Sinodo, l’importanza di discernere il consenso che fa camminare la Chiesa
Alessandro Di Bussolo e Roberto Paglialonga – Città del Vaticano
L’unità della Chiesa e le competenze delle Conferenze Episcopali, in uno stile sempre più sinodale, sono stati tra i temi affrontati, ieri pomeriggio e questa mattina, 15 e 16 ottobre, nei lavori in Aula Paolo VI della seconda sessione del Sinodo sulla Sinodalità. Mentre il ruolo degli esperti teologi e dei canonisti in questa seconda sessione del Sinodo sulla Sinodalità e l’importanza di discernere, tra le proposte dei partecipanti, il consenso che fa camminare la Chiesa, ascoltando lo Spirito, è stato al centro degli interventi dei quattro ospiti al briefing di oggi per i giornalisti nella Sala stampa della Santa Sede.
Le prime proposte dalle relazioni dei tavoli linguistici
A fare il punto di quanto sta accadendo nell’assemblea sono stati Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la Comunicazione e presidente della Commissione per l’informazione, e Sheila Pires, segretario della Commissione. Da ieri, quando i presenti erano 328, “stiamo discutendo sull’ultima parte dell’Instrumentum laboris, e i Circoli minori hanno lavorato per poter poi presentare, con i relatori dei tavoli per lingua, una prima proposta” di questioni da affrontare, ha detto Ruffini. E stamattina, con 347 presenti, sono state presentate queste relazioni.
Il mondo digitale e le parrocchie
In Aula Paolo VI, ha sottolineato il prefetto, si è detto che “la Chiesa fin dall’inizio si è riferita alla città, ai luoghi in cui viveva, guidata dal vescovo in un rapporto stretto con il territorio”. E anche che “la Chiesa deve abitare il mondo digitale” guardando “ai pericoli che ci sono”. Dai gruppi “è emersa l’attenzione alle parrocchie come luogo di incontro - ha proseguito Ruffini - Ma anche la necessità di essere creativi e di immaginare, di espandere i luoghi della nostra Chiesa in altri ambiti”, per esempio proprio quello digitale. È stata, inoltre, sottolineata “la necessità di individuare e rafforzare le strutture sinodali già in essere, in uno scambio di doni tra le Chiese locali e le Chiese continentali”. E sulle Conferenze episcopali si è detto che “favoriscono la communio, ma che forse è ancora necessario definirne meglio lo status”.
Il ruolo sinodale delle Conferenze episcopali
Ruffini ha anche riferito che “si è affrontato il tema dell’opportunità o meno di devolvere competenze dottrinali alle Conferenze episcopali e dell’importanza di scoprire la bellezza delle diverse culture che però non bastano a loro stesse”. Inoltre, ha aggiunto, “si è parlato delle Conferenze episcopali continentali come il luogo adatto per tessere la sinodalità, a livello continentale” appunto, e “di come valorizzare le Conferenze episcopali come livelli di collegialità intermedia”. Chi ha preso la parola è stato concorde, ha fatto presente il prefetto del Dicastero per la comunicazione, nel rilevare “l’importanza di preservare l’unità della Chiesa”.
Ministero petrino al servizio dell’unità
“Si è parlato del ministero del Papa nel tempo di globalizzazione - ha proseguito Ruffini – e del suo servizio all’unità non solo della Chiesa cattolica, ma anche riguardo agli altri cristiani e come massima autorità morale e spirituale”. Nell’identificare i temi di discussione e le loro priorità, si è partiti dalle “Conferenze episcopali in chiave sinodale e missionaria: natura teologica, competenze e autorità in ambito dottrinale, liturgico, pastorale, disciplinare, amministrativo”. In sostanza, ci si chiede “come riconfigurare la partecipazione in chiave missionaria in un contesto di cambiamento d’epoca, di fronte ai fenomeni della mobilità umana, nella cultura e nell’ambiente digitale”. E, ancora, “come tenere uniti sinodalità, collegialità e primato; il ruolo della Curia romana alla luce della Costituzione apostolica Praedicate Evangelium; sinodo universale, assemblee ecclesiali continentali, sinodi e concili particolari”. I temi successivi saranno: “i criteri per definire salutare la decentralizzazione e poi la Chiesa di Chiese, lo scambio di doni, l’articolazione locale universale, la sussidiarietà e le Chiese sui iuris”.
