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Il cardinale Ortega y Alamino in una foto del 2016 Il cardinale Ortega y Alamino in una foto del 2016

Cinque anni fa la morte del cardinale Ortega, uomo del dialogo e pastore del popolo

Il 26 luglio 2019 si spegneva il porporato cubano all'età di 82 anni e che per 35 aveva guidato l'arcidiocesi di San Cristóbal de la Habana. Con Jorge Mario Bergoglio condivideva le origini latinoamericane e una sintonia pastorale su molti aspetti della vita e della missione della Chiesa nel continente

L'Osservatore Romano

«Ho la fortuna di essere l’unico arcivescovo metropolita che ha ricevuto nella stessa sede tre Papi» amava dire il cardinale cubano Jaime Lucas Ortega y Alamino, citando lo storico viaggio di Giovanni Paolo ii nel 1998, e quelli di Benedetto xvi nel 2012 e di Francesco — al quale era legato da una grande amicizia e da un assiduo rapporto di collaborazione — nel 2015 e nel 2016, quando il primo Pontefice giunto dall’America latina aveva incontrato il Patriarca ortodosso russo Kirill. Oggi, 26 luglio, ricorre il quinto anniversario della morte del porporato, che in oltre mezzo secolo di servizio alla Chiesa del Paese — arcivescovo di San Cristóbal de La Habana per trentacinque anni e cardinale per cinque lustri — si era distinto per la cura pastorale riservata ai laici e soprattutto ai giovani, per l’attenzione alle vocazioni e alla formazione sacerdotale, per la testimonianza di carità verso gli ultimi (sostenuta anche attraverso la fondazione della Caritas nazionale) e per l’impegno nella missione evangelizzatrice, favorita, tra l’altro, dalla creazione di nuove parrocchie, dalla ricostruzione di oltre 40 chiese, dal sostegno a uno dei primi giornali cattolici cubani, il bollettino mensile dell’arcidiocesi «Aquí la Iglesia».

Il cardinale Ortega in processione a L'Avana nel 2015
Il cardinale Ortega in processione a L'Avana nel 2015

Uomo di dialogo, capace di mantenere viva la Chiesa cubana in anni difficili, era stato uno dei protagonisti dell’avvicinamento — fortemente voluto da Papa Francesco e poi realizzato alla fine del 2014 con la mediazione del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin — tra gli Stati Uniti d’America e il suo Paese. Per il popolo era così divenuto “il cardinale del disgelo”, rispettato anche dalle autorità di governo cubane che gli avevano tributato i funerali di Stato.

A Francesco lo legavano le comuni origini latinoamericane e un rapporto personale radicato anche nella sintonia pastorale su molti aspetti della vita e della missione della Chiesa nel continente. Non a caso, il cardinale aveva chiesto a Bergoglio — che gliel’aveva consegnata una volta eletto Papa consentendone la pubblicazione — una copia dell’intervento pronunciato a braccio durante una delle congregazioni generali che avevano preceduto il Conclave del marzo 2013, perché perfettamente in linea con il suo pensiero riguardo all’evangelizzazione, definita dal futuro Pontefice «la ragion d’essere della Chiesa».

Nato a Jagüey Grande, in diocesi e provincia di Matanzas, il 18 ottobre 1936, all’età di 15 anni, dopo il colloquio con un padre carmelitano, aveva deciso di entrare nel seminario diocesano e, conclusi gli studi, nel 1964 era stato ordinato sacerdote. Nel 1966, quando era vicario cooperatore di Cárdenas, suo primo incarico, era stato internato per otto mesi nei campi di lavoro conosciuti con la sigla Umap (Unidades militares de apoyo a la producción), durante i quali era riuscito a celebrare la messa di nascosto usando un bicchiere di alluminio come calice.

Al termine del periodo di detenzione, era stato nominato parroco del suo villaggio natale e poi della cattedrale di Matanzas, occupandosi contemporaneamente della comunità di Pueblo Nuevo della stessa città e di altre due chiese in periferia, visto lo scarso numero di preti. In quegli anni era stato anche presidente della Commissione diocesana di catechesi, dando vita a un movimento giovanile che includeva — tra le varie forme di apostolato — campi estivi e un’azione evangelizzatrice mediante opere teatrali, rappresentate da ragazze e ragazzi.

Il 7 dicembre 1978 aveva ricevuto la nomina a vescovo di Pinar del Río — una delle prime del pontificato di Karol Wojtyła — ed era stato poi ordinato il 14 gennaio 1979 nella cattedrale di Matanzas dal nunzio apostolico Mario Tagliaferri. Era seguita la promozione ad arcivescovo di San Cristóbal de La Habana nel novembre 1981. Qui, in un intenso e mai interrotto lavoro pastorale ultratrentennale, aveva ridato speranza a una realtà drammaticamente segnata dalla scarsa presenza di presbiteri, dalla mancanza di organismi ecclesiali per i laici, da edifici cadenti e da pochissimi mezzi a disposizione. Perciò aveva progettato personalmente la nuova struttura del seminario interdiocesano, la cui prima pietra era stata benedetta da Giovanni Paolo ii — che quattro anni prima lo aveva creato cardinale — sulla Plaza de la Revolución all’Avana, durante la storica visita del 1998. In quell’occasione il Pontefice aveva sottolineato la statura e l’autorevolezza della figura del porporato — riconosciute unanimemente dalla popolazione dell’isola caraibica — pronunciando una battuta ricordata ancora oggi: «A Cuba — aveva detto il Papa polacco — ci sono due comandanti: Castro e Ortega».

Leader di una «Chiesa povera ma non depressa o silenziosa», come amava definirla, nel 2011 aveva inoltre avviato il Centro culturale “Padre Félix Varela” per la formazione del laicato. Ed è qui che era apparso in pubblico nel giugno 2019 — poche settimane prima di morire — quando aveva ricevuto dai vescovi cubani la medaglia “Carlos Manuel de Céspedes” per l’evangelizzazione della cultura, ultimo tra i tanti riconoscimenti (come le lauree honoris causa conferitegli da diverse università americane) tributati al porporato da istituzioni ecclesiali e culturali internazionali.

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26 luglio 2024, 15:03