Radcliffe e Popko al Salone del Libro: attenzione al linguaggio ridotto a slogan
Antonella Palermo - inviata a Torino
L'amicizia attraverso lo studio delle fonti bibliche, condita di sano umorismo, acume, saggezza, affabilità. È quella che manifestano padre Timothy Radcliffe e padre Lukasz Popko, entrambi domenicani, coautori per la Libreria Editrice Vaticana del volume "Domande di Dio, domande a Dio", pubblicato con la prefazione di Papa Francesco e presentato al Sermig - Arsenale della Pace, uno dei tanti luoghi scelti per il Fuori Salone del Libro.
Le domande immergono nel mistrero di amare
Nell'auditorium al completo, i due religiosi - il britannico Radcliffe, già Maestro generale dell'Ordine dei Predicatori, considerato uno degli autori di spiritualità più noti al mondo, e il polacco Popko, docente all'École biblique et archéologique a Gerusalemme - hanno illustrato la genesi del libro, in cui "non sostengono tesi e non arriviamo a conclusioni", vogliono stimolare a una fede adulta al vaglio di un costante discernimento. Un libro nato "dal piacere della conversazione a colazione". "La conversazione - precisa Radcliffe - è il modo migliore per esplorare la Bibbia, il modo attraverso cui diventiamo amici di Dio. La Bibbia è piena di conversazioni, arrabbiate e perfino divertenti. Gesù parlava con tutti. Le domande profonde ci invitano a entrare in un nuovo modo di essere, le domande migliori ci aiutano a vivere. Le domande aiutano a immergersi sempre più profondamente nel mistero di amare". Perché la risposta ultima a tutte le nostre domande profonde è il Signore. Un aneddoto riferito alla vicenda personale che ha toccato padre Timothy è affiorato durante la presentazione, quello relativo alla diagnosi di un tumore, sopraggiunta proprio poco dopo la stesura del volume: "Un libro che mi ha dato conforto e speranza anche nel corso della convalescenza".
Dio è sempre con noi
Padre Popko racconta la gioia del dialogo epistolare con Timothy, un dialogo libero e sincero e reciprocamente basato sulla fiducia. Citando la vicenda di Giobbe, evidenzia come l'apparente silenzio di Dio è utile per far venire fuori tutto noi stessi: "Noi siamo troppo sbrigativi alle volte. Facciamo fatica a formulare le domande nel caos generale. Oppure finiamo con il gareggiare su chi grida più forte. Porre le domande serve per arrivare alla pienezza della verità, che è anche una via: il primo passo è importante come l’ultimo. La ricerca della verità fa così parte della verità, l’avvicinamento al senso fa parte del senso". L'agire di Dio, spiega, è diverso: per esempio, la domanda di Dio ad Adamo “dove sei?”, e non “cosa avete fatto?” è assai eloquente ed esprime lo stile del Signore: non essere schiavi del passato, ma essere provocati sul presente. "Dio non è contro di noi, è sempre con noi. L’ho sperimentato a Gerusalemme - ricorda Radcliffe - in un periodo in cui mi trovato in lontananza da Dio. Non era Lui lontano da me ma io lontano a me stesso".
Proprio sull'interazione con Dio e sui rischi che la Parola arrivi confusa al cuore dell'uomo e della donna, soprattutto in un'epoca di conflitti, i due domenicani padre Timothy Radcliffe e padre Lukasz Popko si sono soffermati a conversare con Vatican News:
Dio risponde sempre alle nostre domande? E alla grande domanda sul male nel mondo come risponde?
Radcliffe: Dio ci ascolta e ci risponde e il nostro compito è capire come ci risponde. Gli inviti che il Signore ci fa attraverso i suoi interventi nella nostra vita a volte non li comprendiamo. A volte pensiamo che Dio non sia qui, che sia assente ma, come dice Eckhart, anche quando noi pensiamo che non sia qui, Lui c’è. E anche quando pensiamo che non ci sia risposta, la risposta c’è. Ed è sempre nella forma che Lui vuole e che è migliore di quella che noi ci aspetteremmo.
Quale domanda vi ha messo più in discussione?
Radcliffe: Quella su cui abbiamo più discusso è quella che si trova in Gv 21: Simon Pietro è sulla spiaggia insieme a Gesù e Gesù chiede: "mi ami tu più di costoro?". Lo ripete tre volte. È quella che abbiamo discusso di più perché è quella più intima: abbiamo Simon Pietro che ha rinnegato tre volte Gesù e quindi probabilmente si sente un po’ imbarazzato a essere lì sulla spiaggia a parlare con Gesù la prima volta dopo averlo tradito e quindi è un momento anche di delicatezza, di guarigione, un momento in cui gli viene detto che un giorno dovrà andare dove lui non desidera, in cui lui dichiara di nuovo la sua vocazione. E che mostrerà il suo amore e darà la sua vita. Penso che dunque Dio sia delicato ma anche esigente. Credo che sia anche importante per ognuno di noi, quando magari abbiamo rinnegato l’amore che è il Signore.
Padre Popko, la guerra nei luoghi biblici di Gesù come la interpella alla luce della fede?