L’evangelizzazione del mondo della cultura
Nel suo intervento Sheila Pires ha sottolineato, tra i diversi temi, anche un’attenzione all’evangelizzazione del mondo della cultura, del prendere atto di essere tutti in terra di missione e del ruolo delle piccole comunità di base che possono rendere le parrocchie più vitali. In conclusione, ha affermato Pires, “il Sinodo ha evidenziato la necessità di adattarsi ai cambiamenti culturali e digitali, promuovendo una Chiesa più sinodale e missionaria: la discussione ha posto l’accento sull’unità della fede e sulla capacità della Chiesa di rispondere alle sfide contemporanee”.
I quattro ospiti del briefing
Al tavolo dei relatori si sono poi succeduti l’italiano don Dario Vitali, coordinatore degli Esperti teologi del Sinodo, docente di ecclesiologia alla Pontificia Università Gregoriana; lo spagnolo don José San José Prisco, docente di Diritto Canonico e decano della Pontifica Università di Salamanca, della Confraternita dei Sacerdoti Operai Diocesani, esperto di formazione e vocazione; Klára Antonia Csiszàr, rumena di nascita ma decano della facoltà di Teologia e vicerettore dell’Università Cattolica di Linz in Austria; e infine l’australiano don Ormond Rush, consulente teologo della Segreteria del Sinodo, docente dell’Australian Catholic University di Brisbane.
Vitali: il lavoro collegiale dei quattro gruppi di teologi
Nel suo intervento, don Dario Vitali ha sottolineato che il compito dei quattro gruppi linguistici di teologi che coordina (inglese, francese, spagnolo-portoghese, italiano), è quello di “rileggere le proposte dell’Assemblea cogliendo gli elementi di consenso che vanno emergendo”, e realizzare report collegiali che indichino “a chi deve redigere il testo finale gli elementi di convergenza e quelli problematici”. In un cammino di Chiesa che ascolta lo Spirito, ciò che conta è il consenso, non serve cercare ed evidenziare l’elemento dissonante. A noi teologi, ha chiarito ancora don Vitali, “spetta riconoscere il tipo di consenso che matura in assemblea, in modo che il testo sia coerente con quanto è stato condiviso tra i partecipanti, e a quello che lo Spirito sta indicando alla Chiesa”. Il lavoro dei quattro gruppi linguistici è un esempio dello stile sinodale, ha sottolineato, frutto di un lavoro collaborativo tra teologi iniziato nel 2021, insieme al cammino sinodale. Mentre nei precedenti sinodi i teologi si relazionavano separatamente con la Segreteria del Sinodo.
Prisco: i canonisti e le proposte del Sinodo
Come membro della commissione canonica del Sinodo, don José San José Prisco ha ricordato che il lavoro degli esperti canonisti in quest’assemblea è un lavoro congiunto con quello dei teologi, “mentre in passato Teologia e Diritto canonico hanno camminato spesso su due linee parallele”. Invece è necessaria la complementarietà, il lavorare insieme. I lavori del Sinodo, ha proseguito don Prisco, riguardano “soprattutto sul secondo libro del Codice di diritto canonico, dedicato al Popolo di Dio”. La commissione dei canonisti, ha sottolineato, è nata per una necessità che veniva dai partecipanti: un gruppo di esperti di Diritto canonico che accompagnasse e valutasse le proposte del Sinodo, “per individuare le possibilità di modifiche o nuove norme che possano migliorare il Diritto canonico, latino e orientale”.
Csiszàr: nei Forum “la melodia della sinodalità”
La teologa pastorale Klára Antonia Csiszàr ha enfatizzato l’importanza del contributo teologico dei Forum, che “riguarda anche la conoscenza dell’altro e permette di modulare la cultura sinodale nella Chiesa”. Lo scorso anno, al termine dei lavori sinodali, qualcuno ha sottolineato che “la teologia non ha avuto tanta attenzione”, ma nei Forum teologico-pastorali, per Csiszàr “si vede oggi che la teologia impara il suo ruolo nella Chiesa sinodale, e da’ il sui contributo allo stile sinodale”. Sono appuntamenti che “danno un aiuto nel regolare la melodia di base della sinodalità, la teologia del Popolo di Dio”. Perché la comunità scientifica teologica, ha concluso, “vuole sostenere la nascita di una Chiesa sinodale”.
