Martiri copti in Libia, Koch: testimoni di fede anche nella Chiesa cattolica
L'Osservatore Romano
I martiri della Chiesa «non sono un fenomeno marginale, ma costituiscono il suo fulcro fondamentale». Lo ha affermato il cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, che ieri pomeriggio, 15 febbraio, nella cappella del coro della basilica di San Pietro, ha presieduto la prima commemorazione nella Chiesa cattolica dei ventuno martiri copti di Libia, il cui inserimento nel Martirologio Romano è stato annunciato da Papa Francesco l’11 maggio scorso.
Rapiti a Sirte da un gruppo di miliziani del cosiddetto Stato islamico (Is), morirono decapitati su una spiaggia nella parte occidentale della città il 15 febbraio 2015. Erano lavoratori emigrati nel Paese nordafricano: venti di nazionalità egiziana, accomunati dall’appartenenza alla Chiesa copta ortodossa, e uno ghanese. Quest’ultimo non era un cristiano, ma quando gli venne chiesto di rinnegare Cristo, rispose: «Il loro Dio è il mio Dio».
Il cardinale ha ricordato le parole di Gesù nel Vangelo di Giovanni: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi (Gv 15, 20)», ribadendo che il martirio è «un aspetto essenziale del cristianesimo». Questa evidenza si è «rivelata ripetutamente nel corso della storia della Chiesa». E ciò è confermato anche «nel mondo odierno, dove si contano addirittura più martiri rispetto al tempo delle persecuzioni dei cristiani nei primi secoli»: oggi «l’80% di tutti coloro che sono perseguitati a causa della loro fede sono cristiani». Attualmente, dunque, la fede cristiana è «la religione più perseguitata. La cristianità è diventata ancora una volta una Chiesa martire, in misura incomparabile».
Del resto, ha evidenziato Koch, la passione di Gesù è «il primo martirio» e, allo stesso tempo, è «il modello esemplare del martirio dei cristiani che vivono nella Sua sequela e donano la propria vita per amore di Lui». Come il Cristo «si è conformato interamente alla volontà del Padre celeste per noi uomini e ha dato la vita sulla croce a motivo del suo amore infinito per noi, così anche il martire cristiano non cerca il martirio, ma se il martirio giunge in maniera inevitabile lo prende su di sé, come conseguenza della lealtà alla sua fede».
Infatti, ha osservato il cardinale prefetto, non è la morte in sé «a fare del cristiano un martire, ma è piuttosto il suo intento e quindi la sua disposizione interiore». Se «prendiamo come esempio Gesù Cristo, allora il suo segno distintivo sarà l’amore»: il martire mette in pratica «la vittoria dell’amore sull’odio e sulla morte». E il suo sacrificio «si rivela il sommo atto di amore verso Dio e verso i fratelli e le sorelle nella fede».
Davanti alle reliquie dei ventuno martiri - portate in basilica per l’occasione e offerte al Pontefice da Sua Santità Tawadros ii, Papa d’Alessandria e capo della Chiesa ortodossa - il porporato ha ricordato che già Giovanni Paolo ii mise in evidenza l’“ecumenismo dei martiri” quando, durante il Grande Giubileo del 2000, presso il Colosseo, tenne una memorabile celebrazione alla presenza di rappresentanti di diverse Chiese e comunità ecclesiali cristiane. Con questa iniziativa mostrò chiaramente che «la testimonianza resa a Cristo sino allo spargimento del sangue è divenuta patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti», come si legge nella Tertio millennio adveniente.
I cristiani oggi, ha fatto notare Koch, «non sono perseguitati perché appartengono a una particolare comunità di fede, ma perché sono cristiani». E nell’“ecumenismo dei martiri”, ha evidenziato, Papa Wojtyła aveva già ravvisato «una fondamentale unità tra noi cristiani e aveva sperato che i martiri potessero aiutare la cristianità a ritrovare la piena comunione». Del resto, come la Chiesa primitiva era convinta che il loro sangue potesse essere seme di nuovi cristiani, «così anche oggi possiamo nutrire la speranza nella fede che il sangue di tanti martiri del nostro tempo possa un giorno rivelarsi seme di piena unità ecumenica del Corpo di Cristo, ferito da così tante divisioni». In fondo, ha assicurato il porporato, «nel sangue dei martiri, possiamo esserne certi, siamo già diventati una cosa sola», e la comunione dei martiri «parla senza dubbio in maniera più eloquente delle divisioni che ancora oggi ci dividono».
In questo senso Papa Francesco «ha sempre considerato molto importante la testimonianza dei martiri copti ortodossi». E includendoli nel Martirologio Romano come «segno della comunione spirituale che unisce le nostre due Chiese», ha concluso il cardinale, egli ha voluto mostrare che essi «sono testimoni della fede anche nella Chiesa cattolica, e che dunque sono anche i nostri martiri».
Durante la preghiera ecumenica sono state elevate intenzioni affinché, per intercessione dei ventuno martiri, il Signore doni la forza del suo Spirito per proclamare il suo nome, per i perseguitati a causa della fede, perché trovino la forza di perdonare, per le Chiese cattolica e copta ortodossa in cammino verso l’unità, e perché il Signore sostenga tutti nel cammino verso la Pasqua.
Ha animato la preghiera il coro copto ortodosso della chiesa di San Giorgio a Roma. Tra i presenti, il segretario del Dicastero per la promozione dell’unità dei cristiani, Brian Farrell; il segretario del Dicastero per le Chiese orientali, padre Michel Jalakh; il vescovo copto cattolico emerito dell’eparchia di Guizeh (Egitto), Antonios Aziz Mina; il vicario generale della diocesi copta ortodossa di Roma, Thaoufilos el Soryany; il parroco copto ortodosso di Santa Mina in Roma, Antonio Gabriel; diversi rappresentanti ecumenici, tra i quali Matthew Laferty, del Methodist Ecumenical Office Rome, Tara Curlewis, del Reformed Churches Ecumenical Office - Rome, e Psak Tepirjian, della Chiesa apostolica armena.
Dopo la preghiera si è tenuta la proiezione del documentario I 21: la potenza della fede presso la Filmoteca Vaticana. Il film è stato realizzato nel villaggio natale dei 21 martiri, con il patrocinio di Tawadros II. A conclusione si è svolta una tavola rotonda sul tema dell’ecumenismo del sangue, con il cardinale Koch, monsignor Aziz Mina, il reverendo Gabriel e il regista del documentario, Samuel Armnius.
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