Al via la nuova stagione del Polo Museale di Castel Gandolfo
Paolo Ondarza – Città del Vaticano
Quasi invisibile, sottile e fragile. È il filo bianco che attraversa la tela “La Malaria”. Una giovane ha appena interrotto di riavvolgerlo da un arcolaio. È vestita in abiti ciociari, seduta nella cucina di un umile abitazione romana. Tiene il gomitolo immobile tra le mani. Lo sguardo è rivolto ad un ragazzo disteso su un logoro materasso: è pallido, gli sono circondati da un colore violaceo, al collo porta lo scapolare: ha consegnato l’anima alla Vergine, è prossimo alla morte.
Atmosfera sospesa, tra denuncia sociale e allegoria
I due si osservano, muti. L’atmosfera è sospesa: come una moderna parca, la donna riprenderà a lavorare e con il filo terminerà anche la vita terrena dell’adolescente. Tra denuncia sociale e allegoria, l’appena ventitreenne Maria Martinetti nel 1887 scelse di rappresentare così la malaria, una piaga che a quei tempi affliggeva l’agro pontino, recidendo le vite di molti. L’olio su tela di grandi dimensioni (140,5 x 221,5) è oggi al centro della mostra con cui il Polo Museale di Castel Gandolfo apre la stagione espositiva 2024-25. L’accesso è incluso nel biglietto di ingresso al Palazzo Papale di Castel Gandolfo, visitabile insieme al Giardino del Moro e al Giardino Segreto.
Medaglia d'argento all'Expo di Parigi 1889
Donato nel 1953 a Pio XII, il quadro, recentemente restaurato dalle maestranze dei Laboratori dei Musei Vaticani, nel 1889 vinse la medaglia d’argento all’Esposizione Universale di Parigi, celebrata con la costruzione della Tour Eiffel, mentre nel 1893 partecipò alla Expo di Chicago. Il talento di Maria Martinetti infatti, sebbene oggi poco conosciuta e studiata, si impose subito all’attenzione della critica dell’epoca.
La riscoperta di una grande artista
“Allieva di Gustavo Simoni – ricorda Micol Forti, responsabile della Collezione di Arte Moderna e Contemporanea (CARM) dei Musei Vaticani e curatrice della mostra - ebbe una notevole fortuna negli Stati Uniti, dove si si stabilì per alcuni anni. Tornata in Italia aprì un atelier alle donne, perché al pari degli uomini potessero concepire l'attività artistica come un mestiere. La critica successivamente l’ha dimenticata. La vita familiare, l'ha portata lontano dalle scene espositive più importanti e dunque riscoprire questa figura oggi rappresenta per noi una sfida".
"Allo stato attuale, prosegue Micol Forti, il catalogo di Maria Martinetti è “ancora in fieri: abbiamo rintracciato solo acquerelli e l’opera che esponiamo sembrerebbe essere l’unico olio su tela, ma i nostri studi e approfondimenti vanno avanti”.
Il restauro come viaggio
Il restauro de “La Malaria”, che dopo il 17 novembre, terminata la mostra a Castel Gandolfo, sarà esposta nelle sale dei Musei Vaticani, è stato sostenuto dalla generosità dei Patrons of the Arts in the Vatican Museums - Capitolo del Canada. L’intervento conservativo ha rivelato importanti dettagli e una raffinata tessitura cromatica. A condurlo è stata Rossana Giardina del Laboratorio Restauro Dipinti e Materiali Lignei delle collezioni pontificie: “Lo stato di conservazione era critico. La tela, probabilmente arrotolata per essere trasportata in viaggio verso le grandi esposizioni, presentava segni verticali. La pulitura ha consentito di cogliere dettagli di colore come le occhiaie verdi del ragazzo, il rosso del fuoco, il color rame del paiolo o le tante sfumature di bianco: dalla stoffa grossolana del materasso alle camicie dei due protagonisti. Il restauro – prosegue Giardina - è un viaggio che consente di conoscere l’opera dal punto di vista storico, materico, estetico. Maria Martinetti ci ha fatto compiere un viaggio nella socialità che attraversava le compagne romane, ma anche nei costumi e negli abiti dell’epoca”.
Ad una distanza ravvicinata dalla tela è possibile infatti scorgere i dettagli del vestito della donna, dalle “sopra maniche” alla fascia in vita, dal corpetto in pelle alle “cioce”, i tradizionali calzari laziali. Ai visitatori della mostra sarà data la possibilità di porre a confronto le vesti dipinte con due abiti ciociari autentici, uno da lavoro e l’altro da festa, provenienti dal Museo delle Civiltà di Roma.
Un capolavoro finalmente svelato
“È un'opera potente, un'opera forte, che racconta anche tanto delle paludi pontine e dei luoghi intorno a Castel Gandolfo”, commenta il Direttore dei Musei Vaticani Barbara Jatta: “Il quadro era appeso da anni nell’alto dei corridoi dei nostri laboratori e quando il nostro reparto di arte moderna e contemporanea ne ha messo in programma il restauro, ci siamo trovati di fronte ad un capolavoro che oggi siamo felici di svelare. Il dipinto, donato a Pio XII, fu destinato agli ambienti della Pontificia Commissione per la Cinematografia. Non è un caso che fosse stato collocato in un luogo in cui chi si occupa di immagine e cinema potesse vederlo”.
In sinergia con la Specola Vaticana
“I Musei Vaticani”, aggiunge ancora Barbara Jatta, “hanno scelto questa mostra per inaugurare la stagione espositiva del Polo Museale di Castel Gandolfo, la cui attività prosegue in sinergia con la Specola Vaticana”: “Dopo aver aperto alle visite due osservatori di Villa Barberini a Castel Gandolfo, a breve i nostri visitatori potranno accedere ad altri due telescopi recentemente restaurati: sono quelli le cui cupole, per chi proviene da Roma, identificano il Palazzo Papale. Abbiamo capito che possiamo aprirli a gruppi ristretti e su prenotazione. Li condividiamo con grande piacere”.
I telescopi aperti al pubblico
“Ogni telescopio svolge un attività diversa”, spiega a Vatican News l’ingegner Claudio Costa, Technical Assistant del Direttore della Specola Vaticana.
“I due telescopi che presto saranno visitabili sono un cosiddetto doppio astrografo, preposto alla fotografia del cielo ed un secondo telescopio visuale, adattissimo a far vedere il cielo, la luna e i pianeti ai visitatori”.
I Papi e l'astronomia
“La domanda più frequente che i visitatori ci pongono – rivela Costa – è: perchè il Vaticano ha un osservatorio astronomico? Dietro questa curiosità c’è il desiderio di conoscere il rapporto tra i Papi e l’osservazione del cielo”. Tuttora la Specola Vaticana partecipa attivamente al dibattito scientifico internazionale: “È un istituto di ricerca equiparato a tutti i maggiori osservatori del mondo. Qui si organizzano convegni e ogni due anni viene organizzata una scuola estiva di astronomia”.
Fondando la Specola nel 1891 Papa Leone XIII dissipò le accuse alla Chiesa di essere oscurantista o contraria alla ricerca. Dimostrò al contrario quanto il Papa avesse a cuore il supporto della scienza. I telescopi di Castel Gandolfo, finalmente aperti al pubblico, ne sono un segno evidente.
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