Cina, Parolin: l’obbedienza al Papa non nuoce all’amore per il proprio Paese ma lo ravviva
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
“Il Papa è capo spirituale di tutti i cattolici del mondo, a qualunque Nazione appartengano; ma questa obbedienza al Papa non solo non nuoce all’amore che ciascuno deve al proprio Paese, ma lo purifica e lo ravviva”.
Sono impregnate di attualità le parole che l’arcivescovo Celso Costantini, primo delegato apostolico in Cina, annotava oltre cent’anni fa a proposito dell’unità tra il Papa e tutti i cattolici sparsi nel mondo, “qualunque fosse la loro appartenenza nazionale”, chiarendo come “proprio tale comunione fosse la migliore garanzia di una fede sottratta agli interessi politici esterni e saldamente ancorata nella cultura e nella società locali”. È lo stesso Costantini che svolse una instancabile opera, non scevra da difficoltà, lungaggini e resistenze, affinché il Vangelo di Cristo si radicasse in terra cinese e fosse compatibile con la società e la cultura locale. Lo stesso Costantini che fu organizzatore e promotore del Concilium Sinense, il primo e finora unico Sinodo della Chiesa cattolica in Cina, del quale sono stati celebrati oggi, 21 maggio, i cent’anni in un importante convegno internazionale promosso dalla Pontificia Università Urbaniana, in collaborazione con Agenzia Fides e Commissione Pastorale per la Cina, che ha visto tra i protagonisti della sessione mattutina il cardinale segretario di Stato Pietro Parolin.
Ottimi credenti e ottimi cittadini
Un convegno “scientifico, non celebrativo”, ha detto il rettore Vincenzo Buonomo nella sua introduzione, preceduta dal videomessaggio di Papa Francesco. Non una “ricostruzione storica” dell’evento, ma una riflessione su come lo stesso evento sinodale costituisca “base e riferimento per quella inculturazione che il messaggio cristiano porta con sé che può garantire la presenza di ottimi credenti e allo stesso tempo ottimi cittadini”.
È il concetto che Papa Francesco ha voluto ribadire nel suo saluto al popolo cinese durante la Messa conclusiva del viaggio in Mongolia e che Parolin ha rilanciato nel suo intervento, ricordando come già oltre un secolo fa l’arcivescovo Costantini scrisse in proposito parole inequivocabili: “Il Papa vuole che i cattolici cinesi amino il loro Paese e siano i migliori tra i cittadini. Il Papa ama tutte le Nazioni, come Dio, di cui è il Rappresentante; ama la Cina, vostra nobile e grande nazione e non la mette dopo nessun’altra”.
Il grande valore del Concilium Sinense per il tempo di oggi
Sempre con lo sguardo alla storia, Parolin si è soffermato sul Sinodo di Shanghai che, seppur “concilio particolare”, rivestì “un significato ecclesiale più ampio”. L’assise cinese fu infatti “modello per molti altri Paesi di missione che, sul suo esempio, negli anni successivi si sarebbero preparati a celebrare i rispettivi sinodi nazionali”.
Il ricordo di quanto avvenuto riveste inoltre “grande valore”, secondo Parolin, “anche per il momento attuale della Chiesa, che, su invito di Papa Francesco, è impegnata nella riflessione sulla sinodalità”, quale chiamata al Popolo di Dio “ad essere responsabile e protagonista della vita della Chiesa”. È la stessa esperienza che vissero i Padri riuniti dal 15 maggio al 12 giugno a Shanghai: “Noi somigliamo ai modesti operai che costruiscono una cattedrale – annotava il delegato Costantini – il disegno è dato dall’architetto, ma ciascuno porta il suo mattone alla grande costruzione. Per noi l’architetto è il Papa. Gli operai passano, ma la cattedrale resta”.
Da "missioni estere" a "Chiesa missionaria"
Il prelato appuntava questi pensieri in un contesto fatto di aspetti positivi ma anche di squilibri, sia per la “presenza quasi esclusiva di clero straniero”, sia per “una certa affezione di alcuni ambienti missionari al patronato stabilito dalle Grandi Potenze occidentali e alle modalità pastorali da esso determinate”, ha ricordato Parolin. In questo solco plasmò la sua “strategia” missionaria e diplomatica che, ispirata alla Maximum Illud di Benedetto XV, lo portò alla “convinzione” di celebrare un sinodo generale della Chiesa in Cina. Prima, però, pur riconoscendo “il merito di molti missionari stranieri” che, con carità e dedizione, “avevano portato il Vangelo in Cina”, Costantini intuì che serviva uno “sforzo” per calare maggiormente la fede cattolica nella vita dei cinesi: “Nell’ottica di Costantini diveniva evidente l’urgenza di passare dal concetto di ‘missioni estere’ a quello di ‘Chiesa missionaria’”, ha sottolineato Parolin Bisognava perciò avanzare nell’opera di indigenizzazione del clero. Con questo intento “egli favorì l’ordinazione dei primi sei vescovi cinesi, nel 1926, e con questo medesimo scopo fondò, l’anno successivo, la Congregazione dei Discepoli del Signore”. Lucidamente promosse anche forme artistiche ed architettoniche cinesi, “attraverso le quali avrebbe potuto ulteriormente concretizzarsi l’inculturazione della fede cattolica”. Non mancarono critiche e una vera e propria campagna mediatica a suo danno, ha rammentato il cardinale. Ma “al biasimo, egli reagì sempre con lungimiranza”.
