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Madre Maria Ignazia Angelini Madre Maria Ignazia Angelini

Sinodo, la meditazione di Madre Angelini alle Lodi del 30 settembre

Pubblichiamo il testo integrale della riflessione della religiosa benedettina alle Lodi che hanno aperto oggi il ritiro spirituale dedicato a membri, delegati fraterni e invitati speciali alla seconda sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi

Madre Maria Ignazia Angelini

«Come essere Chiesa sinodale in missione?» Sete di Dio, nascosta scaturigine dei dialoghi sinodali»

Un grazie profondo a Dio, per questo inizio: il Vangelo – al cuore delle Lodi - ci riposiziona, tutte e tutti. Come ci diceva poche settimane fa papa Francesco, all’Angelus: “Primo: la meraviglia, perché le parole di Gesù ci sorprendono. Gesù sempre ci sorprende, sempre. Anche oggi, nella vita di ciascuno, Gesù sempre ci sorprende.” (18-08-’24). Tanto più se ci esponiamo al Vangelo attingendolo entro la grande luce dall’Eucaristia. Ha in sé la forza di disporci al cammino. Facciamo spazio all’ascolto stupito che ci riposiziona, ci dispone a questo nuovo inizio di cammino insieme.

Sull’eco dalla memoria vigorosa di san Girolamo, l’uomo rude e collerico, dalle passioni forti, facilmente in lite nelle sue relazioni più coinvolgenti, ma attento scrutatore della sacra Scrittura, fino ad essere da essa trasformato – oggi il Vangelo parla: ci racconta il concludersi di una tappa dell’itinerario di Gesù, verso l’avvio della tappa decisiva. [E noi, stiamo entrando in una tappa conclusiva (si fa per dire!) del cammino sinodale]. Una conclusione misteriosa che apre in modo sconcertante l’orizzonte, mentre la tappa precedente sembra chiudersi su un’ombra fallimento: infatti, mentre tutti erano ammirati di lui, Gesù aveva appena annunziato per la seconda volta l’avvicinarsi della “consegna” del Figlio dell’uomo in mano agli uomini. E qui, proprio qui, Gesù apre l’orizzonte, portando rudemente allo scoperto l’imbarazzante dialogismos dei discepoli e illuminandolo nella sua stoltezza, attraverso il semplice gesto di avvicinare, stabilire accanto a sé un piccolo bambino. Rifondazione del collegio apostolico. Simbolo vivente del discepolo, offerto anche a noi. Qui, oggi. Il minimo fatto simbolo vivo.

Gesù nel commentare questo gesto profetico ci offre indirettamente nuova visione sulla missione – e dunque sul cammino sinodale. “Chi riceve questo piccolo fanciullo nel nome mio, riceve me; e chi riceve me, riceve colui che mi ha mandato”. La missione ha origine dalla passione, dalla invincibile attrazione, di Dio verso il minimo, il paidion. È una costante del rivelarsi di Dio nella storia umana, dal primo giorno della creazione fino a Gesù. Gli apostoli “inviati”, la missione) devono ripartire sempre da capo da qui. La missione, senza questo modo di “stare con lui”, è vana.

Ma loro, ottusi, pur corretti dal Maestro, di nuovo a ribadire la loro visuale integrista che alza steccati, che esclude l’estraneo. E di rimando Gesù, con mite tenacia, rivela che l’Abbà desidera “con sé” - e riconosce “suoi” - tutti. A partire dal piccolo, dall’irrilevante. E di qui, proprio da questo inciampo nell’intesa tra Gesù e i suoi si parte, nel cammino “sinodale” per Gerusalemme. Qui cristologia e ecclesiologia s’intrecciano. Da qui, la II.a Sessione dell’Assemblea sinodale si trova dunque con potenza invitata a partire. I.L:,“... questa è la domanda: come l’identità di Popolo di Dio sinodale in missione può prendere forma concreta nelle relazioni, percorsi e luoghi nel cui intreccio si svolge la vita della Chiesa?”. La missione senza questo modo di stare “con lui” rivelato nel paidion, è al massimo un buon volontariato.

I loghismoi, la ricerca del dialogo, l’incomunicabilità tra le differenze, le barriere tra generazioni, tra culture abissalmente diverse: tutti gli ostacoli che abbiamo ben misurato in questi mesi di cammino tra un’Assemblea e l’altra, qui vengono confrontati con la misura di verità che – nel simbolo - ci riposiziona tutti: il piccolo, anzi, il minimo. Gesù qui non fa la morale: addita, in sé stesso, la via e il passo.

E come dunque noi, qui, ci riconosciamo chiamati alla nuova tappa del cammino sinodale, ai confronti, ai dialoghi? come ci esponiamo alla forza rivelante, performante, trasfigurante, dell’Eucaristia, e in essa al Vangelo? L’I.L. (I, 25; cfr anche “Cinque piste...”), nella IV pista di approfondimento proposta, dice che il metodo sinodale include anche il riferimento liturgico. Ma non tanto come procedura rituale, io penso, bensì come luce ispirante. Sappiamo quale appiattimento del mondo hanno prodotto le ridicole discussioni, gerarchie di potere: “... chi di loro fosse il meglio” (Lc 9,46)

Come dunque individuare il “più piccolo”, nella situazione epocale in cui viviamo? Il bambino indifeso e fiduciosamente consegnato, il giovane smarrito, il carcerato in rivolta, il migrante, l’anziano lasciato solo, la donna inascoltata, il ... “chi?” ?

