L'arcivescovo Caccia: riconoscere il ruolo dei giovani indigeni
L'Osservatore Romano
«I popoli indigeni hanno il diritto all’autodeterminazione, esercitato in conformità con il diritto internazionale, che consente loro di perseguire liberamente il proprio sviluppo economico, sociale e culturale»: è partito da questo punto l’intervento dell’arcivescovo Gabriele Caccia, osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, che ieri ha preso parte alla 23ª sessione del Forum permanente dell’Onu sulle questioni indigene, incentrato in particolare sui giovani indigeni.
Custodi della loro cultura
Al riguardo, l’arcivescovo Caccia ha ribadito l’importanza di «riconoscere il ruolo» di questi ultimi, in quanto essi sono «custodi presenti e futuri della loro cultura», e «portatori del loro patrimonio culturale, delle loro tradizioni e della loro lingua», tanto da poter contribuire a preservare i modi di vita distinti delle loro comunità».
No a un indigenismo "chiuso"
«Ponte fra le generazioni», ha aggiunto l’osservatore permanente, i giovani indigeni sono anche schierati «in prima linea nel difendere le terre ancestrali, le risorse naturali e gli ecosistemi». Di qui, il richiamo del presule al dialogo «importante» tra gli Stati e le popolazioni native: un dialogo che promuova una cultura dell'incontro piuttosto che «“un indigenismo” chiuso, a-storico e statico».
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui