Processo in Vaticano. Difesa Torzi: costruito un castello di congetture
Barbara Castelli - Città del Vaticano
“C’è un solo modo di vedere le cose ed è quello di vederle interamente”: “per ricostruire correttamente una vicenda bisogna confrontarsi con tutte le prove, con tutti gli elementi”. Il promotore di Giustizia, invece, “sulla base di quattro sassi, da lui selezionati, e scartando attentamente tutti i sassi probatori che non andavano bene, ha costruito un castello bellissimo, ma totalmente inventato”. È quanto ha dichiarato l’avvocato Mario Zanchetti, difensore di Gianluigi Torzi, insieme con Marco Franco, nel corso della settantanovesima udienza del processo sugli investimenti finanziari della Segreteria di Stato a Londra. Nell’aula polifunzionale dei Musei Vaticani, tra gli imputati, erano presenti Enrico Crasso e Fabrizio Tirabassi. L’appuntamento odierno si è posto nel solco di quello dello scorso 8 novembre, nel corso del quale l’avvocato Matteo Santamaria aveva introdotto alcuni temi della difesa del broker molisano, per il quale Alessandro Diddi ha richiesto 7 anni e 6 mesi di reclusione, l’interdizione perpetua dai pubblici uffici e 9 mila euro di multa.
Il gioco delle parti
Un’ulteriore difficoltà di questo processo, oltre a quella della mole del materiale probatorio, ha rimarcato il legale intervenuto per primo nel corso dell’udienza, è che “ci siamo trovati difronte alla sostanziale inutilità dell’istruttoria dibattimentale”: “Quasi tutte le udienze dedicate all’udizione dei testi dell’accusa sono da buttare nel cestino, perché quasi tutti i testi dell’accusa, pubblica o privata, sono venuti qui e, sotto giuramento, ci hanno detto delle cose palesemente non vere”. “E hanno detto delle cose non vere non per caso – ha proseguito, citando, tra gli altri, Giuseppe Maria Milanese, monsignor Alberto Perlasca, Luca Dal Fabbro, Luciano Capaldo – non perché sono mentitori seriali ma perché erano tutte persone che avevano una parte in commedia, e che sono venute in questa aula per difendere il proprio ruolo, non la verità”.
Il giusto processo e i diritti dell’uomo
L’avvocato Mario Zanchetti, enumerando i capi di accusa, delineanti e declinati anche attraverso l’orizzonte giuridico di altre nazioni, ha poi nuovamente richiamato l’ordinanza del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano del primo marzo 2022, chiedendo che venga rivista, soprattutto alla luce dell’articolo 5 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, sul diritto alla libertà e alla sicurezza. “Questa sentenza non potrà rimanere privata – ha dichiarato il legale, richiamando “gli infiniti interventi dei precedenti pontefici sul giusto processo” – qualsiasi provvedimento sanzionatorio che adotterà questo collegio sarà poi analizzato dai giudici di altri Paesi, che valuteranno se lo Stato della Città del Vaticano rispetta i principi della Convenzione dei diritti dell’uomo”.
La “buona fede” di Gianluigi Torzi
Ancora una volta, in aula, si sono affastellati chat e documenti di varia natura che – nelle parole degli avvocati della difesa – tratteggiano una prospettiva differente, in relazione alle reali intenzioni di Gianluigi Torzi, titolare della società lussemburghese di intermediazione Gutt Sa, con la Segreteria di Stato; ai rapporti con Raffaele Mincione, anche e soprattutto rispetto alla questione Banca Carige; o alle presupposte difficoltà economiche in cui versava l’imputato. “Se le cose non sono vere – ha insistito l’avvocato Marco Franco – hanno una spiegazione alternativa”: non c’è stato “alcun fantomatico complotto di Torzi e Mincione”, si “voleva modificare il titolo dell’investimento e avere maggiori garanzie” e “si è ritenuto che Torzi fosse la persona giusta”.
Il legale ha più volte ripercorso i documenti che caratterizzano la vicenda dell’immobile londinese di Sloane Avenue, inizialmente riconducibile all’Athena Capital Global Opportunities Fund del finanziere Raffaele Mincione, poi passato alla Gutt Sa di Gianluigi Torzi, che deteneva le mille azioni con diritto di voto. "È impossibile sostenere che queste mille azioni non si era capito che Torzi le aveva con diritto di voto mentre gli altri non le avevano – ha detto Marco Franco – c’è scritto già nel Framework Agreement, dappertutto c’era scritta questa cosa”. Ed ancora, da una chat dell’imputato del 23 novembre, subito dopo le trattative di Londra, “a cose fatte”, “si evince che Torzi non sapeva prima delle mille azioni” e si vede la “buona fede di Torzi”. L’avvocato ha sovente invitato tutti “a non ragionare con il senno di poi”, “ma a leggere le carte in maniera integrale”. Monsignor Edgar Peña Parra, sostituto per gli Affari Generali della Segreteria di Stato, ha aggiunto, era “sempre informato” su tutto quello che succedeva nella gestione, come dimostrano i report periodici: “Torzi ha sempre avuto cura del palazzo” e “non c’è un solo atto che dimostri che Torzi non aveva la volontà di restituire le quote. Si è solo parlato del giusto compenso”. Le mille azioni, è stato spiegato, avevano un valore complessivo di 10 milioni di euro, e i 5 milioni erano la previsione del “lucro cessante”.
Richiesta l’assoluzione per Torzi
L’avvocato Marco Franco ha, infine, ampiamente parlato di Luciano Capaldo, definendolo “un personaggio veramente inquietante”. L’uomo, secondo il legale, è il responsabile del “processo demolizione dell’immagine di Torzi”, attuato per “mettere le mani sugli affari della Segreteria di Stato”, con la complicità di Luca Dal Fabbro e Fabrizio Tirabassi. In conclusione, è stata richiesta “l’assoluzione per la non sussistenza dei reati” e la “restituzione dei beni sottoposti a sequestro”. Domani interverranno i legali della difesa del cardinale Angelo Becciu, gli avvocati Maria Concetta Marzo e Fabio Viglione.
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