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Pif: “In quei silos a Trieste ho incontrato Cristo"

Il regista, scrittore e autore televisivo dialoga con i media vaticani su fede, speranza, lavoro e migrazioni: “Abbiamo paura sì del diverso, ma solo se povero”

Andrea De Angelis - Città del Vaticano

«È una fortuna per un cristiano recarsi a Trieste, nei silos dove vivono i richiedenti asilo provenienti dalla rotta balcanica. Lì il credente può incontrare Cristo, ma anche chi è agnostico come me. Oggi io prego combattendo perché quei silos chiudano e si tutelino queste persone». Lo afferma Pif, pseudonimo di Pierfrancesco Diliberto, regista, sceneggiatore, scrittore e attore, ospite negli studi di Radio Vaticana per il  programma Radio Vaticana con Voi che lo ha visto confrontarsi con il direttore de L’Osservatore Romano, Andrea Monda. Un dialogo iniziato facendo riferimento a quanto mostrato di recente in Caro marziano, il nuovo programma di Pif, su quanto sta accadendo proprio a Trieste.

Pif, tu hai detto di essere stato educato in modo cattolico, ma di essere diventato agnostico. Poi, qualche mese fa, la parte credente è aumentata e - affermi - «la mia educazione cattolica ha avuto un senso». Cosa è successo negli ultimi mesi?

Sembra che abbia assistito a un’apparizione (ride, ndr). In qualche modo sì, sono andato a Trieste per Caro marziano a raccontare la rotta balcanica, cioè la vita di tanta gente che parte dai Balcani, arriva dall’Iran, dall’Afghanistan, attraversa vari Paesi, viene fermata, picchiata dalla Polizia di vari confini, rispedita indietro, arriva in Grecia, in Turchia, nei Balcani e finalmente a Trieste. Qui fanno domanda per l’asilo e, di fatto, si fermano. Sono in un limbo, non possono essere cacciati perché hanno fatto la domanda, ma non sono neanche accolti, se non quelli che ricevono un sostegno dalle varie organizzazioni di volontariato. Queste persone dormono nei silos, magazzini molto belli, asburgici, ma abbandonati. Accanto alla stazione, accanto alla nostra vita. Vivono in condizioni, in una situazione… da farmi diventare credente, perché dico sempre che un italiano lì non farebbe entrare neanche il suo cane. C’è fango, ci sono i topi, quando piove fuori un giorno lì le gocce cadono per tre giorni, si dorme nelle tende e per terra. Faccio una provocazione: è una fortuna per un cristiano una situazione del genere, perché ti dà l’occasione di toccare con mano Cristo! Ti dice guardami, sono qua! Lì tutti gli insegnamenti delle suore, l’educazione dei salesiani ha avuto un senso.

Lì, nei silos, non hai trovato traccia dei valori cristiani, ma di Cristo. Mi ha ricordato quello che Papa Francesco sta dicendo da quasi 11 anni: toccare nei poveri la carne di Cristo, incontrarlo.

Sì, noi abbiamo l’immagine di Cristo che ci conforta, che ci rassicura. Penso a quello di Zeffirelli, occhi azzurri, ci piace, ci conforta. La nostra fede non è quella, ma consiste nell’amare chi è completamente diverso, anche fisicamente. Noi, in verità, abbiamo paura soltanto del diverso povero, perché quando l’arabo è ricco non abbiamo paura.

La paura aumenta in modo inverso rispetto ai beni che possiede colui di cui abbiamo timore, dunque. A proposito di diversi e marziani, il Papa in un’omelia del 12 maggio 2014 si interrogò su come si comporterebbero i cristiani dinanzi ad un extraterrestre desideroso di essere battezzato. Un invito all’apertura, ribadito da Francesco anche all’ultima Gmg di Lisbona. Tu vedi nella Chiesa questa apertura, questa mancanza di stereotipi, pregiudizi, questo tentativo costante di combattere la cultura dello scarto?

