Semeraro: l'esempio del nuovo beato Ján Havlík che perdonò i suoi persecutori
Adriana Masotti - Città del Vaticano
Una "persona equilibrata, gioiosa, allegra in compagnia, aperta e attenta ai bisogni degli altri" che, dopo l'arresto, vide il progressivo decadimento della propria salute. Il cardinale Marcelo Semeraro, prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi, descrive così la figura del seminarista slovacco Ján Havlík nell'omelia pronunciata stamattina a Šaštín, celebrando la Messa con il rito di beatificazione del servo di Dio nello spazio antistante la Basilica dei Sette Dolori della Vergine Maria.
Ján era "un uomo di speranza"
Nato il 12 febbraio 1928, Ján Havlík morì improvvisamente il 27 dicembre del 1965 a soli tre anni dalla liberazione dopo aver subito in carcere per 14 anni maltrattamenti e torture fisiche e psicologiche, durissimi interrogatori, un lungo isolamento e la condanna a lavori pesanti, ma trovando nella fede la forza di sopportare ogni cosa. Prima di morire perdonò i suoi persecutori. "È l’amore di Cristo la forza che ci fa superare la debolezza, l’energia che ci fa sorpassare la paura, la luce che ci fa sconfiggere le tenebre", afferma il cardinale, che definisce Ján come "un uomo di speranza". "È stata la virtù della speranza quella che ha fatto crescere e ha sostenuto la sua vocazione. Segno di speranza, infatti, è già la scelta di essere discepolo di san Vincenzo de’ Paoli", un santo che ha dato speranza ai poveri e ai sofferenti. E come san Vincenzo anche Ján "è stato davvero un raggio di sole per quanti lo incontravano". Di lui è stato detto: "Manifestava nella maniera più intensa possibile la propria profondità spirituale nella condivisione della sofferenza, nel motivare gli altri alla speranza pur vivendo molte difficoltà".
Una persecuzione contro Dio
Durante la prigionia, Ján Havlík conobbe il sacerdote salesiano Titus Zeman, beatificato nel 2017. "Fu vittima di un regime che voleva distruggere il fenomeno religioso e in particolare la Chiesa cattolica e i suoi ministri", osserva il prefetto, ricordando che, secondo le testimonianze raccolte, in carcere Ján "ricopiò di notte, scrivendo con una matita e facendone copie anche per altri, l’Umanesimo integrale di Jacques Maritain", circa 350 pagine. Un lavoro faticoso e rischioso. Il cardinale Semeraro osserva che in quelle pagine c'era la descrizione di ciò che Ján stava vivendo: "La verità - vi si legge - è che si tratta di una persecuzione mascherata; in realtà è una lotta contro Dio, di sterminio della religione, lavoro di distruzione spirituale". Alla volontà di "tener prigioniera la parola di Dio", commenta Semeraro, il nuovo beato "oppose la fedeltà a Dio, la fedeltà alla propria vocazione, alla propria scelta di carità verso il prossimo".
Modello di fedeltà per tutti
Un modello di fedeltà, dunque, Ján Havlík, che oggi viene proposto non solo alla Chiesa slovacca ma a tutti i cristiani, anzi, "a tutti coloro che operano a favore della dignità umana e per la libertà di coscienza. È qui l’attualità di questa beatificazione - prosegue Semeraro -, poiché in molti casi e pur in contesti diversi è difficile, talvolta eroico, rimanere fedeli a Cristo". Il porporato ricorda la promessa di Gesù: "chi perderà la propria vita per me, la salverà" che in Ján si realizza. La fama del suo martirio infatti si diffuse molto presto estendendosi oltre i confini della nazione e oggi, conclude il prefetto delle Cause dei Santi, "la Chiesa lo riconosce e lo ha confermato poco fa con le parole del Papa: Ján Havlík 'fu fedele discepolo del Signore Gesù, al quale offrì generosamente la vita, perdonando i persecutori'.
Grazie per aver letto questo articolo. Se vuoi restare aggiornato ti invitiamo a iscriverti alla newsletter cliccando qui