L’arte del dialogo qui rifondata, nella chiesa sinodale è decisiva, alternativa a tutti i dialoghismoi che più o meno consapevolmente portiamo in cuore. Arte che nasce – lo capiamo da questo Vangelo - da un piano di realtà, che Dio assume: dal dolore di una sordità percepita. Questa pazienza di Gesù nel farsi intendere da coloro che - pure scelti perché stiano con lui –, restano sordi, è rivelante: dice Dio. Che mai sia arrende nella sua sete del Tu umano. E fonda l’arte del dialogo. Martin Buber nel suo scritto sul dialogo offre un apoftegma cassidico molto incisivo al riguardo: «Si racconta che una volta un uomo entusiasta di Dio, abbandonando il regno della creazione, vagò nel grande vuoto. Lì andò errando, finché giunse alle porte del segreto di Dio. Bussò. Da dentro gli fu chiesto: “Che cosa cerchi qui?”. Disse: “Ho proclamato la tua lode agli orecchi dei mortali, ma erano sordi alla mia parola. Allora giungo a te, perché tu stesso mi ascolti e mi risponda”. “Torna indietro”, si udì dall’interno, “qui non c’è orecchio per te. Ho inabissato il mio udito nella sordità dei mortali”». E in questo Vangelo, la mitezza di Gesù nello snidare i pensieri “sordi” dei discepoli, dice al vivo questo inabissamento. Questa arte del dialogo che si impara unicamente alla sua scuola: esponendosi, fino alla consegna da “piccoli”, all’altro.

Al Vangelo, “spiazzante”, danno orizzonte e risonanza i salmi ora pregati. Due salmi performanti. Gregorio magno dice (Omelie su Ezechiele, I.I, 15) che – quando la profezia viene meno nel suo popolo - e spesso accade! – è la voce dei salmi che prepara nel cuore oscurato la via allo spirito di profezia e alla grazia della compunzione, via che conduce fino a Gesù. Stupendo.

Come scrive Gerolamo – oggi ne facciamo memoria! – nel suo riscoperto commento ai Salmi: “Il salterio è come una grande casa, che ha sì una sola chiave esterna per la porta – e questa chiave è lo Spirito Santo; ma ha anche chiavi proprie per le diverse stanze dell’interno. Ciascuna stanza ha la sua propria chiave. Se uno butta via alla rinfusa le chiavi, quando poi

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volesse aprire quella stanza, non può farlo. A meno di ritrovare la chiave.Frequentementsuccede rispetto al salterio che abbiamo questa noncuranza di buttare le chiavi e di ritenerli indecifrabili, inservibili per la preghiera”. Oggi, giornata di ritiro, potrebbe essere grazia ritrovare la chiave per entrare in questi due stupendi salmi: “Come la cerva anela ai corsi d’acqua così l’anima mia anela a te, o Dio”. È la voce della chiesa, è la voce degli innumerevoli piccoli in attesa di essere evangelizzati, è la voce della “mia anima” (Sal 41,2) in ricerca. Due salmi splendidi ci sono stati donati oggi per dare forma alle Lodi di Dio. Il Sal 41 dà voce a quella segreta, innominabile sete che portiamo in noi. Quella sete che è anima della libertà. Sete che corrisponde alla sete di Dio.

Le culture cui apparteniamo esitano a esporsi a questa sete, a integrarla nei loro sistemi simbolici, faticano: tanto sono inficiate da logiche di impresa, di potere, mercato, fitness. O da logiche evasive. Che perseguono sogni di libertà come auto determinazione: ma il salmo che abbiamo appena ridesta la sete del Dio vivente. Lui, il Vivente, ha sete di questa sete, come attesta l’antico monaco: "Dio ha sete di chi abbia sete di lui". E Teresa la Calcutta ci ha richiamato con umile forza. Esporsi lungamente alla sua luce, dimorare nel Vangelo “come nella carne di Cristo” (Ignazio di A.): questo è ritiro, inverante. Come accogliere vicino a sé, in sé stessi, il bambino.

Sul salmo 41, diceva abba Poemen, monaco nel deserto egiziano: “Sta scritto: ‘Come la cerva anela alle fonti d’acqua, così l’anima mia brama te, o Dio’. Come capita ai cervi nel deserto che divorano molti rettili e, quando il veleno li brucia, bramano venire alle acque dove trovano sollievo al bruciore dei veleni ingeriti, così i monaci che vivono nel deserto sono arsi dall’amaro delle passioni e perciò bramano che arrivi il sabato e la domenica per la sinassi, per attingere alle sorgenti delle acque, cioè al corpo e al sangue del Signore che purifica dall’amarezza del maligno”” (Apoftegmi, Alf., 30).