Sì, diciamo che alla domanda del Papa la politica di oggi forse risponderebbe di aiutarli a casa loro. Per me è la sfida delle sfide, l’immigrazione mette alla prova la nostra fede. A me ha messo alla prova il mio essere ateo. Oggi san Francesco, sfido chiunque a dire il contrario, sarebbe nei silos di Trieste. Questo santo mette in crisi anche gli atei. Non mettiamo sull’altarino i santi, non deleghiamo a loro quello che possiamo fare noi. San Francesco mi sfida, mi dice che quello che ha fatto lui oggi potrei farlo io e quando una volta ho incontrato il Papa, assieme a tanta gente, ho capito che il suo atteggiamento consiste anche nel metterci in crisi. Ci dice no ai cristiani di salotto, no alla fede comoda, ed a me piace la fede scomoda. Per questo dissi tempo fa che non potevo essere più cattolico, ma da quando sono agnostico, mettendo in dubbio la fede in Dio, ecco che Dio è molto più presente rispetto a prima. A 51 anni torna tutto, poi continuo a farmi delle domande, ma questa risposta forse è già stessa la fede.

Pif, tu hai realizzato tanti reportage e numerose inchieste. Penso a come hai raccontato la criminalità organizzata, o a quel tuo aver ripreso la bicicletta di Giulio Regeni per riportarla a casa.  Oggi credi nella giustizia?

Io credo che sia giusto combattere per avere giustizia, poi se e quando arriva non lo so. La famiglia di Regeni mi ha dato l’onore di riportare quella bicicletta. Sai, io cinque secondi prima di morire voglio domandarmi se ho fatto tutto quello che mi era possibile e la risposta deve essere un sì! Non so se riuscirò ad ottenere giustizia, ma è mio dovere provarci.

Perché parlando di fede a un certo punto hai citato Jennifer Lopez?

Per non prendermi troppo sul serio (ride, ndr). Nei silos, tornando a Trieste, non ci sono i valori cristiani, ma Cristo. Per un credente l’incontro con quelle persone è l’occasione di abbracciare Cristo. È come se uno incontrasse Jennifer Lopez, è lì, puoi abbracciarla, e tu la eviti perché preferisci il poster? È una grande occasione, non voglio prendermi troppo sul serio ed uso esempi che mi ricordano chi sono.

La fragilità, dunque, del prossimo ci ricorda la nostra. Siamo fragili?

Io sì, sicuramente. Forse per questo abbiamo bisogno di una guida.

La tua speranza in fondo è che quei silos vengano chiusi?

Assolutamente, ma la mia paura è che si arrivi ad una situazione all’italiana. Si chiude e poi quelle persone finiscono per vagare. Il diritto internazionale tutela queste persone. Ho scoperto che il 7 luglio il Papa sarà a Trieste, magari colgo l’occasione, la getto là… Di certo bisogna cambiare le cose, da soli non si va da nessuna parte.

Il tema del lavoro, dal precariato all’alienazione, è a te caro. Oggi il lavoro è davvero una priorità, nei fatti e non solo a parole? L’assenza di lavoro ha delle implicazioni enormi, si pensi alla questione demografica.

Nella pratica non vedo che il lavoro viene considerato come una priorità, altrimenti non avrei dedicato tanto tempo a questa urgenza. Mi piace dirla con le parole di una ragazza di Bologna che considero illuminanti. Quando nacque il personaggio di Fantozzi, era la sfiga della sfiga della società, mentre oggi sarebbe un buon partito! Magari mia figlia - mi disse - si sposasse un Fantozzi! Lui almeno aveva le ferie pagate, la malattia, la sua sfiga oggi è quasi un privilegio e questo, credo, ci fa comprendere la situazione attuale.

Permettimi di chiudere con una domanda forse un po’ personale. Mi hai fatto venire in mente parlando di precariato che in latino “precarius” è colui che prega. Tu preghi?

Diciamo che in questa fase della mia vita combattere per chiudere i silos è in qualche modo una preghiera.

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27 febbraio 2024, 15:29