Don Michał Rapacz beato, Semeraro: consolazione in un tempo ferito dalla guerra
Isabella Piro – Città del Vaticano
“Un segno di consolazione da parte di Dio, in un tempo ancora ferito dalla violenza e dalla guerra in molte parti del mondo ed anche non molto lontano da qui”: così il cardinale Marcello Semeraro, prefetto del Dicastero delle cause dei santi, ha definito la beatificazione di don Michał Rapacz, da lui presieduta in rappresentanza di Papa Francesco stamani a Cracovia, in Polonia. Sacerdote diocesano martire, fu ucciso in odio alla fede durante il regime comunista il 12 maggio 1946 a Płoki, dove era parroco: un gruppo di uomini armati entrò nella notte all’interno della canonica, lo sequestrò e lo uccise in un bosco poco distante. Aveva solo 42 anni.
Messaggio di speranza per tutto il mondo
A fare da cornice alla celebrazione il santuario di Łagiewniki, intitolato alla Divina Misericordia: consacrato da san Giovanni Paolo II il 17 agosto 2002, il luogo di culto dalla moderna forma ellissoidale custodisce le spoglie di santa Faustina Kowalska, apostola di questa devozione cui era molto legato Papa Wojtyła. Numerosi i fedeli raccolti sia all’interno che all’esterno della chiesa, in una calda giornata di sole. E numeroso anche il clero dell’arcidiocesi di Cracovia e di altre diocesi polacche presenti. Da qui, ha detto il cardinale Semeraro, si irradia un messaggio di “speranza e consolazione sull’intera nazione polacca e su tutto il mondo”.
Costruttore di pace
Soffermandosi sul significato dell’Eucaristia come “sacramento della misericordia”, il porporato ha ricordato, sulla scia di Papa Francesco, che essa “non è un premio per i buoni, ma è la forza per i deboli, per i peccatori. È il perdono, è il viatico che ci aiuta ad andare, a camminare”. In tale ottica, ha proseguito, “nutriti del Pane eucaristico, possiamo pronunciare anche noi il nostro sì, che è l’impegno a compiere e vivere scelte radicali, coraggiose, anche scomode. Il sì a un modo diverso di rispondere al male con il bene, diventando costruttori di pace e abbracciando gli ideali di quella misura alta della vita cristiana che i santi, con la loro testimonianza, ci fanno vedere”, ponendosi “con generosità al servizio degli ultimi, dei poveri, degli emarginati, dei più piccoli e indifesi”.
L’Eucaristia, antidoto all’ateismo e al materialismo
Un modello da seguire, ha aggiunto il prefetto del Dicastero delle cause dei santi, è proprio don Rapacz, per il quale “l’Eucaristia è stata il fondamento della sua vita di uomo di Dio”. “Diffondere l’amore a Cristo presente nel Pane consacrato - ha affermato il cardinale - era per lui il solo antidoto efficace all’ateismo, al materialismo e a tutte quelle visioni del mondo che minacciano la dignità dell’uomo”. Ed è “dal dono di Gesù sull’altare” che il parroco di Płoki “trasse l’amore più grande, quello che non rimane paralizzato davanti all’odio, alla violenza ed a tutto ciò che fa paura”. Pastore di anime radicato nella carità, ha ricordato ancora Semeraro, don Michał mantenne un fermo proposito: “Sono pronto a dare la vita per le mie pecore”.
Un modello per i giovani
In tal senso, il porporato ha invitato i giovani a guardare al sacerdote martire come a un “incoraggiamento ad abbracciare con tutto sé stessi il Vangelo di Gesù”, poiché nella sua esistenza don Rapacz “ha maturato la sapienza più grande: quella di saper discernere a chi consegnare tutto sé stesso”, consapevole del fatto che “rispondere con generosità alla vocazione cristiana è sempre rispondere a quella chiamata ad essere santi, che Dio rivolge a ogni uomo e donna”.
L’esigenza continua di spiritualità
Il prefetto ha poi richiamato alla memoria “l’esigenza continua di spiritualità” che animava il nuovo beato, spingendolo ogni notte a entrare in chiesa e a prostrarsi a terra, in forma di croce, davanti al tabernacolo, per intercedere “per le famiglie e le persone della sua comunità”. Così, ha aggiunto Semeraro, Michał Rapacz “insegna che non solo l’Eucaristia è sorgente del bene, ma ne è anche il compimento, perché in essa approdano e trovano riparo l’inquietudine dell’uomo, la sua ricerca, ogni sua necessità. Adorare l’Eucaristia è anche riconsegnare a Gesù Cristo noi stessi e tutto ciò che ha bisogno di sperimentare la sua potenza liberante e trasformante”.
Testimone fedele e generoso del Vangelo
Allo stesso modo, ha sottolineato ancora il cardinale, il sacerdote polacco rappresenta un invito per tutti i sacerdoti a “credere nella potenza dell’Eucaristia, la sola mediante la quale ognuno di noi può diventare, come è stato lui, un testimone fedele e generoso del Vangelo fino a dare la vita”. “La gente, le nostre comunità, la Chiesa tutta ha bisogno del nostro sì, della disponibilità a lasciare conformare la nostra vita al mistero che celebriamo all’altare”, ha affermato ancora il porporato.
Saldo nella fede
Guardando, infine, al prossimo Giubileo, incentrato sul motto Pellegrini di speranza, il prefetto lo ha definito “un’esperienza di vera speranza, un’esperienza grande quanto tutto il mondo”, la cui testimonianza più convincente viene offerta proprio dai martiri che, “saldi nella fede in Cristo risorto, hanno saputo rinunciare alla vita stessa di quaggiù pur di non tradire il loro Signore” (Spes non confundit, 20).
Il reliquiario
Durante la celebrazione, alla quale hanno preso parte anche due pronipoti di don Michał – informa una nota dell’arcidiocesi di Cracovia – è stato portato all’altare il reliquiario, a forma di croce intrecciata con rami di ulivo, contenente alcuni resti mortali del nuovo beato, ottenuti durante l’esumazione delle sue spoglie effettuata lo scorso aprile. Per decisione del metropolita di Cracovia, l’arcivescovo Marek Jędraszewski, invece, i restanti resti esumati di padre Rapacz riposano presso l’altare laterale della chiesa parrocchiale di Płoki, che sarà il principale luogo di venerazione del nuovo beato.
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