Rush: risposte per un annuncio del Vangelo nei nuovi contesti
Il teologo australiano don Ormond Rush, nell’assemblea del 2023, ha portato un’interessante considerazione sul concetto di tradizione vivente: “la rivelazione viva non è solo verità statiche ma un dialogo continuo tra Dio e l’umanità”. Nel suo intervento ha spiegato che in questa seconda Sessione si sta entrando “nel processo della tradizione vivente della Chiesa, per attualizzare il messaggio del Vangelo”. E ha sottolineato che la teologia ha il compito di aiutare la Chiesa a portare il messaggio di Dio a tutti, ascoltando anche il Sensus fidei di ogni persona. La Chiesa oggi, per Rush, deve interpretare “i segni, le parabole, e il modo in cui Gesù si collega al XXI secolo”. Con l’aiuto della teologia, “anche grazie al Concilio Vaticano II che è ancora una luce per noi”. Saper leggere i segni dei tempi, ha concluso, “è fondamentale per una nuova comprensione sulla visione di Dio rispetto alla vita umana, oggi. Servono nuove risposte per permettere alla Chiesa di annunciare il Vangelo in modo convincente nei nuovi contesti in cui vive”.
Le competenze dottrinali dei vescovi e delle Conferenze
L’eventuale decentramento di competenze dottrinali alle Conferenze Episcopali, lo studio e l’approvazione di modifiche nel diritto canonico e il ruolo dei teologi sono stati i principali temi oggetto delle domande dei giornalisti. Don Vitali ha ricordato come “anche il documento considerato più restrittivo dal punto di vista di un possibile trasferimento di funzioni dottrinali” dal centro alla periferia, “ovvero il motu proprio Apostolos suos di Giovanni Paolo II, del 1998, in realtà afferma al numero 21 che ‘i vescovi sono autentici dottori e maestri della fede per i fedeli affidati alla loro cura’, e identifica loro specifiche competenze, come per esempio la cura della pubblicazione dei catechismi per i loro territori, certamente dopo ‘approvazione della Sede apostolica’. Inoltre, anche nella Praedicate evangelium di Papa Francesco vi è una significativa disposizione in tal senso”. Quindi, il teologo ha ribadito che “pur non potendo fare dogmi, i vescovi possono trattare di tutto ciò che riguarda la dottrina, avendo sempre cura di agire in comunione con il Pontefice”.
Aggiornamento delle norme canoniche
San José Prisco ha evidenziato che, dal punto di vista canonico, “ci potranno essere alcune novità”. Diversi punti, infatti – tra cui i consigli pastorali o quelli degli affari economici, o gli organi che prevedono la collaborazione attiva tra pastori, religiosi e laici –, “sui quali l’Assemblea ha trovato un accordo, saranno presentati al Papa nel documento finale, e vedranno un aggiornamento forse già entro la prossima estate”; mentre su altri, “ci sarà maggiore cautela, perché necessiteranno di consultazioni ulteriori”.
Anche se non c’è consenso su alcuni temi, il dibattito non è chiuso
Ci sono domande, è stato fatto notare, che soprattutto dal punto di vista teologico, non avranno probabilmente risposte definitive in questo Sinodo, come per esempio le questioni di genere o dei ministeri femminili. “Ma ciò che occorre sempre guardare – ha spiegato don Rush – è la capacità di raccogliere un consenso. Ove questo su alcune materie non ci sia, vuol dire che la discussione deve proseguire, non necessariamente che sia chiusa per sempre”. A fargli eco è intervenuto anche Vitali, il quale ha sottolineato che “l’assemblea sinodale fornisce indicazioni di orizzonte, che, appunto, si esprimono mediante il consenso”, ed evidenziato come poi vada “distinta l’autorità e l’autorevolezza del Sinodo da quello che è invece il dovere di libertà di ricerca dei teologi, che potrà magari portare a un consenso nel futuro”.
Un documento finale comprensibile a tutti
La cosa che “è ben chiara e presente nei padri e nelle madri sinodali – ha ricordato infine Ruffini – è l’attenzione al linguaggio: siamo tutti consapevoli di essere chiamati a stendere un documento finale, che non solo va consegnato al Papa, ma che deve essere comprensibile a tutto il popolo di Dio”. Parlando della sua esperienza, Csiszár ha rilevato l’importanza che la teologia sta rivestendo nel Sinodo, anche nello “scambio di doni” tra le tradizioni e le esperienze dell’Europa occidentale e orientale. “Fondamentale è sempre tenere presente il sensus fidei”, cercando “di trasformare la dottrina nella prassi e valorizzando il ruolo di accompagnamento e avvocato della dignità umana che la Chiesa può avere nei confronti del popolo di Dio”. Su questo, Rush – richiamando il concilio Vaticano II – ha ribadito come “la rivelazione sia un dialogo continuo tra Dio e l’umanità” e i teologi “possano aiutare la Chiesa a far proseguire la sua tradizione viva”.
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