Rinnovo dell'Accordo e presenza stabile
E la sua eredità giunge fino al nostro tempo che vede, dal 2018 ad oggi, anche un rafforzamento dei reciproci rapporti tra Santa Sede e Repubblica Popolare Cinese attraverso l’Accordo provvisorio sulle nomine dei vescovi. Accordo che “siamo tutti interessati a che possa essere rinnovato e anche che alcuni punti possano essere sviluppati”, ha detto Parolin a margine del convegno. Al contempo, il cardinale ha espresso la speranza di poter avere “una presenza stabile in Cina”: “Anche se inizialmente potrebbe non avere la forma di una rappresentanza pontificia e di una nunziatura apostolica, ma comunque potrebbe aumentare e approfondire i nostri contatti. Questo è il nostro scopo”.
Una Chiesa inculturata
Parole pronunciate da Parolin a fianco al vescovo di Shanghai, Giuseppe Shen Bin, il quale, dal banco dei relatori ha assicurato: “Continueremo a costruire la Chiesa in Cina in una Chiesa santa e cattolica che sia conforme alla volontà di Dio, accetti l’eccellente patrimonio culturale tradizionale cinese e che sia gradita alla società cinese di oggi”, ha assicurato.
Quattro i punti illustrati dal vescovo cinese per il presente della Chiesa cattolica del suo Paese; anzitutto, ha detto, “lo sviluppo della Chiesa in Cina deve essere fedele al Vangelo di Cristo”, quindi alla “fede cattolica tradizionale”. Nel 1949, anno della fondazione della nuova Cina, la Chiesa – ha rammentato - “è sempre rimasta fedele alla sua fede cattolica, pur con grande impegno di adattarsi costantemente al nuovo sistema politico”. A quel tempo “la politica della libertà religiosa attuata dal governo cinese non ha alcun interesse a cambiare la fede cattolica, ma spera solo che il clero e i fedeli cattolici difendano gli interessi del popolo cinese e si liberino dal controllo di potenze straniere”.
I problemi del passato
Shen Bin ha ricordato che il segretario generale del Consiglio di Stato dell’epoca, Xi Zhongxun, assicurò che il governo popolare non si opponeva al fatto che i cattolici cinesi avessero contatti religiosi con il Vaticano, ma questi, ha detto, “erano permessi solo a condizione che non andassero contro gli interessi del popolo cinese, che non violassero la sovranità della Cina e che il Vaticano avesse cambiato la sua politica di ostilità nei confronti della Cina”. Non ha mancato, il vescovo di Shanghai, di ricordare anche i problemi in passato tra Chiesa e Stato in Cina, a motivo anche del “forte senso della superiorità culturale europea” di alcuni missionari, i quali “avevano persino l'intenzione di usare la religione cristiana per cambiare la società e la cultura cinese”. Cosa che fu “inevitabilmente contrastata e persino detestata da molti cinesi” e che “ostacolò una maggiore diffusione del Vangelo dell'amore tra il popolo cinese”.
Un percorso di cinesizzazione
Oggi che il popolo cinese porta avanti “la grande rinascita della nazione cinese in modo globale con una modernizzazione in stile cinese”, la Chiesa cattolica “deve muoversi nella stessa direzione”, ha affermato Shen Bin, “seguendo un percorso di cinesizzazione che sia in linea con la società e la cultura cinese di oggi”. L’invito a sacerdoti e fedeli cinesi è stato quindi “ad amare il loro Paese e la loro Chiesa e a collegare strettamente lo sviluppo della Chiesa con il benessere del popolo”. In proposito ha citato le parole di Papa Francesco che “essere un buon cristiano non solo non è incompatibile con l’essere un buon cittadino, ma ne è parte integrante”.
L'intervento di due relatrici
Due donne erano presenti tra le relatrici: Zheng Xiaoyun, presidente dell’Istituto delle Religioni Mondiali dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, che ha ricordato che oggi in Cina, secondo il Governo, sono presenti 98 diocesi, 9 istituti, 6 mila chiese e 6 milioni di credenti, oltre 8 mila religiosi nella “piena garanzia della libertà religiosa” e ha espresso l’auspicio del rinnovamento dell’Accordo tra Cina e Santa Sede; poi la professoressa Elisa Giunipero, docente di Storia della Cina alla Cattolica di Milano, che ha ricordato “l’influenza significativa spesso sottovalutata nelle missioni cattoliche in Cina e nel mondo” del Concilium. “Dalla Chiesa in Cina è giunta la spinta al cambiamento che ha trasformato la chiesa nei territori di missione”, aiutando a “pensare un cambiamento universale non portatore solo più della cultura europea”. “La Santa Sede nella sua tenacia e azione per celebrare il Concilio e le consacrazioni episcopali ha riposto fiducia nel clero cinese. Questo – ha concluso l’esperta - ha aiutato molto la Chiesa a resistere alle difficoltà nei decenni successivi”.
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