Popko: Gerusalemme stessa è per me un’icona del mondo. Gerusalemme è speciale per noi cristiani, per i credenti. Sotto il profilo sociologico è una terra dove si incrociano tante tensioni: Europa, Asia, Africa… Tanti interessi del mondo politico. Ciò che succede a Gerusalemme è il segno di tutte le guerre nel mondo. In un punto così piccolo si concentrano le tensioni mondiali. Dopo tanti secoli, Gerusalemme continua ad essere un punto di riferimento anche per i media internazionali. La guerra certamente è solo una punta di iceberg: l’ingiustizia, le emozioni [i malumori, ndr] durano da tanto tempo. La guerra è solo un ultimo shock. La mancanza di guerra, grande insegnamento del Vaticano II, non significa assenza di guerra, e la pace non c’è senza giustizia. Io conoscevo questi testi del Concilio però, stando a Gerusalemme, li rileggo e sono stupito di quanto siano veri.
Oggi come si vive a Gerusalemme?
Popko: Direi che sorprendentemente Gerusalemme è pacifica, poche persone circolano, pochi pellegrini. Non ci sono gruppi organizzati, questo mette in difficoltà le comunità religiose che vivono anche di accoglienza, anche noi come scuola biblica siamo un po’ in difficoltà perché non vengono mandati qui gli studenti per prudenza. Il sentimento prevalente non è tanto quello di pericolo quanto di non conoscere il futuro. Siamo in un clima sospeso.
Domandare presuppone un ascolto di sé paziente e profondo. L’uomo digitale ha questo atteggiamento?
Radcliffe: Penso che lo desideri fortemente e lo speri. In particolare i giovani che vivono in un mondo di contenuti digitali attendono anche un mondo che si rivolga a loro, e cercano e sperano di trovare comunità e amicizia. Il programma più popolare per i giovani in inglese, in America e nel Regno Unito, è un programma chiamato Amici: desiderano parole di amicizia, cercano parole che siano intime, che parlino a loro personalmente, e però in realtà non le troveranno molto sovente in quel contesto. Dobbiamo essere presenti nel mondo digitale in modo che noi possiamo trovare loro e loro possano trovane noi. Però la comunicazione che loro cercano e che anche noi desideriamo offrirgli ci porta al di là del mondo digitale, così che ci possiamo incontrare l’un l’altro faccia a faccia.
E l’intelligenza artificiale esaurisce le domande dell’uomo? Penalizza l’immaginazione?
Radcliffe: Non me ne intendo, in realtà. La mia impressione da profano è che non raggiungerà mai la creatività che è profondamente umana. Noi siamo fatti a immagine di Dio e questo significa che abbiamo parte in qualche modo della creatività di Dio. Parole inaspettate, parole che fanno nuove le cose. E penso che l'IA, anche se fa cose che ci sorprendono, tuttavia non sarà in grado di esprimere parole che siano genuinamente creative. Penso che non ci potrà mai offrire la poesia, per esempio. Non credo che ci penalizzi l’immaginazione ma è una immaginazione alienata. Se noi usiamo l'IA con immaginazione allora ci può aiutare. Ma non sarà mai immaginativa da sola.
La parola e il suo uso politico nei conflitti: potente nella propaganda, fragile nell’opera diplomatica?
Popko: La parola non può essere staccata dalla persona. Seguendo un po’ la guerra in Ucraina, mi sono fatto l’idea che la gente è portata a scegliere la propaganda, è come se volesse credere alla menzogna. La verità è troppo difficile da accettare, la propaganda è uno strumento per creare l’illusione collettiva. Abbiamo tanti mezzi per poter ascoltare e scegliere la verità. Anche per il problema degli abusi nella Chiesa, per esempio, è stato lo stesso: il problema di non voler ascoltare le voci ‘difficili’. Nel contesto di guerra la Parola di Dio può essere strumentalizzata e questo è diabolico. È molto pericoloso.
E allora come si fa a depurare la fede perché non venga manipolata?
Radcliffe: Penso che una parola forte sia una parola che il reale 'io' dice al reale 'tu'. A volte anche nelle chiese ci sono delle parole dette a 'qualcun altro'. Ci rivolgiamo ai media per il nostro proprio interesse. E invece una parola autentica è quella che veramente raggiunge l’altra persona, quella con cui siamo in conflitto, per esempio. Quindi credo che dobbiamo liberare le parole dalla loro funzione strumentale in maniera che siano parole che davvero attraversano l’abisso per raggiungere l’altra persona, questo significa essere attenti a chi l’altro è, a cosa dice, alla verità che egli nutre. E questo ho paura che non accada nei conflitti oggi così come anche non accade a volte dentro la Chiesa. C’è un autore inglese, Ian McGillchrist, che dice che la filosofia oggi è quella del riduzionismo economico, nazionalista, religioso, che scavalca tutte le sfumature di una comunicazione intelligente capace di andare al di là dei conflitti. Penso che per tutti nella Chiesa serve dire la verità e fuggire anche dall’uso di frasi troppo semplici, sotto forma di slogan. Lo slogan è un atto di guerra.
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