Addio a José Carlos, il “poeta” clochard. I cardinali Krajewski e Steiner celebrano i funerali
Salvatore Cernuzio - Città del Vaticano
José Carlos de Sousa aveva una malattia al fegato, pochi denti, la pelle dura di chi passa notti e giorni all’aperto tra sole e gelo. Da anni dormiva per strada «attaccato al muro» del colonnato di San Pietro. Per cibo e vestiti aveva perso interesse da tempo, l’unica cosa che chiedeva ai volontari che andavano a portargli i pasti erano quaderni. Fogli bianchi e puliti per appuntare le poesie che gli venivano in mente osservando il via vai di turisti, pellegrini, fedeli che ogni giorno transitano nella piazza «cuore della cristianità», che forse «lo giudicavano» vedendolo in quelle condizioni, ma ai quali lui mostrava la strada per la Basilica. «Come un angelo che indica la via», ha detto il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski, celebrando questa mattina, 15 ottobre, le esequie dell’uomo, brasiliano, 61 anni, nella cappella di Santa Monica. A concelebrare con lui pure il cardinale brasiliano Leonardo Ulrich Steiner, arcivescovo metropolita di Manaus, che ha voluto prendere una pausa dai lavori del Sinodo sulla sinodalità di cui è membro appena saputo che in mattinata si dava il commiato a un suo connazionale.
Ai funerali due cardinali, suore, volontari, amici di strada
Due cardinali, quindi, per dare l’ultimo saluto ad uno dei tanti poveri della zona San Pietro. José Carlos è morto ad agosto nell’ospedale San Carlo di Roma. Una cirrosi epatica lo aveva malridotto al punto da non riuscire neppure a muoversi: «Lo accompagnavamo all’ambulatorio sotto il colonnato, ma aveva i giorni contati», ricorda don Roberto Cherubini, sacerdote della Comunità di Sant’Egidio. Per le solite trafile burocratiche, solo dopo due mesi è possibile dargli sepoltura. Verrà seppellito oggi al cimitero romano di Prima Porta.
Questa mattina nella cappella a pochi passi da San Pietro, intitolata alla mamma di Sant’Agostino, c’erano una trentina di persone tra volontari di Sant’Egidio e Unitalsi, le Missionarie della Carità e la congregazione coreana delle Sorelle di Kkottongnae di Gesù, alcuni ragazzi che hanno accompagnato la liturgia con canti alla chitarra in italiano e portoghese e, naturalmente, i compagni di strada di José. «Suore, amici e volontari», come era scritto sul nastro viola che raccoglieva la corona di fiori rossi e gialli poggiata sulla bara in mogano.
"Un cuore buono"
Seduta tra le prime file c’era anche suor Elaine Lombardi, religiosa delle Missionarie di Sant’Antonio Maria Claret, forse quella che ha conosciuto più da vicino José Carlos. Sarà per la comune provenienza, sarà perché la suora, come racconta, era rimasta colpita da questo signore «che non aveva nessuna esigenza». «Io volevo fare sempre qualcosina in più. Sai, era brasiliano come me… Però mi diceva: “Sorella, non ho bisogno di niente. Lo dia agli altri, mi porti quaderni”. Era un poeta, un cuore buono».
Le sue poesie
Alcuni dei versi di José, suor Elaine li condivide con i media vaticani. Ad esempio quello in cui il clochard scriveva:
“Per strada e in ogni altro luogo non parlo quasi mai,
mi limito a guardare,
ascoltare, pensare
e a volte scrivere per non essere solo al mondo”
Il sogno di Gerusalemme
«Era arrivato a Roma col sogno di andare da qui a Gerusalemme», riferisce ancora la suora. «Beh, oggi ci è riuscito… È andato nella Gerusalemme celeste».
L'omelia di Krajewski
«José è morto quindi vive», ha detto invece il cardinale Krajewski nella sua omelia tutta a braccio e tutta incentrata sull’importanza di avere «un cuore pulito». «Non importano i vestiti, i costumi, ma il cuore. Quando è pulito tutte le cose che vedi sono pulite. Il cuore diventa i nostri occhi sul mondo».
«Il nostro José sa tutto questo. Lui non ha più bisogno di confessarsi, non aspetta il frutto del Sinodo, qualche libro per migliorare la vita cristiana». «Lui sa tutto» perché ora, ha detto il cardinale, è vicino a Dio che «è misericordioso, che non si stanca dei nostri peccati, che ci accoglie sempre e sempre ci perdona». Ricordando la vita del senzatetto tra i marmi del Bernini, l’elemosiniere ha affermato: «Forse, quando stava sotto il colonnato, è stato giudicato dai fedeli, dai pellegrini, dai turisti. Diciamo che non si presentava in modo splendido… Ma Gesù ci dice che questo non è tutto per l’uomo, il tutto è il cuore».
Il grazie agli "angeli della carità"
Krajewski ha poi voluto dire un grazie soprattutto ai volontari venuti al funerale: «Lo conoscevano perché gli portavano i pasti, tanti lo accompagnavano all'ambulatorio. Sappiamo quanto era ammalato… Questi angeli rappresentato la fede attraverso la carità. Aiutandolo, avete aiutato a Gesù stesso che ha la faccia di tutti quelli che stanno sotto al colonnato». Quegli uomini e quelle donne di diverse nazionalità, lingue, costumi, che insieme a José Carlos «quando arriverà il nostro momento di incontrare Gesù – ha concluso Krajewski - ci aiuteranno magari ad aprire un po’ la porta del Paradiso».
Al termine della liturgia, il cardinale Steiner ha incensato il feretro e lo ha accompagnato fino all'uscita. Uno ad uno gli amici di José si sono avvicinati per poggiare ognuno un fiore.
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