Bambino Gesù, da due anni porte aperte ai piccoli pazienti ucraini in fuga dalla guerra
Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano
Il primo è arrivato nella sede di Palidoro il 1° marzo 2022. Non era trascorsa neppure una settimana dallo scoppio della prima bomba su Kyiv che già l’Ospedale Bambino Gesù si è trovato a dover raccogliere i pezzi di una guerra presto rivelatasi nella sua brutalità. A partire da quel bimbo, giunto in Italia con mezzi di fortuna per raggiungere i parenti e accompagnato a Palidoro dai medici de L’Aquila, sono stati oltre 2.500 i minori ucraini che il nosocomio pediatrico ha accolto, assistito e curato tra le sue antiche mura da cent’anni proprietà della Santa Sede.
Due anni di ricoveri, operazioni e cure specializzate
Due anni di guerra, 730 giorni tra visite, day hospital, interventi, emergenze, ricoveri in Neurochirurgia o in Cardiologia, o anche trattamenti all’avanguardia come quello con cellule Car-T capaci di mandare in remissione la malattia. «Il massimo della scienza possibile» di cui proprio un 12 enne ucraino, affetto da dermatomiosite, è stato tra i primi pazienti in Italia a poter beneficiare. Due anni alle prese con ferite, traumi, Covid-19, operazioni su piccoli corpi mutilati dall’offensiva russa. Tutte cure diventate difficili se non impossibili da ricevere nel Paese «martoriato», dove la popolazione è costretta a scegliere tra cibo e medicine. Il Bambino Gesù da subito ha poi risposto all’appello lanciato dalle Reti ERN europee per offrire assistenza diagnostica e terapeutica a bimbi con gravi malattie rare anche a distanza. Nel nosocomio c’è e ci sarà sempre un posto per i piccoli ucraini affetti da specialità rare e ultra-rare segnalati via via dal network europeo.
La visita del Papa nel marzo 2022
Al 19 marzo 2022 erano 50 i bambini che l’Ospedale aveva preso in carico da inizio guerra. Non una data casuale, ma il giorno in cui il Papa aveva deciso di festeggiare la "Festa del papà" facendosi lui stesso padre e nonno per tutti i pazienti del Paese aggredito senza genitori, perché al fronte o in cielo. Francesco si era recato nel pomeriggio di quel giorno nella sede del Gianicolo, accompagnato dall’allora presidente Mariella Enoc, e aveva salutato dodici ragazzini ucraini fuggiti dalla guerra: 6 pazienti oncologici, 2 neurologici, 4 con ferite da guerra. Per loro benedizioni, regali, carezze come quella - immortalata in un commovente fotogramma - alla bimba con la testa completamente fasciata. Un modo, la visita del Papa, per restituire il sorriso che la guerra ha rubato.
La lettera della first lady ucraina
La riabilitazione non solo fisica ma anche emotiva e psicologica è parte integrante della missio del Bambino Gesù. Lo scriveva pure la first lady ucraina, Olena Zelenska, in una lettera alla presidente Enoc in cui raccomandava un’assistenza non solo sanitaria e non solo per i piccoli ma anche per le loro madri e nonne: «È molto difficile riprendere un bambino da una malattia, ed è ancora più difficile farlo durante una guerra. lo sogno che queste donne eroiche ricomincino a sorridere! Sono sicura che la sua attenzione potrebbe farlo», scriveva la moglie del presidente Zelensky.
Il canto di mamma Irene
Qualcuna, tra queste mamme e nonne, l’ha recuperato il sorriso. Irene, ad esempio, cantante e insegnante di pianoforte che in Ucraina lavorava con i bambini della scuola materna, ma che ha dovuto lasciare tutto per prendersi cura del figlio Gregory lontano dalle bombe. Si è sentita così al sicuro nel Bambino Gesù, così accolta e sostenuta, che in un giorno di aprile ha voluto tenere un piccolo concerto nel cortile dell’ospedale con canti tradizionali ucraini. Un inno alla speranza per il suo popolo, un omaggio a medici e infermieri.
Aperto il cuore
«Vicino a chi soffre, sempre» è il motto non dichiarato ma realizzato nella concretezza dal personale del Bambino Gesù. Quest’opera ha potuto apprezzarla anche la delegazione del Consiglio Panucraino delle Chiese durante la visita del gennaio 2023. I rappresentanti delle maggiori confessioni in Ucraina si sono commossi nel vedere quanto fatto per i loro connazionali. Terminata la visita il vescovo Marcos (Hrachya Hovhannisyan) della Diocesi ucraina della Chiesa Apostolica Armena, a capo della delegazione, ha commentato infatti: «Non avete aperto solo le porte dell’Ospedale ma anche il cuore».
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