasteverina. Ricco complesso dotato di infermeria, fontana, vasche, stufa, camino, fornacelle, distillatori, armadi, tavoli, mortai, bilance, contenitori in maiolica, terracotta invetriata e vetro, libri e scatole per la confezione dei medicamenti, la spezieria entrò subito in rapporto con altre realtà simili presenti in vari monasteri fuori e dentro l’Italia.
Le erbe officinali e i medica simplex
La maggior parte delle materie prime di queste antiche farmacie erano erbe che venivano dette officinali dopo essere state lavorate in laboratorio, o officina: qui venivano essiccate, triturate, ridotte in polveri, trasformate in sciroppi o unguenti. Erano coltivate nei giardini di monasteri e conventi, noti fin dal medioevo come “orti dei semplici”: medica simplex erano infatti chiamati i principi curativi ottenuti direttamente dalla natura, in contrapposizione con i “compositi”, frutto della mescolanza di sostanze diverse.
Fra Basilio e il Trattato delli Semplici
Le ricette di questi preparati sono codificate in vari manuali: tra tutti è degno di nota con le sue duecentoquaranta pagine, uno tra i più completi erbari giunto fino ai nostri giorni: il Trattato delli Semplici, curato da Fra Basilio della Concezione, carmelitano attivo tra il 1727 e il 1804 sempre a Trastevere, ma nel vicino convento di Santa Maria della Scala. L’Ordine mendicante a cui apparteneva, custodiva da tradizione i segreti di piante medicinali provenienti da ogni parte del mondo.
Santa Maria della Scala
Nel convento dei frati, dove si conserva l’antico Trattato, sorse una farmacia, annoverata tra le più antiche d’Europa, fondata nel XVII secolo, aperta al pubblico probabilmente intorno alla metà del Settecento, ed insignita da Leone XIII del certificato di medaglia d’oro. Dal 1954 ha sospeso la preparazione di farmaci galenici, ma tutt’oggi si presenta integra nel suo allestimento settecentesco. Meta di principi, duchi, sovrani e cardinali, i cui ritratti insieme a quelli dei medici più famosi dell’antichità sono dipinti sulle ante degli armadi contenenti i preparati, fin dai tempi di Pio VIII era chiamata dalla popolazione trasteverina la “Farmacia dei Papi”.
La Theriaca e altri antichi medicamenti
Ricercatissimi e conservati in scatole di sandalo, legno non attaccabile dai tarli, erano in particolare alcuni medicamenti che resero famosa la spezieria carmelitani: la Theriaca, antico rimedio a base di carne di vipera, riconducibile al medico del re del Ponto Mitridate e utilizzato come antidoto ai veleni; l’Acqua antinevralgica detta “della Scala”; l’Acqua di Melissa per la cura dell’isterismo; l’Acqua Antipestilenziale per le malattie contagiose la cui formula non venne mai rivelata da Basilio della Concezione. Il frate a Santa Maria della Scala aprì anche una scuola rivolta a religiosi e laici che qui potevano apprendere i segreti delle erbe.
Alle spalle del salone sono ancora visibili i locali destinati alla preparazione dei medicamenti con centrifughe, imbottigliatrici, presse per la spremitura, torchi, setacci, una sterilizzatrice e una pilloliera, ovvero un macchinario per trasformare gli impasti in pillole.
Il trasferimento da Santa Cecilia in Vaticano
Integro è giunto fino ai nostri giorni anche il corredo apotecario della Spezieria di Santa Cecilia: venne trasferito dal Monastero benedettino alle collezioni della Biblioteca Apostolica Vaticana su disposizione di Pio XI nel 1936. Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale la comunità monastica femminile trasteverina attraversava infatti una pesante crisi economica e la gestione della produzione farmaceutica, in attività fino al 1930, divenne troppo onerosa. Il Pontefice garantendo alle suore un emolumento mensile per il loro sostentamento, ordinò un repentino cambio di sede per tutto l’arredo della spezieria: armadi, oggetti e ingredienti molti dei quali ancora contenuti all’interno di vasi e cassetti.
Dalla Biblioteca ai Musei Vaticani
Questo patrimonio per effetto di un Rescritto di Giovanni Paolo II nel 1999 è passato sotto la giurisdizione dei Musei Vaticani che recentemente lo hanno reso fruibile attraverso visite speciali. Guidati da Luca Pesante del Reparto Arti Decorative delle gallerie pontificie veniamo a conoscenza delle tante storie nascoste dietro ogni singolo oggetto e comprendiamo ad esempio che le iniziali dipinte su quei singolari piattini che appena entrati avevano catturato la nostra attenzione, altro non corrispondono che ai nomi delle suore della comunità benedettina di Santa Cecilia.