Poemen applica il movimento spirituale del salmo 41 alla realtà del deserto, noi potremmo – trovata la chiave – pregare il salmo disponendoci all’Assemblea Sinodale come luogo in cui lo Spirito ci disseta nel desiderio di conformare la nostra chiesa all’ardua missione che il Signore, in questo deserto di oggi, le affida. Come a piccolo bambino. Una memoria anelante e una trepida speranza si respirano nel salmo: lasciamoci attraversare dalle sue domande (“Quando?”, “Dov’è?”, “Perché?”), per comporre memoria e speranza in una armonia superiore. Dall’abisso (v. 8) di un oggi che a fatica riusciamo a leggere – eppure siamo chiamati a interpretarlo come l’oggi della missione -, all’abisso della Misericordia.

La memoria di un passato – pur bello, ma ormai archiviato - deve trasformarsi in umile speranza. La sorgente – come nella sua “notte” scopre Giovanni della Croce – è zampillante e sempre offerta. Nell’Eucaristia che anche oggi ci disseta. Qui troviamo le ragioni della speranza.

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“I cieli narrano” canta il secondo salmo: non è linguaggio, non parole di cui si oda il suono. Una silenziosa narrazione, che richiede sensi nuovi. Una narrazione che attende orecchi, occhi, mani, naso, bocca, per essere gustata. Per cogliere l’indicibile. Anche delle nostre vicende umane, ecclesiali, di oggi: per tutta la terra, ai confini del mondo siamo alla ricerca di nuove narrazioni che aprano l’orizzonte della speranza.

Papa Francesco ci abbozza alcune piste su cui cercare di rintracciare la narrazione che sconfigge solitudini e mutismi: “In questo universo, composto da sistemi aperti che entrano in comunicazione gli uni con gli altri, possiamo scoprire innumerevoli forme di relazione e partecipazione. Questo ci porta anche a pensare l’insieme come aperto alla trascendenza di Dio, all’interno della quale si sviluppa. La fede ci permette di interpretare il significato e la bellezza misteriosa di ciò che accade. La libertà umana può offrire il suo intelligente contributo verso un’evoluzione positiva” (Laudato si’, 79). “Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati.” Questo riguarda anche il modo di affrontare il dialogo sinodale. (...) Possiamo dire che «accanto alla rivelazione propriamente detta contenuta nelle Sacre Scritture c’è, quindi, una manifestazione divina nello sfolgorare del sole e nel calare della notte». Prestando attenzione a questa manifestazione, l’essere umano impara a riconoscere sé stesso in relazione alle altre creature: «Io mi esprimo esprimendo il mondo; io esploro la mia sacralità decifrando quella del mondo” (L.S., 85). “Questo insegna il Catechismo: «L’interdipendenza delle creature è voluta da Dio. Il sole e la luna, il cedro e il piccolo fiore, l’aquila e il passero: le innumerevoli diversità e disuguaglianze stanno a significare che nessuna creatura basta a se stessa, che esse esistono solo in dipendenza le une dalle altre, per completarsi vicendevolmente, al servizio le une delle altre»

«Senza linguaggio, senza parole, senza che si oda la loro voce».

Ma nel momento in cui la Bibbia testimonia le narrazioni delle stelle e le riconosce come linguaggio di Dio, anche quel linguaggio non-verbale diventa parola di uomo che narra la non- parola di Dio. Allora quando leggiamo la sua parola più sorprendente – «il Verbo si è fatto carne» – in quella parola dobbiamo includere anche le non-parole del sole, delle stelle, del cosmo, ... i nostri dialoghi aperti al venire dello Spirito – tutte le parole della terra e tutte le "parole" del cielo. Gli astri non sono Dio, ma sue creature – i cieli narrano la gloria di Dio. - Non sono portatori di un messaggio proprio, ma significano Altri, anch’essi "parole" pronunciate, per orientare la sete che ci abita e ci spinge - in dialogo - verso la Sorgente.

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Come conosco bene
la fonte che scaturisce e scorre, benché sia notte.

(Giovanni della Croce)

 

Resta nascosta quell'eterna fonte, ma io ben so dov'è la sua dimora, benché sia notte.

L'origine non so, poiché ne è priva, ma ogni origine so che ne deriva, benché sia notte.

So che non può esister cosa tanto bella, e che cieli e terra bevono da quella, benché sia notte.

So bene che in lei non si ritrova il fondo e che sondarla non può nessuno al mondo, benché sia notte.

Il suo splendore non si oscura mai e so che è la sorgente d'ogni luce, benché sia notte.

So che le sue correnti traboccanti, inferni e cieli irrigano, e le genti, benché sia notte.

La corrente che sgorga da questa fonte ben so quanto è capace e onnipotente, benché sia notte.

La corrente che da queste due procede so che nessuna di quelle la precede, benché sia notte.

Giace nascosta questa eterna fonte
in questo vivo pane, per dare a noi la vita, benché sia notte.

Sta qui chiamando le creature,

che di quest'acqua si saziano, benché allo scuro, perché ora è notte.

Questa fonte d'acqua viva cui anelo, in questo pane di vita io la vedo, benché sia notte.

 

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30 settembre 2024, 15:00