Fiducia supplicans, benedizioni non liturgiche e quella distinzione di Ratzinger
ANDREA TORNIELLI
La dichiarazione Fiducia supplicans, pubblicata dal Dicastero per la Dottrina della fede lo scorso dicembre, com’è noto e com’è stato peraltro ben sottolineato da molti, non cambia la tradizionale dottrina sul matrimonio che prevede la benedizione nuziale soltanto per l’uomo e la donna che si sposano. Ad essere approfondita dal documento, che ammette la possibilità di semplici benedizioni spontanee anche a coppie irregolari o composte da persone dello stesso sesso senza che questo significhi benedire la loro unione né approvare la loro condotta di vita, è invece la natura delle benedizioni. Fiducia supplicans infatti distingue tra quelle liturgiche o rituali, e quelle spontanee o pastorali. A proposito delle prime, le benedizioni liturgiche, esistono due modi di comprenderle. C’è un senso ampio, che considera ogni preghiera fatta da un ministro ordinato come “liturgica”, anche nel caso che venga data senza una forma rituale e senza attenersi a un testo ufficiale. E c’è un senso più stretto, secondo cui una preghiera o un’invocazione sulle persone è “liturgica” solo quando è eseguita “ritualmente”, e più precisamente quando si basa su un testo approvato dall’autorità ecclesiastica.
Alcuni dei critici che hanno messo in discussione la recente dichiarazione, di fatto ritengono lecito soltanto il senso ampio e pertanto non ritengono accettabile la distinzione tra preghiere o benedizioni “rituali” e “liturgiche”, e preghiere o benedizioni “pastorali” e “spontanee”. Fra questi, c’è ad esempio chi obietta che anche la liturgia ha una rilevanza pastorale. Ma a questo proposito è opportuno osservare che Fiducia supplicans, attribuisce alla parola “pastorale” un senso peculiare: vale a dire, il senso di una cura particolarmente rivolta all’accompagnamento di coloro a cui è offerta la benedizione; ad immagine del “buon pastore” che non si dà pace finché non trova ciascuno di coloro che si sono smarriti. Altri sostengono che tutte le preghiere sarebbero “liturgiche” e quindi tutte sarebbero soggette a ciò che è richiesto per la liturgia della Chiesa. A questa obiezione ha risposto lo stesso Papa Francesco, nel discorso rivolto ai partecipanti alla plenaria del Dicastero per la Dottrina della fede lo scorso 26 gennaio, insistendo sull’esistenza di benedizioni pastorali o spontanee che, «fuori da ogni contesto e forma di carattere liturgico – ha spiegato – non esigono una perfezione morale per essere ricevute». Le parole del Pontefice confermano dunque l’orientamento a considerare il senso più stretto per le benedizioni liturgiche.
Un precedente importante, a proposito della distinzione tra ciò che è liturgico e ciò che non lo è, lo si ritrova in una istruzione dell’anno 2000, pubblicata dall’allora Congregazione per la Dottrina della fede, firmata dal cardinale Joseph Ratzinger e approvata da Giovanni Paolo II.
Oggetto di quell’istruzione sono le preghiere per ottenere da Dio la guarigione. Al punto numero due della prima parte del documento si ricorda che «nel De benedictionibus del Rituale Romanum, esiste un Ordo benedictionis infirmorum, nel quale ci sono diversi testi eucologici che implorano la guarigione». Nella parte finale dell’istruzione, dedicata alle disposizioni disciplinari, c’è poi un articolo (2) che recita: «Le preghiere di guarigione si qualificano come liturgiche, se sono inserite nei libri liturgici approvati dalla competente autorità della Chiesa; altrimenti sono non liturgiche». Dunque si sancisce che esistono preghiere di guarigioni liturgiche o rituali, e altre che non lo sono, ma che pure sono legittimamente ammesse. Nell’articolo successivo si ricorda che quelle «liturgiche si celebrano secondo il rito prescritto e con le vesti sacre indicate nell’Ordo benedictionis infirmorum del Rituale Romanum». Da queste citazioni del testo firmato da Ratzinger e approvato da Papa Wojtyla si evince come il significato del termine “liturgico” utilizzato in Fiducia supplicans per definire le benedizioni rituali, diverse da quelle pastorali, rappresenti certamente uno sviluppo ma che si inserisce nell’alveo del magistero degli ultimi decenni.
Tra le benedizioni esistono poi altre distinzioni: alcune rappresentano delle consacrazioni, o il suggello al sacramento celebrato dagli sposi (nel caso della benedizione nuziale); altre rappresentano delle preghiere di invocazione che dal basso salgono verso Dio; altre ancora (è il caso degli esorcismi) hanno lo scopo di allontanare il male. Fiducia supplicans chiarisce ripetutamente che impartire una benedizione pastorale o spontanea – senza alcun elemento nuziale – a una coppia “irregolare” che si avvicina a un sacerdote o a un diacono non significa e non può rappresentare in alcun modo una forma di approvazione dell’unione tra i due. Non può, recita il documento, essere considerata «una legittimazione morale a un’unione che presuma di essere un matrimonio» né «a una prassi sessuale extra-matrimoniale». Il significato è invece quello di un’invocazione a Dio perché permette ai semi di bene di crescere nella direzione da Lui voluta.
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