La spezieria allestita ai Musei Vaticani
L’attuale allestimento della sala è fedele a come la farmacia doveva presentarsi all’interno del Monastero di Trastevere. In molti vasi al di sotto del cartiglio con il nome del medicamento è distinguibile, incorniciato dal ricorrente motivo della foglia di vite bipartita, l’emblema delle spezierie di provenienza. Solo a Roma nella prima metà del Seicento se ne contavano circa 80: si ricordano quelle di San Salvatore ad Sancta Sanctorum, dei Santi Apostoli istituita dal Papa per la cura degli indigenti, dell’Ara Coeli o di San Paolo Fuori le Mura o di San Giovanni in Laterano. Le erbe essiccate ancora presenti a fasci all’interno delle pregevoli cassettiere in legno decorate con marmi preziosi sono oggi materia di studio e ricerca per il Laboratorio Analisi dei Musei Vaticani.
La farmacia dei cardinali
La Sala si trova nei pressi della Cappella Sistina. Il pensiero e la fantasia subito corrono alla farmacia che tra il Cinquecento ed il Seicento si racconta sorgesse all’interno del Palazzo Apostolico: probabilmente collocata nei pressi della Sala Regia era destinata alle necessità sanitarie dei cardinali riuniti in Conclave, ma anche, nel quotidiano, all’entourage del Papa e della Curia Romana, composto all’epoca da circa cinquecento persone tra studiosi, bibliotecari, cancellieri, barbieri.
Un monastero vivo
Con l’allestimento della Sala delle Spezieria i Musei Vaticani ancora una volta disvelano un segreto delle loro ineguagliabili collezioni e si pongono in dialogo con il territorio circostante. Accompagnati dall’attuale Badessa di Santa Cecilia, Madre Maria Giovanna Valenziano, scopriamo che il filo che lega le benedettine di Trastevere alla Farmacia un tempo appartenuta al Monastero non si è mai spezzato. Ancora oggi infatti nelle mura del convento dove oggi vivono 21 monache di età compresa tra i 35 e i 90 anni, si svolgono corsi di pittura botanica, disciplina artistica in armonico equilibrio tra arte e scienza, erede della tecnica minatoria degli antichi erbari e quindi anche del sapere trasmesso fra gli altri da Fra Basilio della Concezione.
Memoria e tradizione
Oggi le suore hanno tra l’altro allo studio la catalogazione di fiori e foglie databili al sedicesimo secolo. Inoltre la tradizione medica risalente ad Esculapio di cui sorgeva sull’Isola Tiberina un santuario dal III secolo avanti Cristo non è mai venuta meno. Lo testimoniano le garze tessute a mano dalle monache nei secoli passati: l’arte della tessitura è un fiore all’occhiello del Monastero di Santa Cecilia che ogni anno confeziona i palli imposti il 29 giugno sulle spalle dei nuovi arcivescovi metropoliti. Sono le stole di lana, simbolo della pecora smarrita, cercata, salvata e portata sulle spalle dal Buon Pastore.
L’ininterrotta attività del monastero
Chiavi, cardini, serrature, chiavistelli, attrezzi per il ricamo o per la coltivazione delle piante e della vendemmia sono testimoni di un’attività produttiva ininterrotta nella storia del convento. Si pensi che fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, cessata l’attività della spezieria, attraverso la ruota del convento una monaca farmacista consegnava a chi ne faceva richiesta erbe varie tra cui malva, melissa, valeriana, viole, scorze o fiori di arancio.
Tra passato e futuro
Negli ultimi quindici anni poi a Santa Cecilia è stato re-impiantato un “Giardino dei Semplici” modellato sull’orto botanico di Padova, il più antico al mondo. Nel solco della tradizione si inseriscono le varie coltivazioni presenti: le rose, europee e cinesi, generatrici delle varie qualità oggi in commercio, i cui petali sono utilizzati per preparare conserve; le arance da cui ricavare tisane; la lavanda per l’estrazione dell’olio essenziale, la produzione di gelatina, acqua aromatica e sacchetti profumati per biancheria. Forte di una ricca e consolidata tradizione, l’attività delle monache è oggi proiettata al futuro: grazie alle nuove tecnologie è intenzione della comunità benedettina destinare un ambiente del Monastero alla memoria storica con una riproduzione virtuale dell’attività dell’antica spezieria.
Testi e regia: Paolo Ondarza - Riprese e montaggio: Cristiano D'Alessio
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