Monsignor Vito Rallo insignito del più alto riconoscimento del Regno del Marocco
Jean Charles Putzolu - Città del Vaticano
Il più alto riconoscimento del Regno del Marocco è stato conferito all'ex nunzio apostolico monsignor Vito Rallo, che ha prestato servizio in Marocco dal dicembre 2015 al giugno 2023. Lunedì 20 novembre, nel corso di un ricevimento ospitato dall'ambasciatore del Marocco presso la Santa Sede, il diplomatico è stato insignito del Wissam Alaouite dell'Ordine del Gran Cordone dal re Mohamed VI. Nei suoi otto anni di permanenza in Marocco, monsignor Rallo ha lavorato per promuovere il dialogo con i marocchini, popolazione a maggioranza musulmana, e si è dedicato anche ai 30 mila cattolici presenti nel Paese, provenienti soprattutto da Paesi stranieri, in gran parte africani. Salutato dall'ambasciatore, signora Rajae Naji Mekkaou, per il suo contributo al successo della visita di Papa Francesco a Rabat nel marzo 2019, il diplomatico ha a sua volta lodato l'ospitalità dei marocchini. "Ho visto un'apertura e un rispetto che è difficile trovare in altri Paesi a maggioranza islamica", spiega a Vatican News.
Il contatto umano costruisce il dialogo
Per quanto riguarda i cattolici in Marocco, il vescovo Rallo spiega che la maggior parte di loro proviene da Paesi africani. Molti sono giovani che ricevono borse di studio e poi rimangono in Marocco per lavorare. "Dobbiamo dire che grazie alla presenza dei cattolici subsahariani non abbiamo chiuso le nostre chiese. Forse prima o poi dovremo costruirne di nuove", afferma. Per i marocchini musulmani, aggiunge, è piuttosto difficile immaginare una conversione al cristianesimo. "Lasciare la propria società per entrare a far parte di un piccolo gruppo" significa "escludersi da altri gruppi di amici, parenti e familiari". La cultura prevalentemente musulmana non è tuttavia un ostacolo al dialogo. il presule sottolinea il profondo rispetto che i marocchini hanno per i cristiani a partire dalle autorità per arrivare al popolo, e il “grande dialogo su tutte le questioni". Un dialogo che, sottolinea, “si costruisce attraverso il contatto umano", incontrando le persone "nel loro posto di lavoro, nel loro luogo di vita, nel loro quartiere". Attraverso il dialogo, si impara “anche a capire la dimensione religiosa di un popolo". Ciò che è importante è “entrare in casa con molta umiltà, con l'umiltà dell'uomo di Dio che va ad imparare che cos'è la pace, la misericordia, l'amore, la comprensione”.
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