Il cardinale eletto Bychok: porto la voce dell’Ucraina nella Chiesa e nel mondo
Deborah Castellano Lubov – Città del Vaticano
“La Chiesa deve essere proattiva nel ruolo di mediatrice per una pace giusta, non solo in Ucraina, ma anche in Medio Oriente e in altre parti del mondo che stanno vivendo guerre e conflitti. La pace nel mondo arriverà solo quando le persone avranno la pace nei loro cuori, una vera pace che deriva dall’amore di Cristo”. Esprime queste convinzioni Mykola Bychok, vescovo dell’Eparchia dei Santi Pietro e Paolo di Melbourne per i cattolici ucraini in Australia, Nuova Zelanda e Oceania. È uno 21 nuovi cardinali a cui Papa Francesco, come annunciato nell’Angelus di domenica 6 ottobre, concederà la porpora nel Concistoro del prossimo dicembre. Bychok a 44 anni sarà il più giovane membro del Collegio cardinalizio. In un’ampia intervista concessa ai media vaticani, il cardinale eletto sottolinea il ruolo della Chiesa nell’impegno per la pace in mezzo alle guerre in tutto il mondo, in particolare nella sua natia Ucraina. Parla poi della sua spiritualità, dei suoi modelli di fede e delle sue preoccupazioni pastorali al servizio dei fedeli in tutta l’Oceania.
Come ha accolto la notizia della sua nomina cardinalizia da parte di Papa Francesco e come concepisce la sua responsabilità in questo periodo di guerra?
Ho ricevuto la notizia mentre visitavo la nostra parrocchia a Brisbane. È successo durante la cena, quando il mio telefono era spento. Quando l’ho riacceso, è arrivata una valanga di messaggi. Per essere onesti, all’inizio ho pensato che fosse uno scherzo. Ci è voluto un po’ di tempo per iniziare a metabolizzare. Capisco quanta responsabilità mi affida questa nomina, responsabilità per la vita e il futuro di tutta la nostra Chiesa. Conoscendo i tempi difficili che il mio popolo ucraino sta attraversando a causa della guerra, continuerò a informare il mondo cattolico su ciò che sta accadendo nella nostra terra e a ricordare costantemente l’Ucraina.
Quale esperienza passata o presente l’ha preparata meglio a questo ruolo di stretto collaboratore del Papa?
Non ero pronto in realtà a questa nomina. Dirò di più: non ero pronto neppure a essere un vescovo durante il periodo di formazione in seminario. Non siamo mai preparati per essere vescovi o cardinali. Un cardinale nella Chiesa cattolica è una nomina onoraria al servizio del Santo Padre. È un ruolo consultivo che richiede che di essere attento alle esigenze della Chiesa nel mondo di oggi. Al momento, non so quale sia il ruolo o la responsabilità che il Papa ha messo sulle mie spalle, ma so che ci sarà una grande opportunità di avere un contatto diretto con il Papa. Vorrei citare qui, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk (capo della Chiesa greco-cattolica ucraina, ndr), con lui parleremo con un solo cuore e una sola bocca a Papa Francesco, alla Chiesa cattolica, al mondo e alla comunità mondiale.
Papa Francesco chiede spesso di porre fine alle sofferenze dell'Ucraina “martoriata”. Cosa, secondo lei, è necessario per lavorare concretamente a questo obiettivo?
Domenica scorsa, dopo la preghiera dell’Angelus, il Papa ha menzionato due volte il popolo martire dell’Ucraina, esprimendo profonda preoccupazione per la situazione nel Paese. La Santa Sede e il Papa hanno fatto molte buone iniziative per fermare la guerra. Come è noto, la Santa Sede è impegnata per la liberazione dei prigionieri, a pregare per i sofferenti e i feriti e per coloro che sono scomparsi senza lasciare traccia. Molto è stato fatto, ma si può fare ancora di più in futuro.
Come fa a mantenere fede e speranza nonostante la disperazione? Potrebbe raccontarci qualcosa della sua spiritualità e di come ha scoperto la tua vocazione?
Ho scoperto la mia vocazione all’età di 15 anni, quando ero ancora a scuola. La comunità redentorista mi ha aiutato a riconoscere la mia vocazione poiché era nella loro parrocchia che andavo regolarmente a seguire le funzioni religiose. In seguito ho iniziato a servire e viaggiare con i padri in missioni e ritiri. L’esempio delle loro vite e il grande zelo nel predicare la Parola di Dio mi hanno colpito. Hanno dedicato il loro servizio a Dio e mi hanno suscitato meraviglia e ammirazione, che in seguito si sono trasformate in un desiderio ardente di essere uno di loro. Attraverso le storie del mio primo maestro spirituale, padre Mykhaylo Shevchyshyn, ho imparato a conoscere i giganti della nostra Chiesa, il servizio dei nostri padri e fratelli nella Chiesa clandestina, la resistenza e il coraggio nelle difficili circostanze di quel tempo. Invece il mio secondo maestro spirituale, padre Volodymyr Vons, rappresentante della generazione più giovane dei redentoristi, è diventato per me un esempio vivente di come si possa dedicare la propria giovane vita completamente a Dio. Ancora oggi, la comunità dei redentoristi è di grande importanza per me come vescovo e futuro cardinale.
I cardinali ucraini hanno lasciato un segno nella storia, pensando in particolare al cardinale Lubomyr Husar. C’è qualcosa in particolare che l’ha colpita nella loro guida dei fedeli o nel loro approccio alle difficoltà che il Paese sta affrontando?
Il cardinale Husar era una persona straordinaria. Era il patriarca della Chiesa greco-cattolica ucraina e anche un cardinale. Riuscì sempre a mantenere semplicità e accessibilità. C’è una sua frase molto famosa, che vorrei citare: “Il mio sogno nella vita è essere un essere umano, ma non sono sicuro al 100% di cosa significhi essere umano, anche se rimane ancora il mio sogno e la mia preghiera di essere un essere umano buono e normale”. Queste parole del cardinale mi aiuteranno molto nel mio ministero.
Quali sono le sue maggiori preoccupazioni pastorali in Australia e quali ritiene debbano essere le massime priorità della Chiesa, in generale?
Penso che ci siano due priorità. La prima mi rispecchia come cardinale ucraino. La Chiesa deve essere proattiva nell’essere mediatrice di una pace giusta, non solo in Ucraina ma anche in Medio Oriente e in altre parti del mondo che stanno vivendo guerra e conflitto. In secondo luogo, dobbiamo combattere la secolarizzazione. Come sacerdote in servizio negli Stati Uniti e come vescovo in Australia, ho visto come la secolarizzazione abbia influenzato la società e la Chiesa. Siamo chiamati a essere missionari per aiutare le persone a riscoprire l’amore di Dio e di Suo Figlio Gesù Cristo, affinché vedano che la Chiesa è il luogo in cui incontrare il Dio vivente nel modo più bello, attraverso i Santi Sacramenti, la Confessione e la Santa Comunione. La pace nel mondo arriverà solo quando le persone avranno pace nei loro cuori, una vera pace che deriva dall'amore di Cristo.
Concretamente, ha qualche suggerimento su come far sì che la fede raggiunga le persone?
Innanzitutto, dovremmo mostrare attraverso la nostra vita di vivere Cristo, perché quando gli altri guarderanno la nostra vita, vedranno attraverso di noi, specialmente in quei paesi che sono paesi laici. Lì è particolarmente importante che abbiamo una connessione diretta e diretta con Gesù, che gli altri possono riscoprire in noi.
Da dicembre diventerà il più giovane membro del Collegio cardinalizio. Parlando dei giovani nella Chiesa, qual è secondo lei il modo migliore per mostrare ai giovani che vale la pena seguire Cristo, dando loro il potere di andare oltre i messaggi contrastanti nella società che sono indifferenti o a volte anche ostili alla fede?
Il modo migliore per mostrare Cristo ai giovani è seguire l’esempio di Gesù nella propria vita personale, stando vicini alle persone, soprattutto a coloro che sono abbandonati ed emarginati.
C’è qualcos’altro che vorrebbe aggiungere?
Il Papa vuole che noi cardinali designati siamo più servitori che “eminenze”. Che Dio ci aiuti nell’adempimento di questi compiti. Vi chiediamo di pregare per noi.
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